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L’arte contemporanea ha offuscato e persino eclissato la tradizionale nozione di bellezza quale carattere distintivo dell’opera. Le ragioni sono molteplici. In un contesto pluralistico come quello delle società contemporanee, sono diversi i criteri che qualificano un’opera come gradevole, armonica, chiara, integra, e la fondazione teorica di queste proprietà è altamente controversa.
In secondo luogo, si è imposto come valore il carattere veritativo del gesto artistico, cioè la sua capacità di esplorare zone prima velate, rimosse, occultate della realtà, tutti aspetti che venivano celati in quanto dissonanti rispetto al cosiddetto «buon gusto».
In terzo luogo, da Duchamp in poi, si è riconosciuto che ogni oggetto d’uso comune può venire trasfigurato in opera, se presentato intenzionalmente dall’artista in luoghi (come il museo, la collezione, lo spazio pubblico dedicato) che il mondo e i cultori dell’arte accreditano come autorevoli.
Infine, la body art («l’arte del corpo») ha focalizzato l’attenzione dei fruitori non tanto sull’oggetto finito, quanto sull’esecuzione, sulla performance, sul gesto individuale o sull’interazione collettiva, che produce «in diretta» quei referenti sensibili (visivi, acustici, tattili) che noi avvertiamo come carichi di un significato ulteriore (aboutness), per quanto indistinto e misterioso esso sia.
In questo volume Tiziana Andina, docente di Filosofia teoretica all’Università di Torino, aggiorna e amplia le sue argomentate ricostruzioni delle diverse modalità filosofiche di pensare l’opera artistica: da Platone e Aristotele a Hegel, Nietzsche, Heidegger, Wittgenstein, sino a Margolis, Danto, Ferraris.
Particolarmente istruttiva è la distinzione, divenuta sempre più importante, tra «giudizio ontologico-artistico» (volto a chiarire se ci si trovi davanti a un pezzo artistico o a un semplice ready-made, ossia a un oggetto bell’e pronto, o a uno strumento utile per raggiungere fini concreti) e «giudizio estetico» (impegnato a valutare l’opera, attribuirla, misurarne la qualità, giustificarne l’originalità). Il primo livello esige competenze teoriche e ragionamenti astratti, universali; il secondo richiede una capacità critica specifica, una finezza interpretativa, un’intelligenza comparativa e un gusto educato.
Il testo dell’Andina ha il pregio di applicare le cifre speculative a casi ed eventi storicamente significativi, come il fraintendimento della scultura di Brâncusi Bird in Space (uccello nello spazio), derubricato a utensile al passaggio nella dogana Usa nel 1926; come lo strano film Empire, girato da Andy Warhol nel 1964, riproducendo per 24 ore, con camera fissa, l’Empire State Building; come la mania per i tulipani nell’Olanda del Seicento, fiori che giunsero a simboleggiare bellezza, benessere, ascesa sociale, garanzia commerciale, valore monetario, potere economico.
Il lettore viene utilmente sollecitato a verificare la pertinenza dei propri presupposti (l’arte deve riprodurre la realtà? Deve abbellirla per fini educativi? O ripresentarla sotto veste nuova?) e si sentirà uno dei nuovi soggetti che concorrono alla creazione e fruizione delle opere contemporanee.
La tesi dell’autrice è che, nonostante le innovazioni delle avanguardie, «in fondo, le opere d’arte sono state e sono sempre la stessa cosa», e che, per poterne offrire una buona definizione, occorre considerarle «come oggetti simili alle parole; dunque, oggetti che abitano la medesima regione ontologica del linguaggio» (p. 55). Sono oggetti o azioni fisiche che veicolano significati.
TIZIANA ANDINA
Filosofie dell’arte. Da Hegel a Danto
Roma, Carocci, 2019, 240, € 19,00.