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Se la devozione di sant’Ignazio di Loyola per san Pietro è abbastanza nota, pochi forse sanno che san Francesco d’Assisi fu per lui, al tempo della conversione, il più familiare dei santi, e che la sua fanciullezza in Azpeitia (1491-1507), gli anni giovanili trascorsi alla corte di Germana di Foix in Arévalo (1507-16) e quelli vissuti presso il duca di Nájera, viceré di Navarra, (1517-21) sono contraddistinti da altrettante esperienze francescane[1].
La fanciullezza in Azpeitia
Cominciamo da Azpeitia. Fu proprio durante la fanciullezza di Ignazio, fra il 1496 e il 1507, che Pietro de Hoz, francescano osservante del convento di Bermeo (Biscaglia), giunse alla cittadina dei Loyola per ricevere tra le terziarie regolari di san Francesco due signore del paese, la maggiore delle quali, donna Maria de Emparan y Loyola, era cugina di Ignazio. Nella storia di Guipúzcoa questo fatto è di una certa importanza, perché il convento francescano dell’Immacolata Concezione, sorto in Azpeitia per opera della cugina di Ignazio, fu – dopo quello delle agostiniane a San Sebastiano – il primo monastero di monache di tutta la provincia guipuzcoana.
Alla cerimonia della professione di donna Maria, tenutasi nel 1504 nella chiesetta di San Pietro di Elormendi, e alla quale intervenne fra Martin de Segura, uno dei più famosi francescani baschi della riforma cisneriana, non poterono mancare anche i signori di Loyola, intimi parenti della festeggiata, e per di più patroni della parrocchia; e siccome Ignazio viveva ancora con loro nella casa-torre, ebbe senza dubbio occasione di ascoltarvi il panegirico del Santo di Assisi e di visitare la sua cugina francescana.
Alla corte di Germana di Foix
Quando verso 1507 il cadetto dei Loyola si trasferì in Castiglia per fare il paggio a don Giovanni Velázquez de Cuéllar, cassiere del re Ferdinando, eccoci un’altra volta tra una famiglia francescana. Presso don Giovanni si trovava infatti la suocera Maria de Guevara, nobile signora basca e zia di Ignazio, la quale da molti anni era terziaria di san Francesco e insieme con alcune donne viveva presso l’ospedale di San Michele, dedita alla pietà e a opere di bene. Anche quel cenacolo di signore devote finì per formare un convento, questa volta del secondo Ordine o clarisse – lo stesso don Giovanni Velázquez ne fu il munifico fondatore –, dove professò e morì donna Maria de Guevara.
È vero che Ignazio amava la vita fastosa nel palazzo della regina Germana di Foix e della sua dama di onore, donna Maria de Velasco, figlia della Guevara e sposa di don Giovanni, e che fu proprio questo ambiente frivolo a indurlo a quelle dissipazioni che egli avrebbe poi espiato con le lacrime e le dure discipline nella grotta di Manresa; ma la zia lo attirava ogni tanto al suo ritiro, per ispirargli l’amore al Crocifisso e alla Vergine, madre dei peccatori. Il p. Araoz ci ha trasmesso l’interessante notizia che il giovane, forse per quelle esortazioni, si asteneva dal suonare musica profana il venerdì e il sabato, e nelle gare con i compagni componeva orazioni alla Madonna.
L’educazione musicale che questi fatti presuppongono risponde perfettamente allo spirito di donna Maria de Guevara e delle altre dame della regina Elisabetta, il cui trovatore di corte fu il francescano Ambrogio Montesino, autore di un romancero che occupa un posto di onore fra le più belle opere liriche degli inizi del Cinquecento e traduttore di quella Vita Christi del certosino Ludolfo di Sassonia che fu appunto uno dei libri che convertirono Ignazio nel 1521. Questi ne avrà senz’altro visto l’edizione del 1502 dalla sua zia di Arévalo, e ascoltato dalle sue donne le dolci melodie del romancero di Montesino, dedicate alla famiglia Guevara e al grande cardinale Ximénez de Cisneros, arcivescovo di Toledo, anche lui francescano.
Presso il duca di Nájera
Questo spirito di Francesco lo troviamo in Ignazio anche durante gli anni trascorsi in qualità di gentiluomo presso il duca di Nájera, viceré di Navarra, perché la famiglia di don Antonio Manrique de Lara viveva in intimi rapporti con i minori osservanti di Castiglia, il più insigne dei quali era il suo amico e protettore Ximénez de Cisneros, che divenne reggente del regno quando, nel 1516, il duca fu promosso al governo di Pamplona. Alla madre del duca, donna Guiomar de Castro, aveva già dedicato una canzone il Montesino, e il figlio seppe continuare le belle tradizioni della madre, perché non solo fu protettore dell’Ordine in Castiglia, ma con le sue elemosine finanziò anche il capitolo generale che i minori osservanti celebrarono nel 1523 a Burgos.
Ignazio, che alternava le vane letture dei libri di caballerías con le orazioni alla Madonna e la composizione di un poema a san Pietro, trovò un ambiente sempre più francescano nelle frequenti visite che allora faceva a Guipúzcoa. Nel 1514 i minori osservanti, entrati in possesso della chiesa e del convento della Madonna di Aránzazu, cominciarono a propagarne la devozione in tutta la provincia, accompagnandola con la particolare venerazione del nome santissimo di Gesù. Queste due devozioni si diffusero per opera loro ad Azpeitia. Perciò la prima pratica devozionale di Ignazio, nell’uscire già convertito dal palazzo di Loyola, fu il pellegrinaggio ad Aránzazu, che segna l’inizio delle sue penitenze. Ma anche prima di partire da Loyola egli aveva cominciato il suo apostolato, promuovendo la pacificazione di suo fratello don Martín, signore del castello, con i francescani e le francescane di Azpeitia, venuti in contrasto per le decime della parrocchia.
L’amore e la pratica della povertà
Bastano questi dati per spiegare come il ferito di Pamplona, nello sfogliare, durante l’estate del 1521, quel Flos sanctorum che lo convertì, s’appassionasse tanto alla vita del Serafico, e proprio in essa sentisse le prime attrattive della grazia trasformatrice. Si tratta di un lavoro anche questa volta originale e autonomo, perché dovuto a un Artefice che non modella in serie le sue creature, ma adatta meravigliosamente all’indole di ciascuna i suoi carismi soprannaturali: lavoro connesso alle condizioni storiche nelle quali si compie, e sui cui effetti possiamo ancor oggi scoprire le tracce di quelle prime influenze. Esse, a cominciare dall’amore tenero e molto forte all’umanità di Cristo, furono nel Loyola prettamente francescane. Perché fu proprio questo amore, come un tempo Francesco, a trasformare l’altezzoso gentiluomo di Pamplona in quell’affettuoso cavaliere di Cristo che fu sempre il fondatore della Compagnia.
Ignazio imitò Francesco non soltanto nell’amore per Gesù, ma anche nell’amore e nella pratica di Madonna Povertà. Da Monserrato a Salamanca (1522-27), egli si spoglia delle vesti per indossare un sacco di penitenza; alloggia con i poveri più abietti degli ospedali; abbraccia i malati più ripugnanti; aborrisce il denaro, anche se ricevuto in elemosina per il suo pellegrinaggio in Palestina; percorre la terra e il mare, e – ciò che è più difficile – frequenta i corsi universitari di Alcalà e di Parigi senza altra certezza che la fiducia in Dio.
Non solo. Quella secolare lotta per adattare l’ideale della povertà evangelica alle esigenze dello studio e dell’apostolato, che la grande famiglia francescana combatté attraverso drammatici episodi, Ignazio la visse in certo modo con la sua personale esperienza di governo, raccogliendone i frutti nelle prescrizioni delle Costituzioni della Compagnia. Le ultime ricerche sulle loro origini provano che, oltre a consultare le Costituzioni dei frati minori, nelle sue deliberazioni sulla povertà privata e sociale dell’Ordine egli fece trionfare il supremo ideale della povertà evangelica: Siendo Él (il divin Salvatore) la cabeza de la Compañía, ser mayor argumento para ir en toda pobreza que todas las otras razones humanas.
Un’altra traccia dei primitivi influssi francescani sull’anima di Ignazio si nota anche nei suoi progetti apostolici per la Palestina. In un primo momento (nel 1521-22, a Loyola) egli aveva pensato di recarsi lì per scopi di devozione e penitenza; poi, al tempo degli Esercizi a Manresa (1522-23), s’era proposto di rimanervi per sempre, per predicare il Vangelo agli infedeli e andare incontro al martirio; infine (nel 1534, a Montmartre) vagheggiò un’immensa crociata spirituale che da Gerusalemme si sviluppasse per toda la tierra de infieles. Sogno grandioso, ideato negli Esercizi spirituali attraverso comunicazioni carismatiche e personalissime, ma i cui germi lontani sono da ricercarsi in quel grande ideale di conquista del Santo Sepolcro che, con slancio tipicamente francescano, aveva accarezzato il card. Ximénez de Cisneros durante gli anni giovanili di Ignazio.
Le canzoni di Montesino e i libri che lo convertirono a Loyola, pieni di entusiasmo per la Terra Santa, l’accesero di nuovo zelo e, se la Provvidenza trasformò poi quei grandi progetti nella realtà della missione mondiale della Compagnia agli ordini del Papa, la fiamma palestinese non si spense mai, né in Saverio, che bramava di ritornare dall’Oriente in Europa passando per Gerusalemme, né in Ignazio, che – come un tempo il Poverello di Assisi – negli ultimi anni espresse il desiderio di passare in Africa per morire fra i crociati cristiani e i musulmani.
La devozione al nome di Gesù
Abbiamo ricordato l’azione dei minori osservanti di Bermeo e di Aránzazu per diffondere nella Guipúzcoa la devozione al nome di Gesù. In questo essi seguivano le orme dei due grandi santi del Quattrocento: il domenicano Vincenzo Ferrer nell’Aragona e il francescano Bernardino da Siena in Italia.
Ignazio, prima di venire in Italia, assisté al propagarsi di tale devozione in Castiglia e a Guipúzcoa. Anche in questa provincia troviamo, agli inizi del Cinquecento, l’anagramma di Gesù scolpito in pietra e in legno sull’esterno e nell’interno delle case, usato nei testamenti e nelle scritture ufficiali dei notai, amici di Ignazio, Juan Martínez de Alzaga e Juan de Aquemendi. A questi influssi esterni squisitamente francescani si aggiunse più tardi il carisma divino nella visione della Storta, che impresse alla devozione ignaziana per il nome del Redentore quel conio inconfondibile che sta alla base dello spirito dei nuovi compagni, e prese forme artistiche originali nella grande chiesa del Gesù a Roma. Ma nella prospettiva della storia, come l’IHS barocco di Santa Maria della Strada si ricollega a quello gotico-rinascimentale di san Bernardino, così lo spirito del fondatore dei gesuiti, nonostante la spiccata differenza di temperamento e di apostolato, ricorda la spiritualità del Serafico.
Trovare Dio in tutte le cose
Vediamo ora un ultimo punto di somiglianza, forse il più insospettato, tra Francesco e Ignazio. Il Flos Sanctorum, che convertì Ignazio, diceva nel suo castigliano semplice e devoto: E Sant Francisco, lleno de simplicidad, todas las criaturas trae al amor de Dios… Cuando veía el sol e la luna e las estrellas, había gran gozo, tanto quanto hombre no podrá contar por amor de Dios.
Non sappiamo se Ignazio si commuovesse allo spettacolo delle opere periture degli uomini. Nei suoi scritti non troviamo nemmeno un accenno ai capolavori dell’arte rinascimentale che andavano allora sorgendo davanti ai suoi occhi, né ai grandiosi ruderi dell’antichità che egli poteva contemplare dalla finestra della sua villa ad sanctam Balbinam. Ma per le opere di Dio, risplendenti nella natura incontaminata, egli ebbe sempre, come Francesco, una sensibilità squisita.
La contemplazione del cielo stellato lo trasportava, la solitudine della campagna gli riposava il corpo e gli ricreava lo spirito; egli si estasiava al canto della liturgia e delle canzoni del popolo, scopriva la Trinità nelle foglie dell’arancio, e l’ideale dell’orazione era per lui, come per tutti i grandi contemplativi, «trovare Dio in tutte le cose». Non per nulla gli Esercizi culminano con la grande «Contemplazione per arrivare ad amare»: Mirar cómo Dios habita en las criaturas…, considerar cómo Dios trabaja y labora por mí, en todas cosas criadas…, mirar cómo todos los bienes y dones descienden de arriba.
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[1] Riproponiamo, con alcune piccole limature linguistiche, un saggio di p. Pedro de Leturia, originariamente pubblicato nel 1957 dall’Institutum Historicum Societatis Iesu.
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FRANCISCAN ASPECTS IN SAINT IGNATIUS OF LOYOLA
Here we present once again an essay by Pedro de Leturia (1891-1955), which was originally published in 1957 by the Institutum Historicum Societatis Iesu. The article shows the influence of the Franciscan spirit on St Ignatius of Loyola during his childhood and youth. In addition, Ignatius drew from it the love and practice of poverty, devotion to the name of Jesus and contemplation of God in all things.