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Un nuovo vento di cambiamenti di governo extra-costituzionali sta soffiando a nord dell’Africa centrale e ora anche nell’ovest del continente. Nell’aprile 2021, il presidente del Ciad Idriss Déby, che era stato da poco rieletto, è morto al fronte, mentre i ribelli del Fact (Fronte per l’Alternanza e la Concordia in Ciad), provenienti dal nord del Paese, minacciavano il suo regime. Suo figlio Mahamat, 37 anni, generale di Corpo d’armata, ha assunto la guida del Paese, nonostante la Costituzione prevedesse che, in caso di morte o incapacità del presidente, fosse il presidente dell’Assemblea nazionale ad assumere l’interim. Mahamat Idriss Déby ha sciolto l’Assemblea nazionale, ha destituito il governo e istituito un Consiglio militare di transizione, composto da 15 generali. Si è trattato dunque di una presa di potere da parte di una giunta militare.
Anche se non si può parlare di colpo di Stato, c’è stata una violazione delle regole della democrazia. La cosa sorprendente è che tutti hanno convenuto di non sanzionare le nuove autorità ciadiane. L’Unione africana, attraverso il suo Consiglio per la pace e la sicurezza, ha chiesto una transizione di 18 mesi, ma non ha sanzionato la giunta. Si tratta di una soluzione contraria, tra l’altro, alla Convenzione di Lomé del 2000 e all’Atto costitutivo dell’Unione africana dello stesso anno[1].
La Francia, dopo aver dichiarato di «aver perso un amico coraggioso» nella persona di Idriss Déby, ha sottolineato l’importanza di una transizione pacifica di durata limitata, che porti a un governo di civili, e il suo fermo impegno per la stabilità e l’integrità territoriale del Ciad. Gli Stati Uniti, da parte loro, si sono accontentati di chiedere una transizione pacifica e democratica. Il capo della diplomazia dell’Unione europea, Josep Borrell, ha chiesto una transizione limitata, pacifica, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e in grado di consentire la preparazione di nuove elezioni aperte a tutti. Nel frattempo, una trentina di partiti dell’opposizione ciadiana hanno parlato chiaramente di colpo di Stato, chiedendo una transizione a guida dei civili[2]. Ora, dopo circa un anno di transizione, non c’è ancora certezza sulla sua durata. La giunta militare al potere in Ciad, che aveva promesso un dialogo nazionale in vista di nuove elezioni, non sembra avere particolare fretta nell’organizzarle. E, a differenza di quanto avviene in altri Paesi guidati dai militari, il popolo ciadiano non esprime sostegno al generale attualmente a capo del Paese, e ogni manifestazione popolare viene violentemente repressa.
La diffusione dei «putsch» militari
Se la giunta militare del Ciad non è salita al potere con un classico colpo di Stato, vi sono stati di recente tre Paesi dell’Africa occidentale che hanno visto mutare il loro panorama politico in poco tempo: in Mali, in Guinea (Conakry) e in Burkina Faso dei putsch hanno portato al potere giovani militari.
Il primo segnale è giunto dal Mali. Come in altre precedenti occasioni, è dalla caserma «Sundiata Keïta», a Kati, che è partito, il 18 agosto 2020, il colpo di Stato che ha deposto il presidente, democraticamente eletto, Ibrahim Boubacar Keïta. Questo fatto ha suscitato le condanne da parte dell’Onu, dell’Unione africana, della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) e dell’Unione europea. Con una strategia ben nota ai militari, è stato lo stesso presidente Boubacar ad annunciare le sue dimissioni, e il Mali è passato sotto la direzione della giunta militare, guidata dal trentasettenne colonnello Assimi Goïta. Inaspettatamente, la popolazione ha festeggiato la caduta del presidente democraticamente eletto[3]. Dopo una serie di negoziati, sostenuti in particolare dalla Cedeao, è stato formato un governo: i militari hanno preferito lasciare la presidenza del Paese a un civile, Bah N’Daw, e il colonnello Assimi Goïta è diventato vicepresidente. Ma il 15 maggio 2021 c’è stato un secondo atto di forza dell’esercito, guidato ancora dal colonnello Goïta. La causa scatenante sarebbe stata l’annuncio di un nuovo governo, dal quale erano state escluse due delle persone a lui vicine[4].
Dopo pochi mesi, anche la Guinea (Conakry) è passata sotto il controllo dei militari. Infatti, il 5 settembre 2021, il presidente Alpha Condé, al potere da quasi 11 anni e rieletto dopo molte contestazioni e polemiche, è stato deposto da un giovane ufficiale a capo delle forze speciali, il quarantunenne tenente colonnello Mamady Doumbouya. Anche in questo caso, non si sono fatte attendere le dichiarazioni di condanna da ogni parte, specialmente dalla Cedeao. Doumbouya ha prestato giuramento come presidente di transizione, col sostegno popolare dei guineani, esasperati dalla povertà, dalla corruzione e dalla repressione.
Mentre si sperava in una tregua di questa nuova ondata di putsch e in un ritorno alla normale vita democratica nei Paesi coinvolti, in Burkina Faso, il 23 gennaio 2022, una protesta dei militari, durata quasi due giorni, ha portato alla guida del Paese il quarantunenne tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba. Per dissimulare il loro colpo di Stato, il 25 gennaio i militari hanno fatto firmare al presidente Roch Marc Christian Kaboré una lettera scritta dal luogo della sua detenzione, in cui egli affermava di «dimettersi nell’interesse superiore della nazione, a seguito degli eventi che vi si svolgevano»[5]. Così come era successo in Guinea, gli abitanti del Burkina hanno acclamato i militari golpisti.
I militari e la democrazia in Africa
Non è facile comprendere cosa stia accadendo in Ciad, Guinea, Mali e Burkina Faso, se non si volge uno sguardo retrospettivo alla vita politica di questi Paesi a partire dalla loro indipendenza.
Iniziamo con il Ciad[6]. Quando ottenne l’indipendenza, l’11 agosto 1960, il suo primo capo di Stato fu François Tombalbaye. Dopo soli cinque anni di tranquillità, nel 1965 iniziò una guerra civile che accompagnò tutto il periodo della presidenza di Tombalbaye. Egli venne ucciso il 13 aprile 1975, durante un colpo di Stato voluto da unità dell’esercito nazionale del Ciad. Ad esso seguì l’ascesa al potere del generale Félix Malloum. Una battaglia nella capitale Ndjamena nel 1979 costrinse poi il generale a cedere il potere a Goukouni Oueddei. Nel 1982, Hissène Habré, che era stato ministro della Difesa di Goukouni, conquistò a sua volta Ndjamena e divenne presidente del Ciad con la forza delle armi. Sempre armi in pugno, fu poi la volta di Idriss Déby, che si impadronì di Ndjamena nel 1990 e divenne presidente del Ciad fino all’aprile del 2021. Tutto questo ci fa capire che, dal momento della sua indipendenza, il Ciad non ha mai conosciuto un avvicendamento democratico e pacifico ai vertici dello Stato.
La situazione in Guinea è diversa. Nel 1958 Sékou Touré proclamò l’indipendenza del Paese. Il suo fu un regime duro, a lungo impegnato in un braccio di ferro con il Paese ex colonizzatore, la Francia, con il quale nel 1965 ruppe i rapporti per quasi 10 anni. Nel 1984 Touré venne ucciso in seguito al colpo di Stato da parte dei colonnelli Lansana Conté e Diarra Traoré. Nel 1990 Conté promulgò una nuova Costituzione per porre fine al dominio militare e introdusse un sistema multipartitico. Nel 1993 fu eletto presidente con libere elezioni e poi rimase a capo del Paese fino alla sua morte, avvenuta il 22 dicembre 2008. Due giorni dopo, il capitano Moussa Dadis Camara divenne presidente con un colpo di Stato. A seguito di un attentato alla vita di Camara, Sekouba Konaté diventò presidente ad interim prima delle elezioni del 2010, che portarono al potere il leader dell’opposizione, Alpha Condé. Quest’ultimo, dopo aver modificato la Costituzione per poter conquistare anche un terzo mandato, è stato deposto con un colpo di Stato il 5 settembre 2021. La Guinea dunque, a partire dalla sua indipendenza, ha visto succedersi tre colpi di Stato.
Il Mali è un Paese abituato ai putsch: dopo la sua indipendenza, ce ne sono stati ben cinque[7]. Il 19 novembre 1968, il generale Moussa Traoré ne organizzò uno per rovesciare il primo presidente, Modibo Keita. Il 26 marzo 1991, un altro colpo di Stato militare depose Traoré, e il colonnello Amadou Toumani Touré si pose alla guida di una lunga transizione, venendo poi eletto presidente nel 2002. Il 22 marzo 2012 egli fu destituito dal capitano Amadou Sanogo. Il 18 agosto 2020, il colonnello Assimi Goïta depose il presidente Ibrahim Boubacar Keita, che era stato eletto l’11 agosto 2013 e rieletto il 12 agosto 2018. L’ultimo colpo di Stato è avvenuto ancora a opera del colonnello Assimi Goïta, che il 25 maggio 2021 ha fatto dimettere il presidente di transizione, Bah N’Daw, e il primo ministro di transizione, Moctar Ouane.
Infine, il Burkina Faso. Dopo la sua indipendenza, dichiarata il 5 agosto 1960[8], nel 1966 il primo presidente, Maurice Yaméogo, venne destituito dal generale Sangoulé Lamizana, che a sua volta venne deposto nel 1980, con la presa del potere da parte del colonnello Saye Zerbo, per soli due anni. Nel 1982 fu il medico militare Jean-Baptiste Ouédraogo a diventare presidente, sempre dopo un putsch. Un anno dopo, ci fu il colpo di Stato del capitano Thomas Sankara con suo collega militare, il capitano Blaise Compaoré, che divenne presidente il 15 ottobre 1987. Arriviamo così al 31 ottobre 2014, quando Compaoré venne destituito dalle proteste di piazza per aver voluto emendare la Costituzione e rimanere al potere. Roch Marc Christian Kaboré fu eletto allora presidente in modo democratico il 29 novembre 2015 ed è stato rieletto il 22 novembre 2020 per un secondo mandato. Ma all’inizio del 2022 è stato deposto dalle forze armate[9]. Pertanto il Burkina Faso, la «terra degli uomini integri», a partire dalla sua indipendenza ha assistito a sei colpi di Stato.
Ambivalenza della democrazia
Se i colpi di Stato militari, prima dell’«ondata di democratizzazione» iniziata negli anni Novanta del secolo scorso, sono stati sempre condannati dalla comunità internazionale e dalla popolazione dei Paesi interessati, oggi è sempre più difficile esprimere un giudizio sul loro effettivo impatto sul progresso democratico in Africa. Alcuni cambiamenti di governo per mezzo delle elezioni hanno effettivamente portato al potere civili che per diversi anni erano stati all’opposizione di giunte militari. L’esperienza però ha mostrato che questi stessi ex oppositori e fautori della democrazia si sono poi trasformati in autocrati, decisi a mantenere il loro potere modificando la Costituzione a loro piacimento o mettendo a tacere qualsiasi opposizione ai loro regimi.
Se consideriamo il caso della Guinea e del Burkina Faso, è sorprendente vedere come la popolazione sia stata favorevole al rovesciamento di un governo democraticamente eletto. In Burkina Faso la popolazione, sconcertata dagli avvenimenti nel nord e nell’est del Paese a partire dal 2015, aveva aspramente rimproverato il presidente deposto, Roch Marc Christian Kaboré, per non essere stato in grado di impedire il deterioramento della sicurezza nazionale dal 2015. Lo stesso vale per il Mali, dove la situazione dal punto di vista della sicurezza è andata peggiorando per diversi anni.
Sono queste condizioni che offrono all’esercito la possibilità di svolgere un ruolo politico di primo piano, mettendo a disposizione la sua capacità di proteggere la popolazione colpita dalle efferatezze dei jihadisti e del terrorismo in genere, per non parlare della crisi economica. A tale riguardo, in un’intervista a Jeune Afrique, il presidente ruandese Kagame ha fatto notare che i colpi di Stato sono il prodotto del malgoverno[10]. Inoltre, il colpo di Stato in Guinea sembra essere stato favorito dall’ostinazione dell’ex presidente Alpha Condé nel voler modificare la Costituzione per candidarsi una terza volta, nonostante le manifestazioni di protesta[11].
Il caso del Ciad è diverso, perché questo Paese è vissuto da sempre sotto regimi militari che si nascondevano dietro una parvenza di elezioni democratiche. Pertanto, una vera democrazia non c’è mai stata in questo Paese. Il fatto che il figlio di Idriss Déby, un militare come il padre, gli sia succeduto ne è la dimostrazione. Alcuni ritengono che la comunità internazionale abbia chiuso un occhio sulla successione nella leadership in Ciad. Per questo è importante cercare di conoscere il ruolo degli attori internazionali nella legittimazione dei colpi di Stato[12].
Geopolitica in Africa Occidentale
I colpi di Stato in Guinea, Mali e Burkina Faso preoccupano non soltanto i Paesi della Cedeao loro vicini, ma l’intera Unione africana. Anche l’Unione europea si sente coinvolta, perché si tratta di ex colonie di uno dei suoi membri più importanti, la Francia. Ci sono diverse questioni in gioco[13]. La prima è quella economica, per via della presenza e degli interessi di imprese francesi. C’è poi la questione della presenza militare francese. Ad esempio, la Guinea esporta bauxite e ha sviluppato per anni relazioni economiche con Paesi come la Cina e la Russia. Il cambio di regime in Guinea può dunque avere ripercussioni sugli scambi economici con i suoi partner francesi. I toni si sono alzati anche tra la Francia e il Mali, che ha intimato all’ambasciatore francese di lasciare il Paese. Il Mali così si sta alienando l’Unione europea, che ha dimostrato di essere solidale con la Francia[14]. Desta preoccupazione il fatto che la presenza militare francese in Mali, giustificata dal contrasto al terrorismo jihadista, venga pertanto messa in discussione.
In questo modo si è innescata una spirale negativa, che ha spinto il presidente francese Emmanuel Macron a chiedere ai presidenti della regione del Sahel – incluse le autorità maliane – di chiarire e formalizzare la loro richiesta alla Francia e alla comunità internazionale di una presenza militare francese. Il Presidente si è dichiarato contrario alla presenza di soldati francesi nel Sahel, mentre è rimasto vago sulla questione dei movimenti anti-francesi. Per le autorità maliane, la tensione con la Francia è sorta a causa del ruolo della Russia nella lotta contro i jihadisti. La Francia accusa il Mali di ricorrere ai mercenari russi del Gruppo Wagner[15]. Il ministro degli Esteri maliano, Abdoulaye Diop, che invece vuole trattare ufficialmente con la Russia, in un’intervista a una radio francese ha affermato che il suo Paese è disposto a dialogare con la Francia o con altri Paesi sulle questioni di fondo, ma intende difendere i propri interessi e si aspetta dalla Francia un atteggiamento «meno aggressivo, meno ostile, meno sprezzante». Per Diop, il Mali non vuole che gli venga imposto un partner: «Il Mali desidera una politica di non allineamento e vogliamo una presenza costruttiva», ha sottolineato. Ha anche affermato che «il Mali è sempre stato sostenuto dalla Russia sin dalla sua indipendenza», e l’attuale contributo di questa nazione alla lotta contro il terrorismo sta dando risultati incoraggianti[16]. È ovvio che la presenza dei russi in Mali provochi rivalità internazionali nel Sahel e crei un problema geopolitico. Siamo pertanto in presenza di una sorta di guerra di influenza[17].
In Francia, il 1° febbraio 2022, durante l’intervento del ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian all’Assemblea nazionale, il deputato Jean Lassalle ha dichiarato che il cambio dei regimi nel Sahel obbliga la Francia a modificare la sua politica in quella regione e che la presenza francese è oggetto di contestazione, molto più dei colpi di Stato militari. Secondo lui, i popoli del Sahel vogliono affrancarsi da un legame di subordinazione – monetaria, economica, militare – con la Francia. «Ascoltate i popoli e non solo i loro dirigenti», ha raccomandato il deputato Lasalle al ministro Le Drian, aggiungendo che, nonostante il valore dei soldati, nel Sahel l’esercito francese ha fallito[18].
La spina del Mali
Se i colpi di Stato che hanno avuto luogo in Africa occidentale si ripercuotono fortemente sulla comunità africana e internazionale, chiaramente la situazione in Mali ha un particolare impatto su chi in Africa rifiuta la morsa delle autorità francesi. Inoltre, alcuni ritengono che le misure imposte dalla Cedeao al Mali siano state adottate sotto l’influenza della Francia e dell’Unione europea[19]. L’organizzazione regionale aveva infatti sanzionato il Mali con la chiusura delle frontiere, il congelamento degli asset maliani nella Banca centrale degli Stati dell’Africa occidentale (Bceao), la sospensione di tutta l’assistenza da parte delle istituzioni finanziarie della Cedeao, come pure la sospensione delle transazioni con Bamako, a eccezione di quelle per medicinali e beni di prima necessità. Nel corso della crisi tra la Francia e il Mali, il popolo maliano è sceso in piazza per sostenere i militari al potere e protestare contro le sanzioni.
Il sostegno popolare ai golpisti fa riflettere, così come le sanzioni imposte dalla Cedeao sollevano non poche questioni. Spesso si ignora che quando si adottano misure del genere contro i leader di un Paese, è la popolazione a subirne maggiormente le conseguenze. Le decisioni della Cedeao contro la giunta al potere in Mali impongono un ulteriore peso sulle spalle della popolazione. Ad esempio, si stima che circa 2.500 persone siano morte e più di un milione siano sfollate per la situazione di crisi nel Paese. La Cedeao ha voluto mettere in chiaro, con le sue sanzioni, che non è lecito deporre le autorità democraticamente elette con le armi e con la forza. D’altra parte, essa dovrebbe tener conto delle conseguenze di tali misure sulla popolazione, che così è vittima al tempo stesso del malgoverno del regime rovesciato e delle sanzioni imposte contro la giunta militare che ha preso il potere. Poiché sappiamo che molti dei capi di Stato della Cedeao continuano a governare dopo aver cambiato la Costituzione per rimanere ancora al potere, si pone un problema di modello democratico.
In definitiva, la crisi maliana, come quella del Burkina Faso, è una dimostrazione che il concetto stesso di democrazia in Africa è problematico. Per coloro che aspirano a guidare il proprio Paese, l’interesse principale è vincere le elezioni. Molto spesso essi dimenticano i doveri che hanno verso la nazione o, meglio, verso il popolo, e intendono mettere tutte le istituzioni dello Stato al proprio servizio. Perciò raramente nei Paesi africani il cambiamento democratico al vertice dello Stato ha recato pace, stabilità e sviluppo. E quando i militari intervengono in una situazione di crisi, la popolazione li acclama, come è successo in Guinea, Mali e Burkina Faso. D’altra parte, neppure l’ascesa al potere dei militari è una buona alternativa al malgoverno dei politici. In molti Paesi africani abbiamo visto diversi militari saliti al potere rendere la vita difficile ai loro compatrioti, come pure ai politici che avevano rovesciato[20].
Quali sono le prospettive per il futuro?
I colpi di Stato sono una vergogna per l’Africa, e devono essere scoraggiati. Essi danno un’immagine negativa di un continente in regressione. Tuttavia si richiede un approccio graduale. Quando le forze armate vogliono imporsi nella scena politica di un Paese e governarlo in modo rigido e repressivo, nessuno può tollerare tale deriva. È quanto è accaduto recentemente in Sudan. D’altra parte, se i colpi di Stato possono fermare gli eccessi totalitari dei governanti in carica, la popolazione ne è contenta e festeggia, anche se il futuro non offre garanzie[21].
È quindi giunto il momento, per l’Africa, di cambiare nella direzione desiderata dai popoli dei diversi Paesi. Occorre un cambiamento che tenga conto delle peculiarità africane. Non ci sono certamente ricette magiche, ma la situazione in Guinea, Mali e Burkina Faso può servire da chiave di lettura per comprendere gli attuali sconvolgimenti nell’Africa occidentale. Il fatto che la popolazione abbia acclamato i militari e quindi deplori l’incuria delle autorità civili democraticamente elette è un messaggio forte che fa riflettere. Quello che suscita la reazione della comunità internazionale e delle altre organizzazioni regionali o continentali sono le intenzioni dei militari quando propongono un periodo di transizione troppo lungo prima di riconsegnare il potere ai civili.
Da un altro punto di vista, si può dire che i regimi militari in Ciad, Guinea, Mali e Burkina Faso sollevano il tema dell’instabilità regionale. Questi quattro Paesi hanno in comune la spinosa questione dell’insicurezza causata dal terrorismo. Nel tentativo di risolvere tale problema, se ne è generato un altro: la guerra di influenza tra potenze straniere. In particolare, per quanto riguarda il Mali, la Russia si è autoinvitata su un terreno che la Francia considera suo di diritto. E la presenza russa in questo Paese modifica anche il quadro per la giunta militare al governo. Il popolo maliano ha un atteggiamento sempre più nazionalista: vuole dimostrare che il suo obiettivo non è sostenere la giunta che è al potere oggi, ma il proprio Paese. I maliani vogliono fare affidamento su se stessi: non intendono cacciare i francesi per sostituirli con i russi, ma desiderano la propria autonomia.
Forse la democrazia e le elezioni in Africa dovrebbero essere ripensate. Potrebbe essere giunto il momento, per gli africani, di prendere in considerazione un modello democratico che guardi più allo sviluppo che all’alternanza nella guida del Paese. Non ci si dovrebbe più affidare agli «uomini forti»; il continente non ne ha bisogno. Invece, esso ha bisogno di istituzioni forti e libere, che promuovano gli interessi delle nazioni e regolino la vita pubblica, in modo da punire coloro che trascurano i loro doveri verso il popolo e non rispettano la scadenza dei mandati o favoriscono frequenti modifiche costituzionali per rimanere al potere. Ciò potrebbe «costringere» i militari a rimanere in caserma e a evitare così ripetuti colpi di Stato o conflitti armati che ostacolano lo sviluppo generale del continente africano.
Quindi, l’Africa ha bisogno non soltanto che si promuova la democrazia, ma anche che questa sia accompagnata dallo sviluppo della popolazione. L’Africa potrà così risollevarsi.
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[1]. Cfr F. Ingiyimbere, «Perché ancora colpi di Stato in Africa? Le responsabilità dell’Unione Africana», in Civ. Catt. 2021 IV 561-574.
[2]. Cfr V. Sabadin, «Ciad: “I ribelli che hanno ucciso il presidente addestrati in Libia dai russi”», in La Stampa, 24 aprile 2021.
[3]. Cfr J. Bodjoko, «Un anno in Africa», in Civ. Catt. 2022 I 579-589.
[4]. Cfr C. Bensimon – M. Le Cam – E. Vincent, «Comment le Mali a vécu un deuxième coup d’État en moins d’un an», in Le Monde, 31 maggio 2021.
[5]. «Coup d’État au Burkina Faso: le président a démissioné, selon la télévision publique», in Le Monde, 25 gennaio 2022.
[6]. Per ulteriori informazioni sul Ciad, cfr M. Debos – J.-P. Magnant – R. Pourtier, «Tchad», in Encyclopædia Universalis.
[7]. Cfr L. Ben Ahmed, «Mali: 5 coups d’État depuis l’indépendance», in Anadolu Agency, 12 gennaio 2022.
[8]. Cfr «Burkina Faso: de 1960 à 2022, une histoire jalonnée de coups d’État», in Africanews.
[9]. Cfr «Coup d’État au Burkina Faso: le pays suspendu de la Cédéao», in Le Monde, 28 gennaio 2022.
[10]. Cfr F. Soudan – R. Gras, «Paul Kagame: “Les coups d’État sont le fruit de la mauvaise gouvernance», in Jeune Afrique, 28 gennaio 2022.
[11]. Secondo l’agenzia di stampa France Presse (AFP) e il quotidiano Le Monde, nel marzo 2020 Condé aveva fatto adottare, con un referendum, una nuova Costituzione e aveva approfittato di questo cambiamento della legge fondamentale per ricandidarsi dopo due mandati, nonostante mesi di proteste represse nel sangue. La sua rielezione nell’ottobre 2020, fortemente contestata dall’opposizione, era stata preceduta e seguita da decine di arresti. Cfr «Guinée: Alpha Condé, président déchu, autorisé à quitter le pays pour raison médicale», in Le Monde, 1° gennaio 2022.
[12]. Cfr J. Siegle, «Les coups d’État en Afrique et le rôle des acteurs extérieurs», in Centre d’études stratégiques de l’Afrique, 3 gennaio 2022.
[13]. La Francia ha miniere di uranio in Niger, che confina con il Mali. Per questo vuole essere presente in Mali per proteggerle. Cfr V. Fauroux, «Mali: la France “a absolument besoin d’être là pour protéger ses mines d’uranium au Niger» in Tf1, 1° febbraio 2022.
[14]. Cfr «Mali: l’Union européenne apporte son soutien à la France», in Africanews.
[15]. Cfr C. Bensimon, «L’hypotèse Wagner fait monter la tension entre la France et le Mali», in Le Monde, 27 settembre 2021.
[16]. Cfr M. Perelman – Ch. Boisbouvier, «Abdoulaye Diop, chef de la diplomatie malienne: “Nous demandons que Paris nous respecte en tant que pays».
[17]. Cfr J.-P. Bodjoko, «L’influenza della Russia in Africa», in Civ. Catt. 2022 II 157-166.
[18]. Cfr «Mali: Jean-Yves Le Drian dénonce le recours à la force Wagner», in Tv5 Monde, 1° febbraio 2022.
[19]. Le autorità dell’Unione europea stavano già annunciando pubblicamente le sanzioni che la Cedeao «avrebbe dovuto prendere presto». Da qui l’accusa della giunta maliana, che rimprovera alla Cedeao di aver agito sotto la pressione dell’Ue. La ministra della Difesa francese Florence Parly aveva infatti preannunciato sanzioni contro il Mali prima delle decisioni della Cedeao, durante il «Forum internazionale di Dakar sulla pace in Africa», tenutosi il 6 e 7 dicembre 2021. In quell’occasione aveva detto: «Ci sarà di nuovo, tra pochi giorni, una nuova riunione della Cedeao, che dovrebbe determinare un certo numero di sanzioni. Oggi la priorità è esercitare la massima pressione affinché questa situazione non si verifichi. Quindi, tutti gli sforzi sono diretti a impedire che tale minaccia, che è stata prospettata ormai da settimane, si concretizzi. Da qui l’importanza delle decisioni che potrebbero essere prese dalla Cedeao». Cfr A. Foka, La cronique: Cedeao vs. Mali.
[20]. Il giornalista camerunese Alain Foka ha affermato che i grandi cambiamenti a cui abbiamo assistito in alcune nazioni africane spesso sono avvenuti per mezzo di militari: Jerry Rawlings, un militare, è considerato il padre della democrazia ghanese; il capitano Thomas Sankara è celebrato in Burkina Faso per il cambiamento sociale che ha avviato, pur essendo anche lui un golpista; Mathieu Kérékou, anch’egli militare, ha permesso la transizione democratica in Benin ed è tornato democraticamente al potere dopo un’alternanza (cfr www.youtube.com/watch?v=GG1lDGtZTH4).
[21]. Cfr S. Cessou, «Coups d’État: régression démocratique en Afrique?», in Le Monde diplomatique, 26 gennaio 2022.