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Edith Stein non finisce mai di sorprendere. Lo testimoniano questi scritti, raccolti da madre Amata Neyer (nel 2001 era superiora del Carmelo di Colonia e direttrice dell’«Archivio Edith Stein») e dalla professoressa Beate Beckmann, che li ha pure introdotti. Si tratta per lo più di relazioni tenute dall’A. negli anni 1926-1933, redatte durante la sua attività di insegnamento a Spira e a Münster.
Il libro, che tratta della formazione e dell’educazione, è composto da quattro parti: «Questioni fondamentali della pedagogia», «Il mandato cristiano della formazione», «Dibattiti pedagogici tra le due guerre», «Formazione universitaria cattolica». Ciò consente di avere un quadro completo delle riflessioni della Stein su un argomento a lei particolarmente caro in quegli anni: le indagini sulla «differenza fra maschile e femminile, sulla formazione di uomini e donne all’interno della Chiesa e della società» (p. XI). In particolare, l’A. insiste sulla formazione religiosa, soprattutto dei giovani. Il compito formativo cristiano comporta un approfondimento del senso del credere, facendo leva sui sacramenti, tra i quali l’Eucaristia occupa un posto di primo piano.
La filosofa, che all’Università di Friburgo, era stata assistente di Edmund Husserl, padre della fenomenologia, indica due esempi di formatori: santa Teresa d’Avila e san Tommaso d’Aquino. Ma è soprattutto la prima a segnare la sua vita, tanto che lei la definisce «educatrice, maestra, formatrice di uomini» (p. 136).
Nei saggi raccolti ritroviamo condensate molte questioni che Edith Stein aveva già trattato nelle sue analisi filosofico-fenomenologiche – dalla questione gnoseologica a quella antropologica, dalle analisi sull’esperienza religiosa a quelle sulla società e sullo Stato –, ma, rispetto alle opere principali, questi scritti non sono soltanto delle semplici appendici: rappresentano un ulteriore contributo al processo di formazione di insegnanti e genitori, affinché il loro compito sia come una donazione di se stessi alla realizzazione dell’ideale nella realtà umana.
Nella prima conferenza pubblica, tenuta l’11 settembre 1926 a Spira, l’A. afferma: «Nessuno ci conosce appieno come noi siamo, e neanche noi stessi ci conosciamo. Se il fine dell’educazione individuale dovesse basarsi su una conoscenza piena dell’individualità, dovremmo rinunciare a priori alla nostra attività educativa. L’unico in grado di educare a quello che è il fine dell’individuo sarebbe Dio. E in ultima analisi questo è pur vero» (p. 14).
Per Edith Stein, insegnare significa «farsi mediatori di conoscenza» (p. 10). Fine e mezzo dell’insegnamento sono la chiarezza delle idee e la verità dei concetti e dei giudizi. «Ed ecco l’esito consolante al quale ci conduce la nostra indagine: la scuola diretta in modo appropriato compie un’opera di formazione sociale che rende l’uomo idoneo a qualsiasi comunità. Sviluppa abilità e senso civico, prontezza nell’ordinare e nel subordinare, che daranno buoni risultati sia in famiglia sia nella vita pubblica. Ed essa può condurre alla comunione d’amore con gli uomini tutti in Dio» (p. 51).
L’insegnante si trova, nel suo lavoro di formazione sociale, in una posizione più favorevole rispetto ad altri che mirano allo stesso scopo. Ma nel lavoro di formazione, osserva l’A., si procede sicuri «solo se ci rimettiamo incondizionatamente nelle mani di Colui che, solo, sa ciò che di noi dovrà essere e, solo, ha il potere di condurci a tale meta a condizione che noi abbiamo buona volontà» (p. 73).
Va ricordata infine la relazione «L’intelletto e gli intellettuali», che la Stein tenne il 2 dicembre 1930 all’Università di Heidelberg e nella quale sottolineò che l’intellettuale trova il giusto atteggiamento nei confronti del proprio intelletto soltanto «nella luce dell’eterna verità».
EDITH STEIN
Formazione e sviluppo dell’individualità
Roma, Città Nuova – OCD, 2017, XXX-274, € 28,00.