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ABSTRACT – Secondo alcuni analisti, il 2018 potrebbe essere l’ultimo anno in cui si combatte in Siria, prima che si dia inizio a negoziati di pace seri. I tavoli aperti – cioè quello di Ginevra, quello di Astana e quello di Sochi – si sono dimostrati finora ancora incapaci di risolvere la grave situazione, sulla quale pesano anche gli altissimi costi della futura ricostruzione e la questione degli oltre 7 milioni di rifugiati siriani, cui deve essere consentito di ritornare a casa.
Sul piano operativo – salvo inattesi sconvolgimenti, in realtà sempre possibili –, sembra ormai evidente che Assad e i suoi alleati russi e iraniani abbiano vinto dal punto di vista militare, sebbene queste forze siano ancora impegnate sul territorio per eliminare le ultime resistenze anti-regime. Queste finora hanno fatto una strenua opposizione, che Damasco, secondo diverse fonti di intelligence, avrebbe cercato di stroncare ricorrendo persino all’utilizzo delle armi chimiche, vietate dalla legge internazionale.
Il rapporto tra Assad e il probabile utilizzo di armi chimiche è una storia «a parte» che vale la pena di ripercorrere, perché in qualche modo ha caratterizzato le fasi di questa interminabile guerra e ne ha determinato gli esiti.
Detto dei «vincitori», l’atteggiamento degli occidentali, e in particolare degli Usa, verso la Siria è piuttosto ambiguo, dovuto soprattutto alla mancanza di una chiara strategia politica mediorientale. Ricordiamo che, sotto il profilo bellico, gli Usa si trovano in una posizione piuttosto scomoda, per il fatto che i propri alleati sul territorio – cioè le Forze democratiche siriane, costituite da curdi e da arabi – sono attaccati dalla Turchia, ossia da un membro della Nato. Peraltro, con la quasi-sconfitta militare dello Stato Islamico, gli occidentali, e in particolare Trump, ritengono di aver ottemperato ai loro impegni nella regione, abbattendo le roccaforti dell’Isis ed eliminando i terroristi; pertanto spingono per lasciare il campo di battaglia agli altri attori regionali.
In realtà, la condotta statunitense su questo punto non è stata sempre univoca. E la presenza o meno delle truppe statunitensi in Siria non è un fatto secondario, e neppure può essere surrogata dalla presenza dei «clienti» regionali sul teatro di guerra.
Ora i bombardamenti del 14 aprile pare abbiano voluto dare un chiaro segnale circa la determinazione delle potenze occidentali – in particolare Usa, Francia e Inghilterra – a non tollerare più che Assad riutilizzi le armi chimiche per annientare le opposizioni, spingendole ad abbandonare i loro territori, e nello stesso tempo a riaffermare con forza che il potere degli Stati Uniti nella regione è ancora notevole, tanto da poter incidere sull’esito del conflitto.
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THE WAR IN SYRIA
The Middle East peace negotiations have so far proved inappropriate to solving the grave Syrian situation. On an operational level, it now seems clear that Assad and his Russian and Iranian allies have won the war, although these forces are still engaged on the territory to eliminate the last anti-regime resistance. These forces have given fierce opposition, which Damascus, according to various sources of intelligence, has tried to suppress by even resorting to the use of chemical weapons, which are prohibited by international law. In this article the history of the relationship between Assad and the use of chemical weapons is retraced for this is the element that has characterized, in some way, the phases of this interminable war and has determined its outcomes.