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È degno di nota che i due premi letterari più famosi negli Stati Uniti – il premio Pulitzer per la narrativa e il suo equivalente per la poesia – nel 2019 siano stati assegnati a due scrittori che hanno affrontato la stessa domanda: qual è il ruolo degli alberi nell’esperienza umana?
Attraverso la sua opera, il poeta Forrest Gander (premiato per la sua raccolta elegiaca Be With) illustra ciò che alcuni hanno chiamato «l’ecopoesia», fedele in questo alla sua duplice formazione, in letteratura e in geologia[1]. Egli esplora il paesaggio, scrutando la nostra appartenenza al mondo minerale e vegetale. «Lì, nella calma fremente degli alberi, cogliamo le qualità dotate di anime. Nella giravolta del dettaglio delle foglie, percepiamo il respiro della foresta»[2]. E noi percepiamo anche il nostro respiro, nella lettura delle parole delicatamente cadenzate.
È più sorprendente, tuttavia, che l’altro premio – quello della narrativa – sia stato assegnato a un’opera anch’essa incentrata sull’albero, il romanzo di Richard Powers The Overstory[3], tradotto in italiano con il titolo Il sussurro del mondo (si potrebbe preferire forse il titolo dell’edizione francese, L’ Arbre-Monde)[4]. Della poesia, infatti, si può dire che ha sempre avuto un legame con il mondo naturale, e quindi con quello degli alberi: «Tutti gli alberi dei campi batteranno le mani», canta Isaia (Is 55,12), mentre Virgilio evoca fin dalla prima riga delle sue Bucoliche «il vasto fogliame di questo faggio». Sorprende quindi vedere come anche la prosa narrativa riconosca un’esistenza letteraria agli alberi, trasformandoli in protagonisti della trama. Vi è certo un intreccio di fondo, genetico, che unisce il mondo degli uomini e quello degli alberi, come ricorda a un certo punto del racconto uno dei personaggi, la biologa Patricia Westerford: «Tu e l’albero nel giardino dietro casa provenite dallo stesso antenato. Un miliardo e mezzo di anni fa, voi due avete preso strade separate. Ma persino oggi, dopo un immenso viaggio in direzioni diverse, tu e quell’albero avete ancora in comune un quarto dei vostri geni».
Nel romanzo di Powers questa trama tuttavia si restringe su un cast di nove personaggi, quasi nostri contemporanei. Questi uomini e queste donne in un primo momento non hanno nulla in comune, e le loro storie iniziali potrebbero apparire come altrettanti racconti indipendenti. Eppure tutti, in un modo o nell’altro, fanno un’esperienza vitale legata agli alberi, tanto da impegnarsi in loro favore. Questa causa comune provoca il loro progressivo collegarsi in rete nel seguito del racconto. Il romanzo si sviluppa quindi in arborescenza, ramificandosi e intersecandosi ripetutamente, come se la forma dell’albero avesse suggerito quella della scrittura; la progressione della storia è contemporaneamente quella di una crescita, in quattro parti successive: «radici», «tronco», «chioma», «semi».
L’albero-sentinella
Come scrive Carl Wilkinson, il romanzo di Powers s’inscrive nella tradizione del «grande romanzo americano», che va da Moby Dick (1851) a Underworld (1997). Ciò che le opere in questione fotografano, attraverso una trama e personaggi simbolici, è il destino dell’intero popolo a un certo punto della sua storia. Ma, mentre questi romanzi hanno per protagonisti uomini e donne della modernità, The Overstory include nel suo affresco attori la cui esistenza trascende di molto quella degli esseri umani: gli alberi. «Questo mondo – dice ancora Patricia Westerford – non è il nostro mondo in cui ci sono degli alberi. È un mondo di alberi, dove gli esseri umani sono appena arrivati». Il lettore incontrerà inoltre alberi di una straordinaria longevità, in particolare esemplari di sequoia sempervirens, «alti trenta piani e antichi come Gesù». Questo per dire che la trama riceve parametri inediti, a livello della storia umana e dell’evoluzione (quasi) tutt’intera.
La storia prende avvio dalle poche castagne che un immigrato norvegese, Jørgen Hoel, porta via da un parco di Brooklyn e pianta accanto alla sua fattoria nell’Iowa. Una delle piante sopravvive nella grande pianura, scampata a tutti i parassiti e alle malattie, e diventa un albero-sentinella. Suo figlio, John Hoel, decide di fotografarla ogni mese, il 21 del mese, e i suoi figli faranno lo stesso per 76 anni. Il pro-pronipote di Jørgen, Nick, artista, raccoglie le foto dell’albero monumentale e non si stanca di farle scorrere in un time-lapse che è anche quello dell’albero genealogico familiare. La biografia del castagno proietterà però Nick altrove, in uno scenario che si accelera. Nick si mette in cammino verso ovest, dopo aver incontrato Olivia. In seguito a una elettrocuzione e a 70 secondi di morte, la giovane sembra calamitata da alcune voci. Giunta nel nord della California, la coppia si unisce agli attivisti che difendono la sopravvivenza di sequoie millenarie: la giovane capisce che, in effetti, aveva un appuntamento con questi esseri giganteschi. Nick e Olivia si ritrovano presto, per mesi, su una piattaforma allestita su una delle sequoie, a 60 metri di altezza, per impedire che venga abbattuta (la finzione di Powers prende in prestito qui il suo materiale dagli eventi della Redwood Summer e della Timber War degli anni Novanta e dall’impresa di Julia Butterfly Hill, che nel 1997-99 visse 738 giorni di fila su una delle sequoie minacciate). Di fronte all’arroganza delle compagnie di sfruttamento delle foreste, si tratta di resistere, in particolare vincendo la tentazione della violenza: gli alberi non restituiscono i colpi che vengono dati ad essi («Un albero – dice Patricia Westerford – è una cosa mirabile che ripara, nutre e protegge tutti gli esseri viventi. Offre persino l’ombra ai boscaioli che stanno per distruggerlo»). Su questo punto, sopraggiunge per il lettore una tragedia, che fa rimbalzare l’intera storia. La traiettoria di Nick e Olivia è, in un certo senso, la storia fondamentale, che incrocia e rincrocia tutte le altre in sviluppi che è impossibile riassumere qui. Il loro comune denominatore si presta invece a una breve caratterizzazione.
Metamorfosi
L’arborescenza dell’opera di Powers si applica ugualmente alla sua genesi letteraria: è innestata su alcune opere anteriori della tradizione naturalista americana, come i saggi di Henry David Thoreau e di John Muir, oppure i poemi di Walt Whitman. A quest’ultimo viene reso omaggio quando Jørgen Hoel pianta le sue castagne; nello stesso momento, aggiunge il narratore, «un infermiere-poeta scrive per l’Unione moribonda: Una foglia d’erba non vale meno della quotidiana fatica delle stelle». Tuttavia, è un’opera molto più antica, e non americana, che fornisce la chiave dell’intero racconto: Le metamorfosi di Ovidio. La futura esperta di dendrologia, Patricia, ne ha ricevuto da suo padre una versione popolare il giorno del suo quattordicesimo compleanno: «Per la mia adorabile figlia, che sa quanto è grande e vasto l’albero genealogico». L’incipit – «Ora permettimi di rivelarti come le persone si trasformano in altre cose» – riaffiora nella memoria di Patricia lungo la sua traiettoria nel racconto, illuminando quella del lettore. I nove personaggi conoscono infatti tutti una trasformazione essenziale, analoga a quella di Dafne, di Ciparisso, Filemone e Bauci. Attivisti, scienziati, avvocati e poeti si assimilano agli alberi che difendono, mentre una rete di radici si sviluppa tra loro, in una circolazione sotterranea di vita. La metamorfosi avviene nei due sensi. Gli alberi diventano antropomorfici, come nel caso degli esemplari straordinari che Patricia incontra nella foresta amazzonica: «Patricia non riesce nemmeno a immaginare a quale famiglia appartenga, figuriamoci il genere e la specie […]. Resta a bocca aperta. Nessuno le dice che cosa deve vedere. Lo capirebbe anche un bambino. Una persona miope con un occhio solo. In nodi e spirali, emergono nervature muscolose dal tronco liscio. È una persona, una donna, il torso ritorto, le braccia che dai fianchi si levano in alto in rami a forma di dita. Il viso, rotondo con un’espressione di preoccupazione, fissa con una tale intensità che Patricia distoglie lo sguardo […]. La figura è lì».
«L’immagine e la somiglianza» si manifestano ugualmente, in maniera meno spettacolare ma nondimeno percepibile, attraverso le metafore del narratore quando sposa la percezione dei suoi personaggi. Così, nel caso di Douglas Pavlicek, quando ricorda le sue scoperte: «Il modo in cui in primavera un acero arrossisce dall’estremità della chioma. L’applauso garbato dei pioppi tremuli. Un tasso che si espande in fuori, come un genitore che prende la mano del figlio». Le caratteristiche di ciascuna specie sono quelle di un altro essere vivente, l’uomo, anche lui specie verticale nello spazio del mondo.
In questa metamorfosi a doppio senso si apre una via di salvezza. E questo nonostante lo scoraggiamento che vince alcuni dei protagonisti. «Il genere umano è malato nel profondo. La specie non durerà a lungo. Si è trattato di un esperimento aberrante», afferma Adam Appich, psicologo, che si è unito agli attivisti arrampicati sulla loro sequoia. Powers non omette di citare il famoso versetto del libro di Giobbe: «Per l’albero c’è speranza» (Gb 14,7). In modo analogo, esiste una speranza per l’uomo, nella misura in cui egli coniuga il suo futuro con quello degli alberi, imparando da loro il segreto della longevità della specie. Perché gli alberi, spiega la biologa Patricia Westerford, sono una parabola vivente di solidarietà: comunicano gli uni con gli altri, si nutrono e si proteggono reciprocamente, costruendo estesi sistemi immunitari[5]. E aggiunge: «Abbiamo plasmato e siamo stati plasmati dalle foreste più a lungo di quanto siamo stati Homo sapiens».
Gli alberi magnanimi
Su questa reciproca appartenenza, Powers non è meno eloquente del suo personaggio; in un’intervista a Nicole Grundlinger, ritorna sulla saggezza degli alberi: «Ci insegnano che la sopravvivenza di ogni specie s’inscrive in una logica virtuosa fra tutte quelle che condividono lo stesso ecosistema. Più noi impariamo su di loro, più le loro lezioni in termini di adattamento e di interdipendenza risultano sorprendenti […]. Sono rimasto sbalordito nello scoprire come degli alberi attaccati da insetti siano capaci di allertare i loro vicini con segnali chimici, affinché questi secernano qualcosa con cui difendersi preventivamente. In effetti, questi alberi creano e diffondono il proprio sistema immunitario. Altrettanto sorprendente è il modo in cui essi condividono cibo e rimedi grazie a molteplici filamenti complessi che li collegano in una vasta rete sotterranea. Un grande abete Douglas può così proteggere una piccola betulla per decenni. Alcuni alberi convocano un battaglione di vespe per proteggerle da altri predatori. Altri forniscono rifugio e riparo alle formiche in modo che queste contrastino gli erbivori che pascolano troppo a lungo. Dei nocciòli sono capaci di comunicare tra loro per regolare la loro produzione annuale»[6].
Si sarà compreso che in questo vi è una lezione per la specie umana. Se l’umanità ha attraversato diverse epoche – identificate a partire da un progresso tecnologico che, purtroppo, fu spesso quello delle armi –, non deve abbandonare l’«età del legno»; voltando le spalle alla brama di sfruttamento, deve riapprendere le solidarietà di lunga durata insegnate dagli alberi: quelli che Patricia Westerford chiama «gli alberi magnanimi»[7].
Quando la realtà raggiunge la finzione
Uno dei personaggi più avvincenti del racconto è Douglas Pavlicek, un veterano della guerra del Vietnam, salvato da un gigantesco baniano, quando si era lanciato con il paracadute, «come un seme alato», dal suo C-130 abbattuto sopra la Cambogia. Determinato a combattere contro la deforestazione e la silvicoltura intensiva, egli pianta 50.000 alberi Douglas blu nel nord della California. Diventa così l’emulo di un personaggio di Jean Giono nel suo romanzo L’ uomo che piantava gli alberi (1953). Elzéard Bouffier, pastore, fa rivivere tutta la sua regione, in Alta Provenza, semplicemente piantando, con una delicata ostinazione, ghiande di querce e faggi. Ma i due personaggi immaginari sono stati superati da una recente iniziativa che ha coinvolto tutto il popolo etiope. Nella Green Legacy Initiative, l’Etiopia, la terza nazione più popolosa d’Africa, ha adottato misure per rimediare alla massiccia deforestazione che ha colpito il suo paesaggio, il clima e la vita sociale. Il 5 agosto 2019, 350.000 milioni di alberi sono stati piantati in 12 ore; l’obiettivo era piantare quattro miliardi di alberi entro la fine di settembre 2019[8].
Una logica virtuosa può così unire letteratura e impegno ecologico. Nel suo disincanto, Adam Appich fa notare a un certo punto della storia: «Le migliori argomentazioni del mondo non faranno cambiare idea alle persone. L’unica cosa in grado di farlo è una bella storia». Il fatto è che The Overstory è decisamente «una bella storia», che impegna chi la legge in una profonda metamorfosi. «È da tempo che gli alberi stanno cercando di comunicare con noi – fa osservare Patricia in un’opera che scrive –; solo che parlano su una frequenza troppo bassa perché risulti udibile dalle persone». La voce di un libro può aprire l’orecchio a quest’altra frequenza.
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THE TREE-WORLD. On the fringes of the Synod for the Amazon
On the margins of the Synod for the Amazon, his article recalls a North American parable, but one that is universal in scope. Richard Powers’ novel The Overstory, (Pulitzer Prize, 2019), is a powerful narrative of how we are connected to trees or, more precisely, that which unites the survival of one to the other. Nine characters, who initially have nothing in common, experience in one way or another the vital wisdom of trees. A network of roots begins to grow between them, thus expressing itself in so many “arborescences” in their crisscrossing stories. “Trees have been trying to communicate with us for a long time. Only that they speak on a frequency that is too low for people to hear.
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[1]. Forrest Gander, poeta, traduttore, saggista e romanziere, è nato nel 1956. Be With è un omaggio alla sua sposa Carolyn D. Wright, anch’essa poetessa, morta nel gennaio del 2016. Le opere Eye against Eye e Be With sono state pubblicate da New Directions (New York, NY) nel 2005 e 2018.
[2]. «There, in the rumpled quiet of the trees, we catch the most animate qualities. In the riffle of leafy detail, we sense the respiration of the forest» (Eye against Eye).
[3]. Il titolo The Overstory fa riferimento alla canopia, la zona di una foresta che corrisponde alla cima dei grandi alberi. Si tratta del dodicesimo romanzo scritto da Richard Powers (nato nel 1957). Come Forrest Gander, Powers riceve una prima formazione nelle scienze, in questo caso la fisica; tutte le sue opere mettono in atto le relazioni che uniscono la scienza (fisica, genetica, intelligenza artificiale), la tecnologia e l’arte, e l’esistenza umana. Il suo romanzo The Time of Our Singing è stato scelto come migliore libro dell’anno 2003 dal New York Times e dal Washington Post, e The Echo Maker (2006) è stato premiato dal National Book Award. Richard Powers vive ai piedi delle Great Smoky Mountains, nello Stato del Tennessee.
[4]. R. Powers, Il sussurro del mondo, Milano, La nave di Teseo, 2018; Id., L’ Arbre-Monde, Paris, Le Cherche Midi, 2018. Le citazioni nel testo sono tratte, con qualche rara modifica, da Il sussurro del mondo.
[5]. Dietro l’insegnamento del personaggio della finzione si sarà riconosciuto quello dell’ingegnere tedesco Peter Wohlleben e del suo best-seller mondiale Das geheime Leben der Bäume, Köln, Ludwig, 2015 (in it., La vita segreta degli alberi, Cesena [Fc], Macro, 2016).
[6]. Cfr www.ladn.eu/mondes-creatifs/richard-powers-opposer-nature-humanite
[7]. Tuttavia la biologa non è una idealista, ma sa come il legno – e dunque l’albero abbattuto – sia essenziale per la vita umana; pertanto è preziosa questa «regola d’oro» che dice: «Quello che ricavate da un albero abbattuto dovrebbe essere almeno prodigioso quanto ciò che è stato atterrato» (p. 609).
[8]. Si può seguire lo sviluppo della Green Legacy Initiative in https://pmo.gov.et/greenlegacy