Ivano Fossati, nato a Genova nel 1951, ha saputo commentare poeticamente la realtà attraverso canzoni e musiche dalla fine degli anni Sessanta fino alla prima decade degli anni 2000. Il 2012 è stato infatti l’anno in cui ha deciso di ritirarsi dalle scene concertistiche, senza tuttavia concludere definitivamente il suo lavoro di artista. Negli anni Settanta, con il gruppo Delirium incide il primo 45 giri, intitolato «Canto di Osanna», e poi nel 1972 partecipa al Festival di Sanremo, presentato da Mike Bongiorno, con la celebre «Jesahel». Dall’ascolto della canzone[1], notiamo come Fossati musicalmente cercasse di distanziarsi dal concetto classico di canzone, prevedendo dei cori di carattere hippy, un’incessante ritmica di percussioni e soprattutto delle improvvisazioni al flauto, utilizzato non in maniera classica, ma di effetto, di stampo moderno. Si ispirava così a una tecnica somigliante a quella di Ian Anderson, un componente del gruppo rock inglese Jethro Tull, famosi all’epoca.
Già dalla fine degli anni Sessanta divenne intensa la sua collaborazione con il musicista Oscar Prudente, con cui scrisse anche «Pensiero stupendo», interpretata da Patty Pravo (1978), uno dei suoi maggiori successi. Fossati ha saputo scrivere canzoni per le migliori cantanti italiane: tra di esse, l’indimenticabile Mia Martini, per la quale compose «La costruzione di un amore» (1978); e la sorella Loredana Berté, per la quale scrisse «Dedicato» (1979).
Conclusasi in breve tempo l’esperienza musicale con il gruppo Delirium, Fossati si dedica a una carriera solista, dove comincia a sperimentare – attraverso una contaminazione di linguaggi musicali che vanno dal rock al jazz, dalla musica latina a quella cantautoriale – la forza poetica della parola e del suono. Gli anni Settanta e Ottanta saranno incentrati su sonorità rock, psichedelia e innovazione, come possiamo notare nella canzone «Jangada» (1973), dal forte espressionismo musicale dato dalla presenza del suono del flauto traverso e dallo Hammond, o nell’intero album Good Bye Indiana (1975), nel quale egli suona tutti gli strumenti, o, infine, nel brano «Matto» (1977), in cui è presente un accompagnamento di strumenti tipici del genere rock, che dialogano con un’orchestrazione di archi di ampio respiro.
A metà degli anni Ottanta, il cantautore genovese cambia registro sonoro, scegliendo una strada più intimistica e con atmosfere impregnate di ritmi che riecheggiano la musica brasiliana, caraibica, come mostra il brano «Buontempo» (1987), o atmosfere etniche, come ne «La pianta del tè» (1988).
Gli anni Novanta sono caratterizzati da una maturazione del proprio stile, con una comprensione
Contenuto riservato agli abbonati
Vuoi continuare a leggere questo contenuto?
Clicca quioppure
Acquista il quaderno cartaceoAbbonati
Per leggere questo contenuto devi essere abbonato a La Civiltà Cattolica. Scegli subito tra i nostri abbonamenti quello che fa al caso tuo.
Scegli l'abbonamento