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La canzone è letteratura? Al di là della comprensibile querelle sulla natura del genere, è evidente che la proliferazione di libri, articoli, saggi critici e, più di tutto, il consenso unanime che si respira attorno alla questione non possono essere ignorati. Recentemente è stata pubblicata un’edizione critica di testi springsteeniani, corredata di una ripartizione tematica in tre macroaree – Jungleland, This Hard Land, Better Days –, ognuna delle quali è suddivisa in sottocapitoli, con l’intenzione di ricostruire, nella poetica del cantautore di Freehold, l’affresco di un «grande romanzo americano» (p. 138). Fondamentale è l’apparato di note ai testi, che descrive la pubblicazione, la registrazione, la prima esecuzione dal vivo, e commenta le varianti e i riferimenti culturali di ogni canzone.
Appare chiaro fin da subito che Colombati situa l’autore non tanto nella sfera d’influenza della poesia quanto in quella della narrativa. D’altra parte, anche il poeta Peter Balakian ha affermato che «nel suo insieme, il rock americano può essere visto come un lungo e ancora incompleto poema epico americano». E Franz Werfel, in Das Lied von Bernadette, ci ha insegnato che l’epica moderna è concepibile soltanto in prosa.
Con numerosi richiami alla tradizione biblica, l’autore narra le vicende, anche controverse, della provincia, prediligendo il «sottoproletariato urbano», «l’infelicità della condizione socioeconomica» e «la realtà cupa e violenta della strada» (pp. 59 s). Sono le tematiche ad approssimare il genere: l’american dream si articola nella speranza di rintracciare la sospirata promised land, gettandosi «sull’autostrada 9», perché i «vagabondi come noi sono nati per correre» (Born to Run, p. 215).
Dei 18 album registrati in studio, molti – in particolare The River, Nebraska e The Ghost of Tom Joad – si rifanno a una vera e propria linea della letteratura americana: quella di John Steinbeck e di Flannery O’Connor, nella quale la crudezza degli avvenimenti viene superata dal senso di conversione religiosa, che il rocker jerseiano traduce in una sorta di ricerca della redenzione. D’altra parte, della sua adolescenza religiosa resta ancora l’aria impregnata nei recenti spettacoli a Broadway: «Vivevamo a pochi passi dalla chiesa cattolica – ha raccontato Springsteen durante lo show –, dalla rettoria del sacerdote, dal convento di suore e dalla scuola elementare Santa Rosa da Lima. Sono cresciuto letteralmente circondato da Dio. […] Se sei cattolico, lo resti per sempre».
La dimensione del narrare nella O’Connor coincide con la possibilità di affermare una spiritualità pungente, che in Springsteen si trasfigura nel riscatto metaforizzato dalla discesa in strada, la celebre percorrenza di Thunder Road, in cui appaiono fughe sulla statale, auto che viaggiano a rompicollo «nella notte nera come la pece» (Stolen Car, p. 263), fratelli di sangue sotto i ponti e l’amore come unica aspettativa di serenità: Soffia l’uragano, / segue un temporale, / poi, quando il cielo torna sereno, / sembra l’annuncio di un mondo diverso: / ci prenderemo cura l’uno dell’altro, / come Gesù ci disse di fare. / So fare tutto, / andrà tutto bene (Jack of All Trades, p. 411).
Persino la gioia delle nozze nasconde la pienezza estatica del tempo che deve arrivare: Laggiù, sotto il ramo della quercia presto saremo sposati. / Se dovessimo perderci nella sera, tra le ombre degli alberi, / io ti aspetterò / e se dovessi restare indietro io, / aspettami tu (If I Should Fall Behind, p. 487).
Che Gesù sia per Springsteen «uno di casa» lo confermano molti brani nei quali l’immaginario cristiano è lo sfondo ispirativo delle vicende. Pezzi come Brilliant Disguise, The Rising, My City of Ruins, Land of Hope and Dreams posseggono un potente impianto di attualizzazione del divino, nonostante lo scarto dato dalla sofferenza. Come ricorda la O’Connor, «se si crede nella divinità di Cristo, bisogna avere caro il mondo, pur dovendo lottare per sopportarlo» (p. 89).
In questo modo l’opera springsteeniana si inserisce non tanto nella letteratura tout court, quanto nella propagazione infinita dei mondi letterari e della diramazione di una creatività senza etichette. Immagini secolari si ripresentano in una nuova formula sintetica (la canzone), in un inedito contesto formale (parole e musica), con quella freschezza che ne attesta l’estremo potere catalizzatore, come si nota in Jesus Was an Only Son: Così Gesù baciò le mani di sua madre / e le sussurrò: «Madre, trattieni le lacrime, / perché – ricorda – l’anima dell’universo / ha voluto ciò che si sta compiendo» (p. 361).
BRUCE SPRINGSTEEN
Come un killer sotto il sole. Testi scelti (1972-2017)
a cura di LEONARDO COLOMBATI
Milano, Mondadori, 2018, 864, € 34,00.