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Nuraghes S’Arena è un cortometraggio di genere fantastico del 2017 ideato, scritto e diretto da Mauro Aragoni. Se vogliamo gustare l’ambiente antichissimo e selvaggio della Sardegna caratterizzato dai nuraghi, possiamo anche partire da questa, che è la prima opera cinematografica a rappresentare la civiltà nuragica sul grande schermo. Ma questa è solo l’ultima opera in ordine di tempo a ispirarsi a tale civiltà straordinaria.
L’interesse de La Civiltà Cattolica per i nuraghi risale al 1886 quando apparve una ampia riflessione suddivisa in dieci articoli dal titolo «Studii recenti sopra i nuraghi e la loro importanza», poi raccolti in un volume nel 1888. L’autore, il gesuita Alberto Maria Centurione, vantava dei nuraghi «la loro singolarità, moltitudine ed alta antichità cui tutti ad una voce proclamano», riconoscendone il mistero, nonostante i tanti studi che paiono in realtà «lampi di fuggitivo chiarore atti a lasciare i Nuraghi in un caos di cozzanti opinioni» (in Civ. Catt. 1886 I 3 s).
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La Sardegna è la regione italiana con il più elevato numero di monumenti naturali, rappresentati da entità geologiche, vegetali, paleontologiche o idriche. Caratteristica peculiare di questa terra sono i nuraghi, innalzati in terra sarda dal Bronzo Medio al Bronzo Finale nell’arco di 600 anni (circa 1600-1000 a.C.). La civiltà nuragica nel suo complesso si svolge nell’arco di circa mille anni, estendendosi sino al I Ferro (circa 1000-510 a.C.).
Proprio in questa fase finale avvenne un’importante opera di ristrutturazione e riutilizzo sacro dei nuraghi, che originariamente erano case-fortezza. Nei villaggi emergono soprattutto gli edifici sacri, piccoli gioielli dell’architettura: i templi dell’acqua – come l’edificio sacro di Su Tempiesu di Orune –, o templi a pozzo e dell’acqua sorgiva, e i templi celesti. I nuraghi sono costruzioni cave di pietre naturali di forma squadrata: ogni masso veniva collocato in modo da incastrarsi con gli altri, partendo dal basso e costituendosi a forma di cono. Ma è bene sapere che nel tempo i nuraghi cambiarono profondamente la loro forma.
Con l’occupazione punica e romana – rispettivamente nel 510 e 238 a.C. –, i nuraghi-tempio furono sottoposti a saccheggio, ma alcuni mantennero la funzione sacra almeno sino ai primi secoli dopo Cristo, traendo spesso il nome dai santi. Così avvenne ai tempi della conquista bizantina, quando divennero luoghi per le sepolture – come San Teodoro di Siurgus Donigal –, intitolati a santi. In questo senso risulterebbe interessante dedicare studi e ricerche alla costruzione di itinerari del sacro in terra sarda. L’occasione opportuna è offerta dal fatto che oggi essi sono ufficialmente candidati nella lista dei siti riconosciuti dall’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura) quali «patrimonio dell’umanità», come già sono stati certificati in Italia i siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino e l’arte rupestre della Val Camonica.
Perché «patrimonio dell’umanità»?
Il complesso archeologico di Su Nuraxi a Barumini – abitato dal secondo millennio a.C., fino al III secolo a.C. – è riconosciuto già patrimonio Unesco. Adesso invece l’obiettivo è far entrare nella lista tutto l’insieme della civiltà nuragica della Sardegna: da Nughedu San Nicolò, in provincia di Sassari, a Nuraghe Arrubiu, a Orroli in provincia di Cagliari. La Sardegna ne conta circa 7.000, molti dei quali ancora in piedi, accanto a 3.500 domus de janas – che sono tombe preistoriche scavate nella roccia, tipiche della Sardegna prenuragica, il cui nome allude alla casa (domus) di Diana/Jana, la dea della luna notturna –, menhir infissi al suolo, e tanto altro.
Senza uguagliare i complessi nuragici della Sardegna, ci sono altri siti archeologici nel Mediterraneo che li ricordano e che sembrano far parte della stessa matrice culturale, quali i talaiot delle Baleari, le Torri della Corsica e i sesi di Pantelleria. Certo è affascinante indagare queste connessioni aperte nel Mare Nostrum, eco di quelle relazioni umane fra popoli che vantavano almeno in parte ascendenze comuni e avevano, comunque, ritrovato un’unità mediterranea, valore oggi da promuovere in ogni modo.
Il 31 marzo 2021 si conoscerà l’esito della richiesta avanzata dal comitato promotore «Sardegna verso l’Unesco» – presieduto da Michele Cossa –, che insieme al Centro di ricerca, sviluppo e studi superiori (Crs4: da visitare http://nurnet.crs4.it/nurnetgeo/) e il Dass (Distretto aerospaziale della Sardegna) ha contribuito a creare una mappatura dettagliata del patrimonio archeologico, anche grazie all’uso di tecnologie d’avanguardia quali l’uso dei droni, la realtà aumentata e la geolocalizzazione. E il riconoscimento si unirebbe a quello – ottenuto nel 2008 – del «canto a tenore», proprio della cultura pastorale sarda, quale «patrimonio immateriale dell’umanità».
Indubbiamente la promozione dei nuraghi da parte dell’Unesco avrebbe una ricaduta diretta sulla Sardegna e sull’Italia. Essa andrebbe integrata in un ampio modello di sviluppo sostenibile, rispettoso delle comunità locali e dei valori culturali e identitari della civiltà sarda. Insomma, non può e non deve più valere la costruzione poetica dell’epoca nuragica intesa come un beato isolamento.
Ma è chiarissima anche la rilevanza mondiale del riconoscimento. Essa è la denominazione ufficiale delle aree registrate nella lista della «Convenzione sul patrimonio mondiale», adottata dalla Conferenza generale dell’Unesco il 16 novembre 1972. Il suo scopo è quello di identificare e mantenere la lista di quei siti – 1.121 in 167 Stati – che rappresentano particolarità di eccezionale importanza da un punto di vista culturale o naturale.
Un capolavoro del genio umano
La rilevanza culturale dei nuraghi appare evidente. Essi sono costruzioni che, per la loro architettura, unità e integrazione nel paesaggio, meritano l’ambito riconoscimento del loro valore universale eccezionale sotto l’aspetto storico e artistico. Rappresentano un capolavoro del genio creativo dell’uomo, e mostrano un importante interscambio di valori umani, in un lungo arco temporale, sugli sviluppi dell’architettura e nel disegno del paesaggio. Sono testimonianza di una civiltà, in quanto sono un esempio straordinario di una tipologia edilizia che illustra una fase della storia umana. Questo certifica l’eccezionale valore universale e l’unicità dell’immenso patrimonio di lasciti della civiltà nuragica.
L’inclusione di essa nella lista Unesco andrebbe salutata con le parole del citato p. Centurione: «Mentre tutte le maggiori nazioni fanno a gara in promuovere lo studio non solo de’ monumenti patrii, ma degli stranieri, ben dee gradire l’Italia che sia fisso lo sguardo nella sua Sardegna coronata qual è di torri sfidatrici de’ secoli» (ivi, 3). La sua valorizzazione mondiale sarebbe quanto mai opportuna e fonte di ispirazione.
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Gli studi di p. Centurione vennero considerati soprattutto nuovi nel metodo con il quale il gesuita procede e dal quale scaturiscono le sue riflessioni sistematiche. Emerse già allora che da una metodologia più attinente alla concretezza delle costruzioni nuragiche può prodursi una profonda e fondata esegesi dei misteriosi nuraghi. Centurione propone di procedere per «tutt’altra via» per fatti certi, muovendo «…costantemente dal noto all’ignoto».
Alberto Maria Centurione, nasce a Genova il 24 marzo 1834. Entra nella compagnia di Gesù il 25 marzo 1851. Pubblica la sua opera più importante nel 1888. Sarà sempre ricordato per l’impegno personale, la sagacia di osservazione e il grande servizio che il gesuita ha reso alla storia della causa dei nuraghi. Muore nel 1889 nel Collegio di Monaco Principato.