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L’autore, filosofo e teologo domenicano, prendendo spunto dalla riflessione provocatoria di Kierkegaard sull’incapacità del cristiano di assumere il paradosso della fede, distingue tra cristianesimo e cristianità, intendendo con il primo termine l’opera e i documenti che si sono realizzati nel corso di duemila anni dall’evento Cristo (teologia, predicazione, chiese, monasteri, pratiche religiose) e con il secondo termine «una qualità dell’essere come in umanità oppure, in maniera ancora più espressiva, in giovialità» o, con le parole di Maurice Bellet, «l’intuizione che può rappresentare nell’umanità l’emergere del Cristo» (p. 48). Mentre il cristianesimo ha una sua visibilità e pratica realizzazione, la cristianità rimane sconosciuta agli stessi cristiani, perché richiede un’apertura totale all’essere dispiegato dall’evento Cristo; richiede perciò una conversione continua, una destabilizzazione e messa in discussione della definitività delle sue realizzazioni: «Il cristianesimo [come cristianità] esiste solo quando resta incerto della sua esistenza; esiste veramente solo quando, per esistere, può assicurarsi solo del “Regno” che è la sua forza di richiamo e la sua apertura insuperabile» (p. 13).
La parte centrale del libro ripercorre le numerose tentazioni di chiusura di tale processo, mostrate sotto l’apparenza di bene come sicurezze a buon mercato, facili scorciatoie che impediscono di prendere sul serio il rischio della fede, sostituendo al vocabolario del Vangelo un «disvangelo», una sua superficiale «verniciatura», incapace di trasformare l’intimo della persona. L’autore ne dà un esempio eloquente riportando un passo di Jean Paul Sartre: «Da duemila anni le certezze cristiane […] appartenevano a tutti, ad esse si richiedeva di brillare nello sguardo di un prete, nella penombra di una chiesa, e di illuminare le anime, ma nessuno aveva bisogno di attribuirsele; erano patrimonio comune. La buona Società credeva in Dio per non parlare di Lui» (p. 15).
Il cristianesimo di appartenenza presenta alcune modalità ricorrenti. Anzitutto l’assenza di speranza, propria del falso amante che non ha la pazienza di attendere il ritorno dell’amato: cercando di evitare la sofferenza della mancanza, si evita la possibilità di un incontro che cambi la vita. Un altro grave equivoco è vedere nel Vangelo il rispecchiamento dei propri desideri, scoprendo invece che essi restano puntualmente delusi. E questo perché la nostra idea di felicità è fatta di luoghi comuni, antitetici alla vita: pretendere la totale assenza di turbamenti, di problemi, di imprevisti significa essere morti. Essere vivi, invece, comporta correre dei rischi, e soprattutto lasciarsi mettere in discussione dai paradossi della vita. Per questo la distruzione dei nostri progetti è una grande grazia, perché «il Vangelo ci fa desiderare ciò che il nostro desiderio non sospetta nemmeno» (p. 59), dimostrando in ciò la sua garanzia di autenticità, irriducibile alle proiezioni delle nostre fantasie.
Nella parte finale vengono presentati i percorsi di vita propri della cristianità. Anzitutto mettere in conto che la difficoltà della sequela consente di fare chiarezza nel cuore, aiuta a superare gli ostacoli che si frappongono al cammino e a riconoscere la paradossalità del dono ricevuto: essere investiti della dignità di figli. Collin nota come nel Vangelo di Marco Gesù chiami qualcuno «figlio» soltanto in due casi: nell’episodio del paralitico guarito (come derivato del verbo «mettere al mondo»), e nel discorso ai discepoli dopo l’incontro col giovane ricco. Entrambi gli episodi mostrano la posta in gioco per entrare nella nuova vita: «Nell’uno e nell’altro caso si tratta di entrare o addirittura di passare da un foro! Il paralitico come il ricco devono acconsentire al rischio di perdere ciò che non si può portare con sé sul davanti dell’esistenza, il “gonfiore” dell’io. E siccome il ricco ha più da perdere, si ritira» (p. 147). Solo assumendo il rischio che il Vangelo prospetta si può accogliere il dono della nuova vita.
DOMINIQUE COLLIN
Il cristianesimo non esiste ancora
Brescia, Queriniana, 2020, 208, € 20,00.