
Il contesto dell’articolo. La semi-democrazia instauratasi nel 2015 in Myanmar, dopo che i militari avevano iniziato a condividere il potere, è stata bruscamente spazzata via dal colpo di Stato del 1° febbraio scorso. Da allora i cittadini che protestano contro la rivolta militare sono fatti oggetto di una crescente repressione da parte delle forze armate (Tatmadaw).
Perché l’articolo è importante?
L’articolo ricorda che i dimostranti chiedono ai militari che venga rilasciata la loro leader eletta, Aung San Suu Kyi, capo della Lega nazionale per la democrazia (Nld), che ha ottenuto una schiacciante vittoria alle elezioni di novembre. Suu Kyi è accusata di vati capi di imputazioni che, secondo i suoi sostenitori, sarebbero del tutto inventati.
Poi si fa una rassegna delle principali reazioni interne e internazionali. In particolare, molto dura è stata la presa di posizione del relatore speciale Onu per il Myanmar, Tom Andrews, che ha parlato di «un regime assassino e illegale».
Si parla anche del ruolo assunto dalle religioni e dalla chiesa cattolica, guidata dal cardinale Charles Bo, che pure rappresenta una minoranza nel Paese. Anche papa Francesco ha lanciato a più riprese un appello affinché cessi la violenza e inizi il dialogo. Lo spettro del governo autoritario già aleggiava durante la visita compiuta dal Papa in Myanmar nel novembre 2017.
Infine, si prende amaramente atto delle conseguenze future più prevedibili del colpo di Stato militare. Sebbene sia interesse anche dei generali che si ripristini presto una qualche stabilità, il Myanmar tornerà a quella condizione di Stato inaffidabile e povero che pensava di essersi lasciato alle spalle grazie al processo che lo aveva condotto verso la democrazia partecipativa, e che lo distingueva in tutto il Sud-est asiatico, dove permangono governi sostenuti da potenti forze militari che si sono ingerite nella politica.
Quali sono le domande che l’articolo affronta?
- Che futuro attende il Paese che seppur in modo contraddittorio sembrava indirizzato sulla strada di una vera democrazia?