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Nella società postmoderna, le nostre abitudini quotidiane sono frutto di una visione ideologica non necessariamente fondata su condizioni reali. Esse sono al massimo precomprensioni, frutto di dimensioni ideologiche disseminate, nel corso della storia, da singoli individui, partiti, associazioni, o da scuole di pensiero. Costruzioni mentali fuorvianti, ma a volte fascinose, seducenti; su di esse in molti basano le credenze e le azioni della propria vita. È su questo filo conduttore che Andrea Rega traccia la direttrice della sua trattazione, delineata altresì dal sottotitolo del libro: «Fragilità naturale, potenza dell’immaginazione tecnica, desiderio d’infinito».
Le considerazioni dell’autore sono ricche di esempi storici e cronachistici, che riportano il lettore alla «cosa», alla dimensione concreta. Egli esamina principalmente i tre macro-orientamenti dell’epoca contemporanea, che riguardano il tema della «corporeità» e della natura fisica, quel mondo concreto che noi amiamo tanto, ma che pensiamo astrattamente, attraverso una visione ideologica dell’uomo e del suo esistere. Insomma, crediamo di essere tanto concreti, e invece tendiamo ad avere una visione ideologica della realtà.
Partiamo dalla natura. Come fa notare l’autore, non si tratta qui di una visione religiosa legata a un rispetto della creazione che ormai gli uomini e le donne del nostro tempo hanno perduto. All’uomo postmoderno non interessa più conoscere l’origine ultima delle cose, come pure non interessa conoscere l’origine della natura: ci basta sapere che la natura, Gaia, effervescenza acquariana del mondo new age, è la madre Terra, quella madre che ci rispetta fin tanto che la lasciamo tranquilla, pura, incontaminata, vergine.
L’autore contesta questa visione «idolatrica» – corrispondente alla visione filosofica del Deus sive natura –, per riportare il lettore a un’evidenza sconcertante, di leopardiana memoria: la natura non ci è nemica, né matrigna, ma ci è indifferente. Tuttavia, se lasciata a se stessa, essa, in quanto decaduta, tende a inghiottirci come corpi estranei. La natura, immagine bucolica di una vita agreste preindustriale, romanticamente adagiata negli acquarelli dei pittori domenicali, è in realtà un mostro che, lasciato in balia di se stesso, si aggroviglia senza posa, irto di spine, insondabile, impraticabile, rifugio di animali feroci e parassiti. L’autore descrive la natura dell’uomo come «corpo estraneo» al mondo, il suo misterioso «essere altro», il suo essere debole, senza difese, senza ecosistema: una creatura aliena, imago Dei, figlia zoppa dell’evoluzione, eppure preminente su tutti i viventi.
Nonostante queste evidenze, si trovano ancora persone che, attraverso una visione ideologica, sembrano vivere mentalmente su un altro pianeta. Tra gli esempi riferiti c’è quello della necessaria derattizzazione di Parigi, un provvedimento che tuttavia raccolse migliaia di firme contrarie, con la conseguente comparsa del «Movimento per la difesa dei diritti dei topi». Una compassione che in passato si era più inclini a riservare alle persone, migranti o autoctoni che fossero.
La seconda posizione su cui riflette l’autore tende ad analizzare la realtà oltre ogni ideologia. L’uomo, animale non comune, non ha uno stato di natura primigenio. L’idea che si possa vivere senza le nostre abilità tecniche, tanto affascinanti quanto necessarie, manca di una qualsiasi traccia di realismo. Si cade, ancora una volta, nell’idealismo, che nulla ha a che fare con la natura, con la realtà, con la vita.
La terza pozione analizzata è quella di coloro che accettano incondizionatamente la tecnologia, rifiutando la natura e la naturale imperfezione del corpo umano.
Delle tre posizioni, la prima e la terza sono frutto di due estremismi. L’ultima, in particolare, è comune ai movimenti prometeici e transumanisti. La natura, il corpo sono dei «nemici», e come tali devono essere migliorati grazie alla nostra intelligenza, alimentata dalla nostra volontà di potenza, che vede nella vecchiaia una malattia e nella malattia il dramma della vita.
Questi tre aspetti vengono raccontati alla luce di «nuovi incanti per antiche tentazioni», in un’epoca in cui le fake news vengono prese per buone e il parere degli esperti relegato all’ultimo singhiozzo dei poteri forti.
Ma oltre a ciò, l’autore ci offre uno sguardo squisitamente filosofico, in cui ci immergiamo, attraverso esempi, dati e constatazioni, per poter liberamente riflettere su quanta distanza vi sia oggi tra il pensare e il vivere, invece di accettare, realisticamente, l’uomo e la natura per quello che sono, senza ideologie né pregiudizi.
ANDREA REGA
L’estraneità del corpo. Fragilità naturale, potenza dell’immaginazione tecnica, desiderio d’infinito.
Milano, Mimesis, 2019, 144, € 14,00.