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Cultura e società Scienza e tecnologia

Quando abbiamo smesso di capire il mondo

Un romanzo di Benjamín Labatut

Paolo Beltrame

17 Aprile 2021

Quaderno 4100

Una dea seduttrice e inarrestabile

È interessante osservare come nella società e nella cultura di oggi stia gradualmente germogliando un sempre più profondo interesse per i concetti della fisica contemporanea, specialmente per la meccanica quantistica. Le posizioni filosofiche che il modello quantico racchiude (e dischiude) e il carattere paradossale ed enigmatico (ma pur sempre calcolabile) della realtà che esso svela suscitano una fascinazione sempre più viva, anche da un punto di vista artistico e letterario.

Il romanzo di Benjamín Labatut (autore cileno nato a Rotterdam nel 1980) Quando abbiamo smesso di capire il mondo[1] si inserisce in questo filone. Esso ci presenta la fisica dei quanti in un’avvincente e sapiente storia intrecciata e corale, in cui gli eroi principali – tra i quali Heisenberg, Schrödinger, de Broglie, solo per citarne alcuni – appaiono come attori illuminati da riflettori fugaci. Essi ci rivelano le loro vicende e i loro drammi, tanto storici e collettivi quanto intimi e «spirituali».

Nel romanzo, l’onirico metafisico e il sentimentale si intrecciano allo scientifico e all’oggettivo; il progresso scientifico appare come un percorso sbalorditivo e, al tempo stesso, fatale: la fisica assume le sembianze della favolosa Afrodite – affascinante, coraggiosa e maliziosa – e anche dell’enorme dea Kali, mostruosa, orribile e inarrestabile, inestricabilmente sovrapposta all’eleganza della prima. La scienza è l’incantevole «blu di Prussia», come pure l’esiziale cianuro e il mortale gas Zyklon B (usato dai nazisti nei campi di sterminio).

Ed è proprio in questo dualismo sconcertante che sembra germogliare la fisica dei quanti. Secondo la «nuova fisica» la luce esiste in due modi diversi e contraddittori: essa è costituita sia da onde (la radiazione elettromagnetica) sia da particelle (i fotoni). E non è soltanto la luce a godere di questa peculiarità: tutto ciò che esiste, tutta la materia possiede tale dualismo. I fisici degli inizi del secolo scorso avevano «ideato» qualcosa che essi stessi non capivano. E come avrebbero potuto?

Un mondo di possibilità inaccessibili

La teoria dei quanti aveva svelato una realtà incredibilmente più misteriosa di quello che gli scienziati stessi si sarebbero potuti aspettare. Nella realtà quantistica il mondo non è popolato di fatti e di eventi indipendenti e concreti, bensì è un palcoscenico in cui pullulano innumerevoli possibilità e storie parallele, tutte sovrapposte, descritte dal formalismo matematico. L’idea del «reale» era stata impietosamente uccisa e vaporizzata. La transizione dal «possibile» al «reale» avviene solo durante l’atto dell’osservazione o della misurazione. Tutto ciò, per gli scienziati del XX secolo (tra i quali Albert Einstein), sembrava tradire l’anima stessa della scienza. La fisica fino a quel momento era stata fondata sul solido castello conoscitivo, e predittivo, del legame causa-effetto.  Ma ogni cosa veniva polverizzata dal «principio di indeterminazione» del giovane Heisenberg.

L’abilità letteraria di Labatut consiste nel presentare in maniera squisitamente letteraria e romanzata concetti scientifici che risulterebbero ostici o praticamente inaccessibili ai più, che non padroneggiano il formalismo matematico. Uno dei protagonisti del racconto afferma persino che il fisico, come il poe­ta, non deve descrivere i fatti del mondo, ma creare metafore e connessioni mentali: quando si parla di atomi, il linguaggio può essere utilizzato unicamente come poesia. La natura quantistica del mondo ha infatti richiesto una lingua nuova.

Non a caso, nel corso del romanzo, le esperienze dei fisici sono strettamente legate a opere poetiche e letterarie (anche attinte dalla sapienza orientale). Heisenberg, durante la sua formulazione del principio di indeterminazione sull’isola di Helgoland, si immerge nella lettura del Divano occidentale-orientale, opera poetica di Goethe, che si ispira al mistico sufi Hafez. Il romanziere cileno si spinge perfino a scrivere che le strutture matematiche (le matrici) che Heisenberg aveva concepito violavano tutte le regole dell’algebra tradizionale per obbedire solamente alla logica dei sogni. Probabilmente questa affermazione è un po’ esagerata da un punto di vista scientifico, ma è certamente di grande effetto poetico e letterario. Paradossalmente Labatut potrebbe spingerci a pensare che la fisica si sia dissolta nella letteratura metafisica. Andrebbe invece chiaramente detto che la fisica dei quanti resta imprescindibilmente legata al suo formalismo matematico e trova in esso il suo «miracolo».

Un drammatico miracolo

Senza dubbio il libro di Labatut è un romanzo di grande valore e non vuole essere un testo di fisica teorica. Inoltre, va riconosciuto il modo sublime e avvincente con cui l’autore riesce, per esempio, a raccontare e a dipanare la diatriba tra Schrödinger, crea­tore della cosiddetta «meccanica ondulatoria», e Heisenberg, padre della «meccanica delle matrici». I due grandi scienziati, di fronte all’impossibilità di usare la meccanica classica – sviluppata secoli prima da Galileo e da Newton – per descrivere i fenomeni subatomici, scoprirono come i due modelli – quello ondulatorio e quello delle matrici – siano in accordo tra loro. Riuscirono però a «conciliarsi» solo dopo numerosi contrasti, asprezze e slanci di genio, a volte perfino irrazionali. Infine, la comunità degli scienziati diede la progressiva e inevitabile conferma ai metodi di Schrödinger e Heisenberg, inaugurando così la «meccanica quantistica».

Ma da quel momento nemmeno gli scienziati furono più in grado di capire il mondo. Certamente si imparò come usare la meccanica quantistica. Essa però sembrava funzionare grazie a una sorta di miracolo. Su questo Pianeta pare non ci sia nessuno capace di comprenderla veramente (per riprendere, parafrasandole, le parole del grande fisico e premio Nobel statunitense Richard Feynman).

Ci salveremo?

Il romanzo è a tratti glaciale e scabro, esageratamente crudo, e comunque soffusamente drammatico e cupo. Presenta gli scienziati come coloro che, svelando il mondo quantistico, «hanno sollevato un angolo del grande velo del cosmo» (parole di Einstein, riportate da Labatut) e «hanno offerto un primo debole raggio di luce su questo immenso dilemma, che è il più terribile della nostra generazione».

Labatut, che – lo ripetiamo – non è uno scienziato, dando voce a Schwarzschild (il grande astronomo, fisico e matematico tedesco, il primo ad aver calcolato il «raggio» dei buchi neri, mentre era sul fronte della Prima guerra mondiale), afferma che ormai abbiamo raggiunto il punto più alto della nostra civilizzazione e che da qui in poi si potrà solo cadere. Dramma umano e dramma storico inscindibilmente intrecciati tra loro. La figura di un Dio buono, provvidenziale e donatore di salvezza, è praticamente assente. La natura, madre primigenia e super-organismo che dona la vita, è una forza irrazionale e folle con una spasmodica tendenza alla sovrabbondanza. Proprio questa sovrabbondanza causa la morte dei suoi innumerevoli figli: una morte biologica, intellettuale, e persino spirituale.

Alla domanda: «Quando abbiamo smesso di capire il mondo?», Labatut risponde che la fisica quantistica stessa ha posto un limite assoluto a ciò che può essere conosciuto. L’autore non tenta però di illuminare il mistero di ciò che possa esserci al di là di tale limite, e pare lasciarci con una leggera – e paradossalmente sorridente – disperazione. Nel romanzo c’è un invito costante e insistente ad ammirare l’eternità, alla quale però oggi nessuno ha più tempo per pensare. Solo i bambini lo fanno. I bambini e gli ubriaconi, ma non le persone serie, come gli scienziati che (parole di Labatut) sono sul punto di cambiare il mondo. O forse gli scienziati stessi sono dei bambini ubriaconi? E la passione e il sentimento per il bello, o per un «indefinito assoluto», ci salveranno?

Copyright © La Civiltà Cattolica 2021
Riproduzione riservata

***

WHEN WE STOPPED UNDERSTANDING THE WORLD. A novel by Benjamín Labatut

The novel When We Stopped Understanding the World, by Benjamín Labatut (Chilean author born in Rotterdam in 1980), presents the painful human adventure of the scientists who touched the boundaries of the knowable and which led to the discovery of quantum physics. The events – sublime and dramatic, historical and personal – are intertwined in an engaging, dreamlike narrative. A subtle glacial and rough hue makes the protagonists even more fascinating, like contemporary Prometheans challenging the absurdity of this world In this world it is impossible to separate the real from the unreal, which paradoxically is perhaps the aspect most comprehensible to us.

***

[1] Cfr B. Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo, Milano, Adelphi, 2021.

Non è disponibile la versione digitale di questo articolo, è possibile leggerlo solo nella versione cartacea o e-book


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Quando abbiamo smesso di capire il mondo

Paolo Beltrame

Visiting Researcher all’University College di Londra.


17 Aprile 2021

Quaderno 4100

  • pag. 182 - 185
  • Anno 2021
  • Volume II

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Filosofia Fisica Letteratura

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