
Tutto comincia con una malattia, una grave polmonite interstiziale che Annalena Benini vive negandola fino quasi all’ultimo respiro, fino a un passo dall’irreparabile: «Mi serviva quell’influenza per riposarmi, stare a letto, dormire, non allattare mio figlio, non fare niente». C’è in lei un bisogno di solitudine, di ricerca. La malattia sembra il sintomo, la somatizzazione di questa necessità che la ritrae dai flussi della vita.
Due Annalena
I suoi gesti a casa sono mossi dalla certezza di essere invisibile: «Mi sono alzata e sono andata in cucina perché sapevo che la casa era vuota e io non volevo vedere nessuno». Non riesce a coincidere con sé e con i suoi affetti, Annalena. Il marito si preoccupa, seppure con totale rispetto, ma lei fugge. Alla fine in ospedale ci arriva e si salva. E quello diventa il luogo di un peculiare esercizio dello spirito.
La copertina del libro.
L’infermiera che il primo giorno l’aveva aiutata a spogliarsi le ha anche tolto dal collo una collanina d’argento, l’ha messa sul comodino accanto al letto. Era fatta di piccole sfere, e lei l’ha usata quasi ogni notte come un rosario: al buio prendeva in mano la collanina fredda e parlava con Dio («Non saprei come altro chiamarlo se non Dio»). Inizia un’avventura segreta. Il grande vantaggio di Dio per Annalena era quello di sapere che lui sapeva già tutto, «quindi io che ero senza forze potevo anche dire le frasi a metà dentro la mia testa, e lui andava a prendersi il resto da solo. Pensavo, anche un po’ scorbutica: se gli interessa, andrà a prendersi il resto. Se vuole sapere davvero che cosa è successo, entra lì dentro e lo trova».
E che cosa c’è nella testa di Annalena? Un rovello: «E se morissi oggi? Se morissi senza avere amato di più?». Questa domanda viene da un’altra Annalena, Annalena Tonelli, nata a Forlì e uccisa a Borama, in Somalia nel 2003, a sessant’anni. Sua madre era cugina del nonno della Benini, che conservava quelle domande su un foglietto, attaccato con una molletta da bucato alla scrivania, dal suo ritorno a casa dall’ospedale. L’ha ricopiata dai volumi di lettere della cugina.
Annalena per la convalescenza non è uscita di casa per un mese, e in quel mese ha conosciuto l’altra Annalena che le «si arrampicava nel cervello la notte» con le frasi delle sue lettere alla famiglia, lettere lunghissime, accurate, serie, misteriose, piene di vita ma anche di morti,
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