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Hoel è un giovane neuroscienziato, che però con Le rivelazioni dimostra di essere già in grado di percorrere, se non tracciare, nuovi sentieri per la letteratura. A patto che il lettore capisca che, come da sempre, la letteratura non è un elemento isolato, ma una dimensione anche dello spirito in permanente contatto con l’arte, la scienza e l’intera condizione umana. L’A. parla di un sé divenuto Kierk Suren, che deve affrontare, da giovane neuroscienziato, il mondo che dovrebbe essere il suo e che invece egli vede come un universo di schiavi proni al meccanicismo irriflessivo, al mercato, ai compromessi con il sistema e pronto alla violenza sugli animali.
Kierk paga cara la sua naturale ricerca di altro, e non solo di teoremi e assiomi, consapevole che l’occhio dello scienziato non è tutto nello sguardo su un creato che è assai più complesso di quanto si possa pensare e che soprattutto non tiene conto della coscienza. Il lungo romanzo racconta il cammino del giovane scienziato verso la conoscenza profonda di un universo che non può prescindere dall’occhio dell’osservatore e dalla domanda assoluta su cosa sia la coscienza.
Le risposte dei suoi colleghi al Centro per la ricerca sulle neuroscienze a New York sono a volte beffarde, a volte disarmate, o cariche di una partecipazione che, come accade a Carmen, diviene amore. Un amore però minacciato sia dal passato di lei – che la famiglia avrebbe voluto modella per la sua bellezza e per il miraggio dei facili soldi, e non scienziata, come poi invece lei ha deciso di essere –, sia dalle violente crisi depressive di Kierk, il quale vede «olisticamente» la sua ricerca, anche perché questa è accompagnata dalla lettura profonda di Socrate, Platone, Wittgenstein, Russel, e da una prospettiva in cui è presente una concezione religiosa del mondo.
San Paolo sulla via di Damasco torna spesso nelle pagine del libro, diviso tra la tendenza raziocinante del maestro di Kierk, scettico docente universitario che gli rimprovera di leggere filosofi e poeti, e dei suoi stessi compagni di avventura, e la visione del giovane scienziato, che vede in Paolo la caduta – la rinuncia alla corrente di pensiero dominante – e la rinascita nel cuore, non solo nella ragione.
Non è un vezzo pseudoreligioso, ma una forza interiore che gli altri chiamano, con il linguaggio d’oggi, «depressione, fissazione, paranoia»: la ricerca di senso anche nella scienza induce Kierk a rinunciare a un percorso – quello del dottorato – che lo avrebbe portato lontano e che invece lo consegna alla strada, al vagabondaggio, a dormire in macchina, con il rischio di essere aggredito di notte da bande di teppisti.
Ma molte altre realtà si incontrano e interagiscono in questo racconto: la violenza sugli animali, giustificata dalla ricerca fine a sé stessa; la questione della limitatezza delle ricerche condizionate da assiomi e dipendenze da regole precedenti; i limiti e le seduzioni dell’intelligenza artificiale: la domanda antica, ma sempre attuale, sulla sensibilità non solo degli esseri umani, ma anche degli animali, delle piante, dell’intero creato.
Le attuali segnalazioni di una situazione di non-ritorno per l’inquinamento, gli attacchi all’ecosistema, le coltivazioni selvagge, l’uso di combustibili fossili, la colonizzazione pseudoscientifica, mascherata da sempre maggior velocità e efficienza, questi elementi sono tutti impliciti in un racconto che apparentemente parla d’altro, di un settore specifico della ricerca, ma che in realtà illustra come una scienza apparentemente neutrale possa rappresentare un’alleanza con un certo potere politico, con possibili ampliamenti di mercati non immediatamente legati al consumo, ma con ricadute in tempi più lunghi, anche attraverso una visione autoreferenziale della scienza: una situazione che cerca di eliminare le domande che a Kierk sembrano assurde perché collegate con la filosofia e con la metafisica e che in realtà significano momenti fondamentali di riflessione sul pericolo di un progresso solo materiale.