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La pubblicazione italiana delle Opere complete del celebre pedagogista e filosofo austriaco Ivan Illich (1926-2002) è un evento editoriale di grande importanza. Tale iniziativa, promossa dalla casa editrice Neri Pozza, è inaugurata da questo volume, dotato non solo di un rigoroso apparato di note, ma anche di un interessante saggio introduttivo di Fabio Milana, che traccia i contorni della vicenda intellettuale e biografica dell’autore.
In effetti, è difficile resistere alla seduzione di questa figura così originale di prete e di profeta militante. Milana ci accompagna lungo gli anni tortuosi che dall’impegno pastorale per gli immigrati portoricani a New York conduce Illich alla fondazione in Messico del «Centro per la formazione interculturale», volto alla preparazione linguistica e culturale dei volontari inviati dagli Usa in America Latina. Sono gli anni del progetto missionario con cui la Chiesa cattolica intende affiancare la politica culturale di Washington nel cosiddetto «Terzo Mondo».
Dal rifiuto di un «Vangelo a servizio del capitalismo» prende però le mosse una diatriba con il Vaticano che porterà Illich alla rinuncia dell’esercizio del ministero sacerdotale.
Dell’autore sono noti al grande pubblico soprattutto i pamphlets degli anni Settanta, come Deschooling Society (1971) o Medical Nemesis (1976), che prendono di mira le grandi istituzioni dell’Occidente, mentre queste facevano terra bruciata – e non solo in senso metaforico – delle culture umane e dei mondi tradizionali.
Gli scritti raccolti in questo primo volume (1951-71) permettono invece di fare un passo indietro, entrando nel cantiere intellettuale dell’autore (tutto interno al contesto ecclesiale, come testimonia bene il suo contributo al Concilio Vaticano II), rivelandone il profondo senso teologico. Si scopre allora il debito inaspettato verso autori come Maritain e Guardini, mentre qualcuno rimarrà sorpreso nel trovare la dissertazione di laurea, finora inedita, dedicata alla filosofia della storia di Toynbee, discussa nello stesso anno della sua ordinazione sacerdotale a Roma (1951).
Leggendo questi scritti si scopre la grammatica fondamentale del pensiero di Illich: mito, religio, istituzione e pianificazione versus mistica, fides, persona e consapevolezza. Al centro di questa polarità si muove l’esperienza del «cambiamento», che certamente da sempre connota l’esistenza umana, ma che nella nostra epoca di permanente innovazione tecnologica comporta un rischio di sradicamento e di alienazione.
È forse grazie alla meditazione sull’atto del morire come transizione estrema – a cui è dedicato un saggio centrale – che Illich riconosce la missione autentica della Chiesa nella «cristiana celebrazione del cambiamento». La realizzazione del Regno non è per lui il susseguirsi di piccoli passi fino all’ultimo giorno di un tempo prefissato, seguendo un programma d’azione che il cristianesimo dovrebbe orientare, ma una forma di consapevolezza, una modalità diversa – liturgica – di stare nel mondo.
Alcuni di questi primi scritti – ad esempio, La Chiesa senza il potere o Tramonto del clero – contengono in nuce la polemica successiva di Illich contro la macchina burocratica moderna, la cui radice è per lui un tradimento dell’originario messaggio evangelico: la carità, da offerta libera di un’amicizia, è stata trasformata in una pratica di servizi benevoli in cambio di consenso. Da qui anche l’intuizione più originale dell’autore: come l’amore cristiano ha delegittimato ogni limite che l’antichità poneva all’incontro con il prossimo, così il suo pervertimento in sviluppo e utilità sociale rischia di diventare uno strumento di potere sconfinato.
Il pensiero di Illich si sgrana tra questa infinita apertura alla sorpresa dell’altro e un altrettanto rigoroso riconoscimento del limite del nostro essere nel mondo.
IVAN ILLICH
Celebrare la consapevolezza
Milano, Neri Pozza, 2020, 896, € 35,00.