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Nei primi decenni del Cinquecento l’Etiopia, unico regno cristiano dell’Africa, era sottoposta alla forte pressione espansionistica dei musulmani, sostenuti dai turchi, cosicché i suoi regnanti si rivolsero per aiuto al Portogallo. Una spedizione militare portoghese fu inviata nel 1541.
Nel 1545 il re Claudio mandò un ambasciatore a Lisbona, chiedendo per la Chiesa di Etiopia un patriarca inviato da Roma anziché, come era stato fino allora, da Alessandria, centro della Chiesa monofisita. Il re di Portogallo, Giovanni III, favorevole alla nascente Compagnia di Gesù, si rivolse a Ignazio di Loyola, che considerò subito la cosa di estrema importanza per riportare all’unione con Roma quella grande e antica Chiesa cristiana. Ignazio scelse 12 padri (il numero degli Apostoli) e accettò in via eccezionale che uno di loro fosse nominato patriarca dal Papa e due venissero designati come suoi vescovi ausiliari, dando loro nel 1555 sapienti istruzioni per la missione. Ma le difficoltà furono tali che la spedizione non ottenne i frutti sperati.
Il primo gruppo di gesuiti giunti in Etiopia, guidato dal vescovo ausiliare e poi patriarca Andrea di Oviedo, esiliato in una località marginale (Fremona), era praticamente estinto quando nel 1589 due padri spagnoli, Antonio Monserrate e il giovane Pedro Páez, che si trovavano in India, furono incaricati di andare in Etiopia per continuare l’impresa. Ma durante il viaggio essi furono catturati dai musulmani, passando ben sette anni di prigionia nel Sud dell’Arabia. Riscattati, rientrarono a Goa nel 1596.
Nel 1603 Páez venne nuovamente inviato in Etiopia, e questa volta riuscì effettivamente a raggiungerla in modo avventuroso. In 19 anni di attività straordinaria, guadagnò a tal punto la fiducia del negus Susenyos che questi accolse la fede cattolica e cercò di instaurarla nel Paese.
Páez, che morì nel 1622, è quindi il protagonista del breve periodo di successo della missione etiopica dei gesuiti. L’opposizione del clero monofisita, condivisa da diversi capi locali, divenne sempre molto forte. La posizione rigida del nuovo patriarca gesuita Mendes contribuì a peggiorare la situazione. Dopo la morte di Susenyos, avvenuta nel 1632, il figlio Fasilidas restaurò la fede tradizionale ed espulse i gesuiti dal Paese nel 1633; anche Mendes tornò a Goa. Dei 12 gesuiti che cercarono di rimanere, uno solo sopravvisse: tutti gli altri vennero uccisi. Così la storia della missione dei gesuiti in Etiopia si concluse tragicamente.
Forse proprio per questo la figura di p. Páez è rimasta a lungo nell’ombra, ma merita di essere riscoperta. A ciò contribuisce questo volume, che raccoglie per la prima volta insieme la gran parte delle sue lettere conservate – una trentina, alcune molto lunghe, tutte affascinanti –, che ci mettono in contatto con un missionario appassionato, che non si arresta davanti ad alcun pericolo e ad alcuna fatica.
Páez è il primo europeo a vedere e a descrivere dettagliatamente le sorgenti del Nilo Azzurro, ma si impegna anche nella costruzione di chiese ed edifici in muratura con tecniche assolutamente nuove per l’Etiopia. Conosce perfettamente l’arabo, la lingua ge’ez, fondamentale per la liturgia e la tradizione religiosa etiopica, e la lingua etiopica corrente, cioè l’amarico. La conoscenza dei testi religiosi etiopici e la solida preparazione teologica gli consentono di condurre molte e lunghe conversazioni e dispute, anche alla presenza dell’Imperatore. Insomma, Páez fa parte a pieno titolo di quella schiera di missionari gesuiti che sono stati veri giganti dell’opera di evangelizzazione e allo stesso tempo protagonisti del dialogo culturale.
Oltre alle lettere, il volume comprende altri testi importanti. Il gesuita Wenceslao Soto studia con molta cura la prima parte della vita di p. Páez (nascita, giovinezza, ingresso e formazione nella Compagnia di Gesù). Interessante è anche l’indagine archeologica compiuta da una équipe dell’Università Complutense di Madrid su tutti i resti degli edifici delle antiche missioni gesuitiche in Etiopia, che mette in luce la novità di quelle costruzioni e il contributo che esse hanno dato allo sviluppo dell’architettura nel Paese. Infine, il libro comprende anche una breve storia della Chiesa cattolica in Etiopia fino ai nostri giorni (con le due grandi figure di san Giustino de Jacobis e del card. Guglielmo Massaia) e una presentazione dell’attività svolta dai gesuiti dal 1945 fino a oggi.
I contributi sulla presenza umile e operosa della Chiesa cattolica in Etiopia nei due ultimi secoli invitano alla speranza e fanno riflettere sul modo giusto in cui partecipare al cammino di un popolo di tradizione religiosa maggioritaria diversa. Le vicende degli antichi gesuiti, e in particolare di p. Páez, rimangono tuttavia un capitolo molto importante nella lunga storia spirituale e culturale del popolo etiopico e dei suoi rapporti con l’Europa e con Roma.
El Jesuita Pedro Páez. Cartas desde el Nilo Azul
a cura di WENCESLAO SOTO ARTUÑEDO
Aranjuez, Xerión, 2020, 518, s.i.p.