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Da direttore della Civiltà Cattolica (1973-85), p. Bartolomeo Sorge ha segnato la vita del nostro Paese grazie alla sua capacità di interpretazione della vita politica ed ecclesiale. Il suo impegno è proseguito a Palermo (1986-96), dove ha diretto l’Istituto di formazione politica «Pedro Arrupe» e poi a Milano, come direttore della rivista Aggiornamenti Sociali fino al 2009. La sua esperienza è dunque ampia e il suo impegno fecondo, con interventi che non fa mancare, nonostante i suoi 90 anni di età. È proprio questa esperienza che lo rende non solamente un esperto, ma anche un testimone. Essa affiora per intero nel libro-intervista con Chiara Tintori, dal titolo Perché il populismo fa male al popolo. Le deviazioni della democrazia e l’antidoto del «popolarismo», che qui presentiamo nei suoi punti essenziali[1].
Il volume è una conversazione sul nostro Paese realizzata con lucidità di pensiero e immediatezza di espressione. Difficilmente si riesce a staccare l’occhio dalla pagina, anche perché p. Sorge non teme di prendere posizione con energia sui vari temi e sulla situazione politica italiana, oltre che sui suoi protagonisti. L’interlocutrice, Chiara Tintori, pone domande ben articolate e precise.
Il punto di partenza è il riconoscimento della presenza contemporanea di almeno tre crisi: economica, politica e culturale. La prima ha provocato una contrazione produttiva e delle opportunità di lavoro, portando con sé un aumento costante delle disuguaglianze. La seconda si manifesta nella progressiva perdita di capacità di rappresentanza degli interessi dei cittadini da parte dei partiti tradizionali. La terza comprende, tra gli altri, il disorientamento provocato dalle migrazioni, la diffidenza verso il «diverso» e il bisogno di sicurezza. Sorge mostra che davanti a queste crisi la risposta oggi è scomposta, e a tratti persino inquietante. E così nota come effetto un clima sociale divenuto aggressivo e divisorio. Questa è la cifra del dibattito politico nel quale l’avversario politico sembra essere trasformato in un nemico da combattere.
Le risposte che Sorge offre nella conversazione seguono idealmente l’«Appello “ai liberi e forti”» di don Luigi Sturzo, il manifesto redatto dalla Commissione provvisoria del Partito popolare italiano il 18 gennaio 1919, al momento della fondazione. Il sacerdote siciliano aveva posto come punti essenziali della sua intuizione politica i seguenti (ripresi dal volume nei capitoli che si susseguono): l’ispirazione religiosa, la laicità, il primato del bene comune e il riformismo.
La tensione etica e ideale
Sorge inizia evocando il I Convegno della Chiesa italiana su «Evangelizzazione e promozione umana» (Roma, 30 ottobre – 4 novembre 1976). È stato un incontro che ha segnato un’epoca e al quale bisognerebbe ritornare per ritrovare lo spirito giusto per affrontare la transizione che stiamo vivendo[2]. Poiché si prevedeva la fine della Dc, il Convegno era chiamato a pensare una nuova forma di presenza politica dei cattolici in Italia, più in linea con l’intuizione popolare sturziana. Ma alla fine, lamenta Sorge, la sfida non fu accolta. E cominciò una stagione politica che ha creato le condizioni per la crescita e la diffusione del populismo di oggi: il venir meno del senso dello Stato e del bene comune.
In questo tempo si è fatta largo la convinzione che la maggioranza parlamentare si identifichi con il popolo intero, e i leader dei movimenti populisti hanno portato all’imbarbarimento culturale, avvelenando la società italiana con odio, egoismo, discriminazione delle persone immigrate, razzismo e xenofobia. Pertanto, il problema più urgente per ridare un’anima alla politica è aiutare la democrazia a ritrovare la sua fondazione etica. In questo senso la Chiesa deve assumersi le proprie responsabilità, anche riflettendo sul modo in cui ha affrontato questi anni recenti nel rapporto tra politica e vita ecclesiale.
La laicità come stile
È convinzione di p. Sorge che dopo la fine delle ideologie del Novecento, tutte smentite dalla Storia, i «liberi e forti» ai quali il popolarismo si rivolge ancora oggi siano tutti coloro – credenti e non credenti – che si riconoscono in un programma riformista di cose da fare, ispirato ai valori di un umanesimo trascendente, ma mediato in scelte laiche, condivisibili da tutti gli uomini di buona volontà.
Ciò implica quello che Sorge chiama «laicità positiva», che consiste nell’incontrarci in ciò che ci unisce tra diversi, per crescere insieme verso un’unità sempre maggiore, nel pieno rispetto dell’identità di ciascuno. Il concetto di «laicità positiva», quindi, si applica bene ai rapporti politici fra i partiti: il dialogo necessario per realizzare una «buona politica» suppone che si superi ogni rigido «confessionalismo», non soltanto religioso, ma anche ideologico. Quest’ultimo, infatti, può bloccare la possibilità di incontro e di collaborazione tra forze diverse in vista del bene comune, che è poi il fine stesso della politica. In questo senso, è da considerare superata per sempre l’innaturale contrapposizione tra «partiti laici» e «partito dei cattolici», tipica dell’epoca, ormai tramontata, delle grandi ideologie di massa.
L’orizzonte del bene comune
Sorge affronta poi il terzo tema, chiarendo il significato dell’espressione «bene comune». Esso non si può ridurre alla sommatoria del bene privato dei singoli. Il riferimento alla dimensione sociale è invece intrinseco al vero concetto di bene comune, che riguarda tutti i membri di una comunità. «Si può dire, insomma, che il bene comune comprende l’insieme di quelle condizioni di vita che consentono e favoriscono lo sviluppo integrale sia delle singole persone sia della società nel suo insieme» (p. 49). La società, infatti, non è un’etichetta che si aggiunge dall’esterno, ma nasce dall’interno stesso della persona, la cui natura è intrinsecamente sociale.
Purtroppo oggi, a causa dell’individualismo e dell’egoismo dominanti, c’è il rischio che si cada nell’errore di far coincidere il bene comune con il benessere materiale di una parte della comunità sociale o di un Paese. Non solo: sembra che il «bene comune» sia stato sostituito dalla parola «popolo», termine ridotto però a una nozione ambigua e vaga.
Afferma lucidamente p. Sorge: «Stiamo vivendo un tempo in cui non passa giorno senza che gli attuali governanti evochino il popolo, contrapposto alle élite, come principio e fine dell’azione politica. La suddivisione della società in due gruppi antagonisti – il popolo puro e le élite corrotte – è alla base dell’ideologia populista. Il popolo, “maltrattato” dalle istituzioni, dai partiti, dagli attori economici, diviene oggetto e soggetto della democrazia» (pp. 52 s).
La sovranità appartiene al popolo, ma bisogna aggiungere sempre che esso «la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», come afferma la nostra stessa Carta costituzionale. P. Sorge mette in guardia: il populismo ha in sé una vocazione anti-pluralista, e molte sue forme sono solo varianti del personalismo tipico delle forme dittatoriali di esercizio del potere politico.
Un riformismo coraggioso
Altro punto chiave della riflessione compiuta in questo libro è il riformismo proprio del popolarismo, presentato come via da perseguire. È un metodo che consiste nel dare la precedenza all’analisi economica e sociale sulla sintesi politica, fondata sul nesso tra principio di solidarietà e principio di sussidiarietà. In Italia, nel primo semestre del 2018, il 20% più ricco tra i cittadini deteneva circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale. Questi sono dati sconcertanti, che dovrebbero sollecitare risposte urgenti e strutturali.
Sorge ripete la lezione di papa Francesco, che non confonde la pace sociale con l’irenismo che mette a tacere i più poveri. Le rivendicazioni sociali, che hanno a che fare con la distribuzione delle entrate, l’inclusione sociale dei poveri e i diritti umani, non possono essere soffocate con il pretesto di un’effimera pace per una minoranza felice. Il malgoverno della globalizzazione ha accentuato le disuguaglianze, e la perdita di reddito e di sicurezza economica e sociale ha contribuito alla diffusione del populismo da parte di chi specula sul male del popolo per fare i propri interessi.
La soluzione, per p. Sorge, sta nella piena maturazione della coscienza democratica dei cittadini. Non solo: ma una volta finita l’epoca delle ideologie di massa, occorre rivedere anche la vecchia forma ideologica dei partiti che le incarnavano. Essi oggi sono chiamati non più ad aggregare soggetti intorno a un’ideologia per affermarla contro le altre ideologie concorrenti, bensì a spingere i cittadini ad agire per il bene comune, attraverso scelte coraggiose e concrete. Se il populismo è al potere, sarà difficile evitare il progressivo svuotamento degli organi di mediazione propri della democrazia rappresentativa.
I cattolici e la politica oggi
Sorge quindi affronta il tema dei cattolici in politica a partire dal popolarismo: non una generica ispirazione ideale, ma un progetto originale di società che si propone di giungere alla democrazia matura. Esso pone la coscienza religiosa a fondamento delle libertà politiche, e punta a realizzare una società aperta alla partecipazione responsabile e sussidiaria dei cittadini e dei corpi intermedi.
Don Sturzo si rivolgeva non soltanto ai cattolici, ma a tutti «i liberi e forti», credenti e non credenti. P. Sorge ammette che nessuno finora è riuscito a realizzare veramente il popolarismo così come lo aveva concepito don Sturzo. Questo è davvero importante ricordarlo: la sua intuizione si rivelò prematura sia sul piano storico sia su quello ecclesiale. Lo stesso don Sturzo negò sempre decisamente che la Dc rispondesse al modello di Partito popolare da lui sognato. Il popolarismo rimase, dunque, un’intuizione profetica, sebbene le sue concretizzazioni storiche siano da valutare attentamente.
Sorge poi espone la storia del progetto popolare così come si è sviluppato, da Martinazzoli al Pd, con luci e ombre. Nel suo percorso non manca di indagare gli anni più recenti. In particolare, nota che le componenti che avevano costituito il Partito democratico come moderno partito liberal-sociale e riformista non si sono fuse in vera unità, con un ethos politico condiviso. Questo che cosa ci dice oggi? Come dialogheranno tali anime? Qual è il loro destino alla luce delle recenti evoluzioni e della nascita di Italia viva?
P. Sorge ha scritto questo volume prima di tali recenti avvenimenti, ma la sua lettura risulta utile, perché approfondisce, in modo agile e insieme profondo, il problema, toccando la questione delle riforme istituzionali, la mancanza di una vera «destra» in Italia, la tormentata fase della sconfitta renziana.
Le stesse specifiche critiche al Movimento Cinque Stelle appaiono superate negli ultimi mesi, ma torna utile leggerle per comprendere una mutazione che in realtà sembra toccare l’intero quadro politico del nostro Paese.
Sorge ribadisce l’importanza dell’impegno dei cattolici in politica, che non significa che essi debbano oggi raccogliersi in un solo partito, come fecero con la Democrazia cristiana. Lo stesso don Sturzo – p. Sorge lo ripete più volte – non pensò mai a un soggetto unitario per tutti i cattolici, mentre essi hanno il dovere di ispirare ai valori evangelici e alla dottrina sociale della Chiesa la loro presenza in politica. I cristiani – egli aggiunge – sono chiamati a realizzare questo compito insieme con tutti i loro concittadini, senza pretendere di imporre un’etica confessionale. Ricordiamo qui che papa Francesco più volte ha parlato dell’importanza dell’«amicizia sociale», che è il fondamento del vivere civile e della coesione di una nazione.
Chi sono i cristiani che fanno l’Italia? Sorge addita semmai «una nuova presenza politica dei cristiani sotto forma di un’“area popolare democratica”, aperta a tutti i riformisti, al di là dei rigidi confini di un partito, capace di agire da fermento della società civile per il raggiungimento del bene comune e di fini politici importanti» (p. 96). La sua proposta certamente si colloca all’interno di un dibattito molto attuale, specialmente alla luce dell’anniversario sturziano e delle tensioni politiche che si sono sprigionate recentemente nel nostro Paese.
Il politico cristiano, dunque, impegnandosi nella costruzione della «casa comune», affronterà i rischi e farà le scelte condividendo insieme con tutti gli altri le incertezze della ricerca e dell’azione; anche sapendo che le regole democratiche, della laicità e del pluralismo vanno rispettate. Avrà la certezza di non tradire la propria identità cristiana, se – dice Sorge – in circostanze particolari dovrà accettare sul piano legislativo un male minore per evitarne uno maggiore, o sottostare alla necessaria gradualità nel perseguire la mediazione in termini politici di valori morali in sé assoluti.
Questo richiede dai cristiani di acquisire un’abilità non semplice: collaborare con partner politici di diverso orientamento culturale, ricercando il maggior bene concretamente possibile, in dialogo con gli uomini di buona volontà. E ciò, ovviamente, senza rinunciare mai a testimoniare la forza profetica e critica del Vangelo in cui credono. Tocca poi alla Chiesa intera annunciare profeticamente, con la parola e con la vita, che il potere di Dio è diverso dal potere di chi comanda nel mondo.
P. Sorge espone un programma di scelte concrete: «A partire dal primato della persona, dalla solidarietà e dalla laicità, su cui è possibile l’incontro, vanno ripensati l’esercizio e la tutela dei diritti umani, della libertà (anche di espressione), della legalità; la riforma delle istituzioni; le regole del mercato e della produzione; lo Stato sociale; la difesa del lavoro attraverso l’innovazione e la lotta alla precarietà; il rifiuto del razzismo e la politica dell’accoglienza e della integrazione dei flussi migratori; la tutela dell’ambiente; la dimensione europea e mondiale dei problemi dello sviluppo; la cooperazione internazionale» (p. 94). È interessante confrontare in maniera critica queste indicazioni con quelle che hanno portato alla formazione dell’attuale governo italiano.
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La lettura di Perché il populismo fa male al popolo rivela almeno due grandi fonti. Da una parte, la lucidità di un pensiero che si è formato grazie allo studio e all’approfondimento, e la forza di un’esperienza, a suo modo unica, che p. Sorge ha vissuto e di cui è testimone. Siamo convinti, raccomandando il volume, che si tratti di una lettura importante, perché capace di riconnettere l’oggi al passato degli ultimi 40 anni. Sorge lo fa in maniera sintetica ed estremamente chiara. D’altra parte, egli inserisce questa storia nella tradizione del cosiddetto «cattolicesimo democratico», dal quale vengono tratti giudizi per valutare il quadro politico attuale e i partiti che ne sono i protagonisti.
E non mancano la «profezia» e la «parresia», nonché l’onestà, per dire che non sempre oggi abbiamo tutte le risposte certe che vorremmo avere, e che quindi l’impegno reale e concreto con la storia – errori possibili inclusi – è fondamentale per capire e agire bene nel prossimo futuro.
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“PERCHÉ IL POPULISMO FA MALE AL POPOLO”. A book and conversation with fr. Bartolomeo Sorge
The volume presented here is a conversation with Fr. Sorge about Italy, realized with lucidity of thought and immediacy of expression. The starting point is the recognition of the simultaneous presence of three crises in Italy, namely: economic, cultural and political. Fr. Sorge warns against populism, which has an anti-pluralist vocation in and of itself; he maintains that the full maturation of citizens’ democratic conscience must be encouraged; and, he reiterates the importance of the commitment of Catholics in politics, collaborating with political partners of different cultural orientations and seeking the greatest possible good in concrete terms, in dialogue with people of good will.
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[1] Cfr B. Sorge – C. Tintori, Perché il populismo fa male al popolo. Le deviazioni della democrazia e l’antidoto del «popolarismo», Milano, Edizioni Terra Santa, 2019. I riferimenti alle pagine presenti nel testo sono relativi a questo volume.
[2] Cfr B. Sorge, «Un “probabile Sinodo” della Chiesa italiana? Dal I Convegno ecclesiale del 1976 a oggi», in Civ. Catt. 2019 III 449-458.