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Stephen King è da anni considerato l’autore di letteratura horror più prolifico e forse anche più letto: più di 60 romanzi, oltre 100 racconti, diverse novelle e alcune sceneggiature fanno parte della sua opera, per quanto pubblicato finora. Il gusto di King per occasionali scivoloni non ne sminuisce la capacità di padroneggiare le storie.
Chiunque abbia letto il suo classico It non può sottrarsi all’orrore del male, all’orrore della violenza completamente senza empatia, dell’imprevedibile che colpisce dall’oscurità: sette bambini, lottando contro un gruppo di ragazzi violenti, intraprendono la lotta contro un mostro, It, che appare spesso sotto le spoglie di un clown e uccide i bambini. Diventati adulti, i ragazzi riprendono a combattere contro questo mostro.
Chiunque abbia avuto a che fare con l’aggressività tra pari può imparare da questo romanzo come la violenza del bullismo abbia conseguenze permanenti sulle vittime. Per fare i conti con le loro esperienze traumatizzanti dell’infanzia, i sopravvissuti all’aggressività dei coetanei nella loro giovinezza affrontano una seconda volta, da adulti, la lotta contro il loro potente avversario. È così che trovano la pace.
Chiunque abbia a che fare con l’orrore della violenza vive chiedendosi il perché. Già i salmi lo testimoniano ripetutamente: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 22,1). La domanda sul perché è più che una semplice domanda sulle cause della violenza: esprime sofferenza per il fatto che essa non trova risposta. La «causa» della violenza, si potrebbe dire, è il male.
Ma questo sposta semplicemente la risposta alla domanda sul perché. Allora perché c’è il male, e perché colpisce proprio me? Nella lotta contro il male, la ricerca delle cause non è di aiuto. È inevitabile la lotta in una situazione in cui non si possono identificare le cause della violenza diretta contro di me o contro un «noi». Allo stesso tempo, l’assenza di una causa per il male costringe a chiedersi come affrontarlo…
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