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Ulisse, multiforme e sofferto
Fin dall’antichità i miti greci hanno esercitato il loro fascino su chi li sente raccontare, li vede rappresentati a teatro o li legge nei libri. Essi strutturano lo spazio culturale occidentale accanto alla tradizione giudaico-cristiana e alla civiltà romana. Ciò che gli antichi greci espressero attraverso quelle narrazioni impregna le nostre relazioni familiari, il nostro rapporto con il sacro e con le persone.
Si pensi al mito di Edipo, narrato infinite volte, da Sofocle a Freud; o a quello di Antigone, che cristallizza il conflitto tra le leggi eterne degli dèi e quelle umane della città. Ogni epoca ha riscritto e reinterpretato tali miti.
Alla ricerca della propria identità, gli occidentali hanno fatto ricorso a queste narrazioni per scoprire chi sono, hanno continuato a disseppellirne nuovi sedimenti di senso, ne hanno messo in dubbio il messaggio o ne hanno criticato il retaggio, che talora appare insopportabile e induce a rinunciare ad esse. Eppure, quale che sia il nostro atteggiamento rispetto a tali storie, non possiamo fare a meno di tenerle nell’orizzonte dei nostri riferimenti.
Uno tra i personaggi più affascinanti della mitologia greca è indubbiamente Ulisse. Non si tratta di un dio o di un semidio, capace di prodezze o di intrighi destinati sempre a trionfare. Non è uno Zeus sempre intento a escogitare un espediente per sottrarsi allo sguardo della possessiva sposa Era. E non è nemmeno un Ercole o un Achille, mossi a grandi imprese dalla loro stessa origine divina, per cui raggiungono quasi inevitabilmente il successo, e la gloria è scritta nel loro destino. Ulisse è l’opposto: umano, troppo umano.
Lo conosciamo innanzitutto come l’eroe dell’Odissea, ma ricopre un ruolo significativo anche nell’Iliade. Ha caratteristiche uniche nel novero degli eroi descritti nei due poemi omerici. È pari ad altri quanto a forza e a coraggio; inoltre, dopo Achille, è il più veloce degli achei. Ma la sua singolarità non consiste in questo…