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Nel centenario della nascita di Margherita Guidacci (25 aprile 1921) e a trent’anni dalla morte (19 giugno 1992), la sua poesia rimane unica e risuona con intensa vitalità. Libera da ogni appartenenza, indipendente dalle consuetudini dominanti, la Guidacci è una figura singolare nella poesia del Novecento.
La ricordiamo partendo da una delle sue opere meno conosciute, perché legata a una mostra, e tuttavia rappresentativa, La Via Crucis dell’umanità, del 1984: 15 poesie dedicate ai bronzi dell’orafo e scultore Leonardo Rosito.
«La Via Crucis dell’umanità»
I bronzi proponevano le stazioni della Via Crucis, sostituendo alla passione di Cristo le molte passioni dei poveri. Le accompagnava un volumetto, di formato insolito e non paginato, che forniva il testo di complemento per la mostra, con commenti redatti dalla Guidacci.
Se i bronzi erano avvincenti per la loro originalità, più interessante era la chiosa, molto discreta, scritta per ogni stazione: la vera Via Crucis era più lì che nei bronzi, peraltro ineccepibili. La Guidacci infatti non si limita a commentare i bronzi: la qualità del discorso è autonoma dalla figurazione.
La prima stazione, Caino e Abele, riproduce il primo dramma della storia umana: «Cos’ha fatto Caino / di suo fratello, cos’ha fatto l’uomo / dell’uomo?». La simmetria fa emergere la domanda della coscienza: «Dov’è Abele tuo fratello?». Domanda che Caino voleva schivare, giustificandosi di non essere il guardiano di suo fratello. Ecco che cosa ha fatto l’uomo dell’uomo.
La Passione e morte di Cristo (3a stazione), rivela la forza dei martiri silenziosi della storia che garantiscono la salvezza: «Mistero di dolore, mistero di salvezza, / mistero della morte che riporta la vita. / Per il tuo sacrificio fa’, Signore, / che su noi scenda la tua pace infinita. / Tutte le vie dell’uomo si tagliano a croce». Una stazione riguarda Gandhi…
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