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Socrate fu maestro di pensiero, portò l’attenzione speculativa dai princìpi generativi del mondo alle qualità morali del vivere, insegnò che subire l’ingiustizia è meglio che commetterla, e costituì una cerchia di allievi nei cui confronti esercitava l’abilità di un’ostetrica, cioè non li indottrinava, ma mostrava loro le contraddizioni di certe congetture e il significato nascosto delle spontanee aspirazioni, come traendolo fuori da un animo che ne era gravido. Pertanto, quando oggi si fa la storia degli esercizi spirituali, insegnava il filosofo Pierre Hadot, bisogna ricordare il contributo e le sollecitazioni storiche di Socrate, il quale praticava un esame di coscienza in forma dialogica, invitando a preferire beni spirituali a quelli materiali e a evitare la vergogna più che il semplice disonore pubblico.
Luca Mori, ricercatore di Storia della Filosofia presso l’Università di Pisa, documenta in modo dettagliato i metodi di questa technē (arte, artigianato) per coltivare la psychē (anima), al fine del prendersi cura di sé, governare gli eccessi emotivi, lottare assieme contro gli errori, correggere i vizi di individui e istituzioni. Tale training filosofico ha un carattere integrale: coinvolge l’esercizio di mente e corpo, esige l’apprendistato di una «bottega», guarda al leader non solo come a un pensatore, ma come a un modello etico, rispetto a cui confrontare la propria biografia e promuovere le virtù centrali (nell’ottica precristiana): temperanza, fermezza, equità, responsabilità. I dialoghi platonici disegnano Socrate – il saggio che non scrisse nulla di suo – come la grande personalità che custodì l’antica lezione della poesia greca ed esplicitò il senso della gnomica oracolare: «Conosci te stesso»; «Niente di troppo».
La collana «Filosofie dell’esercizio» dell’editore ETS, curata dallo stesso Mori, comprende i testi dedicati a Patañjali ed Evagrio, e si focalizza sulle tecniche dell’esame filosofico di sé stessi, sui rapporti con la fortuna (o sfortuna) mondana, sulle relazioni intersoggettive. Lo scopo è quello di guadagnare non tanto un sapere dottrinale più esteso intellettualmente, quanto una virtuosa coerenza esistenziale.
Lo spaesamento prodotto dall’incontro con Socrate, la paralisi transitoria generata dalla forza della confutazione magistrale (elenchos) e la sollecitazione pungente a un’autocritica severa promuovono la consapevolezza che il sapere (a noi disponibile) è poca cosa rispetto a quel non-sapere che mantiene aperta l’appassionata ricerca della verità. Karl Jaspers inserì Socrate tra «le personalità decisive», assieme a Gesù, nel libro I grandi filosofi (1957): prima dei riformatori creativi (come Agostino), prima dei pensatori metafisici (come Anselmo), alcuni coraggiosi esploratori dello spirito aprirono la breccia verso sentieri imprevisti, personalmente coinvolgenti.
Rimangono ovviamente aperte le aporie che Socrate (attraverso la mediazione di Platone) consegnò al dibattito successivo: la compatibilità tra l’ignoranza socratica e la certezza delle priorità valoriali e la sicurezza delle sue radicali confutazioni; l’unità della lezione del maestro e la molteplicità delle scuole che ne derivarono; la vantata (ma tutt’altro che scontata) coincidenza tra felicità e virtù; l’autarcheia come l’ideale del «bastare a sé stessi» nell’indipendenza dai bisogni; l’intellettualismo etico, secondo cui chi fa il male lo commette solo involontariamente per ignoranza. Questi punti furono discussi, con esiti diversi, dai primi autori cristiani (cfr i giudizi di Giustino, Cassiano e Tertulliano riportati da Mori).