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Di fronte a uno scenario complessivo pericolosamente instabile, Sergio Romano utilizza la storiografia e l’analisi del presente per esaminare i tanti focolai di crisi che, nel corso degli ultimi decenni, hanno contribuito ad alimentare il disordine mondiale e le tensioni che ormai caratterizzano le relazioni internazionali.
Dal Medio Oriente all’Africa, dall’ex blocco sovietico all’America Latina, la fine della «guerra fredda» sembra aver accentuato la conflittualità presente in tanti ambiti regionali, avendo favorito, tra l’altro, anche il riarmo nucleare in Asia. A proposito poi della litigiosità che contraddistingue il mondo musulmano, l’A. scrive: «Non vi è zona del mondo in cui vi sia una più alta concentrazione di guerre, conflitti civili, terrorismo, crisi di regime, transizioni politico-istituzionali. E non vi è paese della regione in cui non vi sia, dietro la crisi internazionale, una crisi dello Stato» (p. 83). Appare inoltre importante evidenziare come in Medio Oriente si stia combattendo, giorno dopo giorno, uno spietato conflitto tra le due maggiori anime dell’islam: la sunnita e la sciita.
L’A. non manca però di dedicare grande attenzione ai rapporti esistenti nell’ambito dell’Unione Europea (Ue), mettendo lucidamente in rilievo la fondamentale differenza che distingue i Paesi fondatori da quelli di Visegrad. I componenti del gruppo originario avevano fatto proprio un progetto unitario con l’intenzione di rinunciare – sia pure gradualmente – a quelle potestà nazionali che si erano rese responsabili di due guerre mondiali. I quattro di Visegrad invece sono usciti dal blocco sovietico con la speranza di riconquistare una sovranità della quale, per decenni, erano stati privati. Hanno sì aderito all’Ue, ma per poter attingere a sostanziosi aiuti economici e offrire ai loro cittadini la possibilità di inserirsi in un mercato del lavoro più ampio.
A proposito delle prospettive dell’Ue, Romano individua l’esistenza di almeno quattro fattori che dovrebbero concorrere alla realizzazione di un’Europa federale. Anzitutto, la cosiddetta «Brexit», che dovrebbe rendere più agevole una sempre maggiore integrazione ed essere dunque considerata un’opportunità da cogliere. In secondo luogo, l’avvenuta elezione di un Presidente statunitense tendenzialmente isolazionista, alla luce della quale – sostiene l’ex ambasciatore – «la UE ha l’obbligo e l’interesse a pensare a sé stessa, soprattutto in materia di difesa» (p. 200). Il terzo punto riguarda i vari movimenti euroscettici che, malgrado i tanti proclami, si rivelano piuttosto indecisi sul da farsi e appaiono, dunque, sostanzialmente incapaci di svolgere un ruolo da protagonisti. L’ultimo aspetto concerne l’auspicabile affermazione della cosiddetta «Europa a cerchi concentrici», che, in quanto tale, potrebbe avanzare alla volta della progressiva unificazione, anche senza il consenso di tutti i membri. Appare difficile negare, d’altra parte, come solo gli Stati continentali e le grandi confederazioni siano ormai in grado di affrontare le sfide imposte dalla globalizzazione. Una considerazione, questa, che dovrebbe essere sufficiente a spingere l’Ue verso un’integrazione più piena.
Queste affermazioni e questi auspici fanno di Romano un europeista convinto, che vede però un’Ue piuttosto lontana dagli Usa, mentre a suo avviso – soprattutto per ragioni di carattere economico – i diversi governi del vecchio continente dovrebbero avviarsi sulla strada di un progressivo «disgelo» con la Russia. A quest’ultima egli dedica osservazioni assai acute, che tuttavia non eliminano le perplessità relative alla sua scarsa cultura democratica e all’aggressività della sua politica estera. In altri termini: è desiderabile che una cosiddetta «democratura» diventi il nostro principale partner commerciale? E che, sul versante delle relazioni con gli Stati Uniti, i Paesi europei considerino ormai conclusa la lunga e fortunata stagione dell’atlantismo?
SERGIO ROMANO
Atlante delle crisi mondiali
Milano, Rizzoli, 2018, 288, € 20,00.