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Lo scorso 10 marzo, nella sede della nostra rivista, si è svolta una tavola rotonda per la presentazione del libro Luce in sala del padre Virgilio Fantuzzi, che fa parte della redazione de La Civiltà Cattolica fin dal 19731.
Nel presentare i relatori, che sarebbero intervenuti2, il vaticanista Iacopo Scaramuzzi, che fungeva da moderatore, ha ricordato gli anni in cui, studente alla Gregoriana, ha seguito i corsi di Fantuzzi sull’Analisi del linguaggio cinematografico: «Quando, una ventina di anni fa, mi sono iscritto alla Pontificia Università Gregoriana – ha detto –, avevo piena consapevolezza del glorioso passato e del livello accademico di quella istituzione, ma temevo che il corso di cinema sarebbe stato un po’ paludato. Invece ho trovato in Fantuzzi un docente di cinema tutt’altro che paludato. Proponeva film di Rossellini, Fellini, Pasolini, senza trascurare Bergman, Bresson, Buñuel… in maniera semplice e diretta, partendo dall’analisi del testo filmico, secondo un metodo che lui stesso aveva appreso qui a Roma, quando da studente aveva avuto la possibilità di seguire il lavoro di Pasolini in qualità di “assistente volontario”, e che poi aveva perfezionato a Parigi frequentando le lezioni di Christian Metz alla Sorbona.
«I film che analizzava – contrariamente a quello che mi sarei aspettato – non erano film di argomento esplicitamente religioso, né di stile oleografico, come certe pellicole che un tempo venivano proiettate nelle sale parrocchiali. Erano opere che affrontavano con libertà i più svariati problemi della vita.
«Fellini, Pasolini… Bastava scorrere i titoli dei film che venivano proposti per rendersi conto dell’apertura a largo raggio degli argomenti. I film li vedevamo come se fossimo in un cineclub, e padre Virgilio, come dice Adriano Aprà nella prefazione di questo libro, ci guidava per mano fino a farci scoprire gli aspetti più profondi, che si rivelano soprattutto nei film d’autore, contrassegnati da un’impronta personale nello stile.
«Padre Fantuzzi è comunque un gesuita. Il suo interesse principale va naturalmente all’aspetto religioso dei film, anche se ama soffermarsi di preferenza su quegli aspetti che sono implicitamente religiosi piuttosto che su quelli che lo sono in maniera esplicita. A differenza di altri sacerdoti che, soprattutto nel passato, tendevano a considerare lo schermo cinematografico come un pulpito dal quale lanciare messaggi, lui preferisce comportarsi da sacerdote, come se lo schermo fosse la grata di un confessionale, dietro la quale c’è un’anima che si confessa. Basti pensare al caso tipico di Ingmar Bergman, che a quei tempi era ancora in piena attività.
«Attraverso l’analisi critica, radicata su solide fondamenta filologiche, il padre Fantuzzi giunge a scandagliare le anime di coloro che si esprimono con il cinema e in questo modo manifesta il suo interesse per quello che c’è dietro lo schermo: l’uomo che si esprime, un mondo che manifesta i suoi aspetti più segreti…».
L’intervento di Adriano Aprà
«Pur avendo frequentato il ginnasio e il liceo all’Istituto Massimo – che è la scuola dei gesuiti allora situata in piazza dei Cinquecento, a Roma, dove ho sostenuto l’esame di maturità nel 1958, nella stessa sessione alla quale Virgilio Fantuzzi, allora giovane studente gesuita, si presentò come privatista – ho avuto l’occasione di conoscerlo personalmente solo più tardi, verso la metà degli anni Sessanta, quando fondai una rivista, Cinema & Film, che si proponeva d’impostare la critica cinematografica su basi nuove.
«Non ricordo esattamente quando ho incontrato Fantuzzi. Probabilmente è stato in occasione di qualcuna delle riunioni allargate della redazione della rivista, alle quali partecipavano anche registi, allora giovani, come Bernardo Bertolucci e Marco Bellocchio, oppure nella casa di Pasolini all’Eur, che frequentavamo entrambi.
«Dopo di allora abbiamo continuato a incontrarci e a leggere reciprocamente i nostri saggi sul cinema, avendo una certa comunanza, se non una vera e propria identità di vedute, soprattutto per quanto riguarda gli autori. Quanto al suo metodo critico, mi ha colpito perché ha la stessa meticolosità delle mie scritture giovanili.
«Noi viviamo ormai in un’epoca in cui non c’è più bisogno di avere memoria del cinema, perché questa memoria è depositata nel digitale. Oggi i film esistono come i libri di una biblioteca. Ma ai miei tempi e ai tempi di Virgilio si andava al cinema con la sensazione di vedere un film per la prima e l’ultima volta. L’idea di rivedere un film era improbabile. Bisognava ritornarci uno o due giorni dopo, perché i film sparivano presto dalle sale. Ciò mi costringeva a fare sforzi di memoria. Vedevo un film. Se mi piaceva particolarmente, tornavo e prendevo appunti. Poi, a casa, li trascrivevo rapidamente per paura di dimenticarmi qualche cosa e di essere impreciso. Penso che anche Virgilio si sia servito di procedimenti analoghi, e se ne serva ancora, anche se adesso è più facile appoggiarsi sui dvd.
«Nell’elaborazione di un metodo critico per accostarmi al cinema, mi sono stati di aiuto la stilistica letteraria sviluppata da Leo Spitzer e la semiologia di Christian Metz. Credo che anche Virgilio abbia seguito percorsi simili, dato che abbiamo frequentato gli stessi ambienti, e lui ha avuto anche la possibilità di seguire i corsi di Metz a Parigi.
«Nella mia breve, ma spero densa prefazione al libro dico: peccato che Fantuzzi non si sia cimentato con il critofilm. Io chiamo “critofilm” i documentari sul cinema e in particolare quelli di tipo saggistico che usano il cinema per parlare di cinema. È qualcosa in cui mi sono recentemente cimentato, perché trovo che l’unico limite, non soltanto di Fantuzzi, ma di tutta la critica in generale, è che, quando parla di un film e si riferisce a delle immagini precise, non può fare delle vere e proprie citazioni come fanno il critico letterario, il critico d’arte e perfino il critico musicale, ma può soltanto alludere all’opera, e in questo senso c’è una sorta di frustrazione, perché, quando uno scrive, si domanda se colui che legge ha davanti a sé il testo con la stessa chiarezza con cui lo ha avuto colui che ne ha scritto. Detto questo, trovo che la scrittura di Virgilio ha non soltanto questo pregio analitico, ma anche il pregio della chiarezza.
«La chiarezza, che non vuol dire semplificazione, è qualcosa a cui si arriva normalmente tardi nella propria esperienza di scrittura. Da giovani si tende a essere ermetici, allusivi, con citazioni, note a piè di pagina… Una confusione che lascia il lettore imbarazzato e lo fa sentire diminuito. Egli sente che da una parte c’è un professore che parla di cinema e dall’altra lui allievo, piccolo piccolo, che ascolta senza osare dire che forse non ha capito… Invece Fantuzzi, che è un pedagogo, dialoga con il lettore. Lo pone al suo medesimo livello. Non fa il professore. È qualcuno che crede nella comunicazione».
L’intervento di Marco Vanelli
«Nella lunga intervista che papa Francesco ha rilasciato, all’inizio del suo pontificato, a padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, dice: “Dovremmo parlare anche del cinema. La strada di Fellini è il film che forse ho amato di più. M’identifico con quel film, nel quale c’è un implicito riferimento a san Francesco. Credo poi di aver visto tutti i film di Anna Magnani e Aldo Fabrizi quando avevo tra i 10 e 12 anni. Un altro film che ho amato molto è Roma città aperta di Rossellini. Devo la mia cultura cinematografica soprattutto ai miei genitori che ci portavano spesso al cinema”3. È un passaggio importante perché si sente un Pontefice che parla di cinema e ne parla con affetto.
«Io ho visto La strada per la prima volta, quando ero ragazzo, in televisione. Poi, crescendo, ho sentito parlare spesso di quel film, soprattutto da parte di sacerdoti della generazione precedente alla mia, che negli anni prima del Concilio erano interessati al cinema, non tanto a quello spettacolare o edificante, ma a quello che manifestava una particolare attenzione, da parte di un artista, a un tema misterioso come può essere quello della presenza della grazia nella vita di persone apparentemente lontane da ogni esperienza religiosa.
«Questa sera voglio ricordare alcuni religiosi che mi hanno parlato con entusiasmo proprio de La strada. Sono due piccoli fratelli di Charles de Foucault e tre gesuiti.
«Uno dei piccoli fratelli è don Arturo Paoli, che ho frequentato negli ultimi anni della sua vita a Lucca, la mia città. Nel 2012 ho avuto l’occasione di parlare con lui proprio di cinema. Gli ho chiesto se aveva conosciuto Fellini, al quale faceva spesso riferimento. Mi ha risposto: “Sì. L’ho conosciuto grazie a René Voillaume, che era il nostro superiore generale, e mi chiese di prendere contatto con lui per sentire se era disposto a fare un film sulla vita avventurosa del nostro fondatore”. Fellini s’interessò molto alla figura di Charles de Foucault, ma mi disse che non possedeva quella cultura religiosa che gli avrebbe consentito di affrontare direttamente i problemi di fede che l’argomento avrebbe richiesto. “Vi indicherei Rossellini – mi disse –, perché lui ha un temperamento religioso”.
«Parlando di Fellini con Arturo Paoli, mi dice: “Il suo capolavoro, mai più raggiunto, è La strada, dove si vede l’evoluzione di quei personaggi emarginati, fuori dalle condizioni che la gente comune considera normali. Mi ha interessato soprattutto la loro presa di coscienza. Ciò che ricordo sempre è il momento in cui si potrebbe dire che Dio intervenga nella loro vita. Quel raggio di luce che scende di notte sulla piccola pietra mi ha sconvolto”.
«Non è un caso se ne La strada i diversi sacerdoti che ho conosciuto sottolineano il dialogo tra Gelsomina e il Matto, quello che contiene la metafora del sassolino. Quando il Matto dice a Gelsomina: “Se tutto quello che esiste ha un senso (come ad esempio quel sassolino lì), non disperare perché anche tu un senso ce l’hai, anche se Zampanò ti maltratta e tutti ti reputano buona a nulla”.
«Padre Paoli mi conduce vicino a Carlo Carretto, altro piccolo fratello, a proposito del quale Arturo ricorda in un suo scritto di averlo visto arrivare nel deserto, disfare la sua valigia, estrarne delle camicie di seta dai colori sgargianti e le fotografie di alcuni film, tra le quali quelle di Giulietta Masina che interpreta Gelsomina ne La strada. Era la prima volta che Arturo sentiva parlare di quel film, che aveva avuto un ruolo importante nell’evoluzione spirituale di Carretto. Il brano al quale entrambi i religiosi si riferivano era sempre quello: le parole del Matto a Gelsomina. Passiamo adesso ai gesuiti.
«Ho studiato cinema con il padre Nazareno Taddei, che dirigeva un importante centro culturale sugli audiovisivi a La Spezia, non lontano dal luogo dove abito4. Padre Taddei si serviva del film La strada come testo di base per illustrare il suo metodo sulla lettura strutturale del cinema. Ciò ha fatto sì che io abbia potuto tener presente quel film in tutte le sue sfumature che accompagnavano l’evoluzione di Zampanò, la presa di coscienza di Gelsomina ecc. fin dai primi passi che muovevo nell’ambito della critica cinematografica.
Il secondo gesuita è Virgilio Fantuzzi che, in un saggio del libro che stiamo presentando, riesce a risalire da Fellini a Rossellini, come aveva fatto lo stesso Fellini parlando con Arturo Paoli del “temperamento religioso” di Rossellini, trovando un’affinità tra il rapporto di Gelsomina con Zampanò e quello sviluppato da Rossellini in un episodio di Francesco giullare di Dio, dove si assiste al confronto tra il tiranno Nicolaio (interpretato da Aldo Fabrizi) e fra Ginepro, un umile seguace di san Francesco.
«Veniamo al terzo gesuita, cioè papa Bergoglio. Nell’omelia della Messa di Pasqua dell’anno scorso, papa Francesco fa un discorso, che viene riportato dalla stampa e dalla televisione, nel quale mi pare che ci sia un evidente riferimento a La strada, che nessuno dei commentatori sembra afferrare. Telefono subito a Virgilio, il quale mi dice che padre Antonio Spadaro, avendo colto lo stesso riferimento, sta per scrivere su questo un editoriale per La Civiltà Cattolica5. Ho fatto anch’io la stessa cosa, dedicando un editoriale della rivista che dirigo, Cabiria, all’attenzione che questo Papa dedica a certo cinema ricco di suggestioni spirituali.
«Papa Francesco nell’omelia mette insieme la metafora della pietra scartata dai costruttori, che è Gesù, con i sassolini, che siamo noi: “E se stiamo noi sassolini accanto a quella pietra, abbiamo un senso anche noi”. Concludo l’editoriale dicendo: “Anche per la passione cinefila che il papa dimostra con queste parole voglio bene a Bergoglio”».
L’intervento di p. Federico Lombardi
«Non sono né uno storico del cinema né un cinefilo, ma il mio titolo per partecipare a questa presentazione è aver vissuto qui per dieci anni con Virgilio quando lui era stato appena incaricato di scrivere di cinema sulla rivista. Nel 1973, esattamente 45 anni fa, eravamo i due più giovani del Collegio degli scrittori e cercavamo di sostenerci a vicenda. Lui mi invitava ad andare al cinema per vedere insieme i film sui quali avrebbe scritto dopo averne discusso con me. Confesso che, dopo quel periodo, non ho più messo piede in una sala cinematografica. Ma non rimpiango di averlo fatto allora e, sfogliando questo libro, mi fa piacere tornare sui miei passi fino a quei lontani esordi.
«Non era quella la prima volta che Virgilio si occupava di cinema, perché in precedenza, insegnando Lettere e Storia dell’arte in alcune scuole, aveva già avuto modo di addentrarsi in questa materia, allora ritenuta particolarmente importante. C’erano diversi gesuiti, appartenenti alla generazione precedente alla nostra, che si occupavano di cinema. A Milano, oltre al padre Taddei, ricordato poco fa, c’erano i padri Luigi Bini ed Eugenio Bruno. A Padova c’era il padre Antonio Covi. Qui a Roma c’era il padre Enrico Baragli, considerato un autentico monumento nell’ambito dei mass media. A Genova c’era il padre Angelo Arpa, a Livorno il padre Egidio Guidubaldi, a Napoli il padre Mario Casolaro… Era l’epoca dei cineforum, che suscitavano notevole interesse culturale. Il giovane Fantuzzi si muoveva in questo ambito, manifestando fin d’allora una sua attitudine particolare. Il padre Roberto Tucci, che dirigeva La Civiltà Cattolica, la colse e la valorizzò.
«Fantuzzi, come è stato osservato, non era privo di criteri metodologici che gli consentivano un approccio professionale con il cinema, ma ciò che colpiva di più in coloro che lo seguivano era la sua ricerca di un incontro personale con gli autori cinematografici. È un aspetto della sua personalità che emerge con chiarezza anche dagli articoli raccolti in questo volume. Perché non c’è quasi mai in questi articoli un discorso puro sul cinema, ma c’è la ricerca di un dialogo personale con l’autore. La ricerca di andare personalmente dentro il mondo del cinema anche attraverso l’incontro e la conoscenza diretta dell’autore e la discussione con lui sui significati profondi dei film che Virgilio vedeva e che voleva verificare se corrispondevano realmente a quelli che l’autore aveva voluto esprimere.
«A proposito dell’atmosfera bergogliana che aleggia su questa serata, a me è venuto in mente il tema della cultura dell’incontro. Perché, come sapete, Bergoglio parla sempre dell’incontrare l’altro, per iniziare un dialogo e fare poi un cammino. L’aspetto caratteristico che ho potuto osservare nel modo in cui Virgilio si occupa di cinema è quello della ricerca dell’incontro con gli autori.
«Alcuni di questi li ha conosciuti quando era studente e si considerava apprendista per quanto riguardava il suo interesse per il cinema. Loro sono stati molto disponibili nell’accoglierlo e nel parlare con lui. Fantuzzi li considerava giustamente come maestri, e in questo modo ha potuto usufruire di una scuola parallela rispetto alle lezioni di teologia che contemporaneamente gli venivano impartite dai professori della Gregoriana. I suoi maestri laici erano Rossellini, Fellini, Pasolini. Nessuno di essi era estraneo a tematiche di tipo religioso. Basta pensare a Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, Gli Atti degli Apostoli di Rossellini e La strada di Fellini, più volte citata da papa Francesco.
«Quando stavamo per terminare la nostra convivenza qui alla Civiltà Cattolica, nel 1983, trentacinque anni fa, abbiamo pubblicato una raccolta di saggi, che s’intitola Cinema sacro e profano, dove, nella premessa, Virgilio scriveva cose che mi pare siano ancora attuali: “Tra i diversi significati che s’incontrano negli articoli raccolti in questo libro, due s’impongono con particolare evidenza. La ricerca esterna che, dato l’ambiente ecclesiastico dal quale l’autore muove i suoi passi, si configura con la struttura del romanzo, inteso come agnizione dell’altrove”. Cioè, c’era questo tentativo di entrare in contatto con la realtà mediante il dialogo con i maestri del cinema. “Alla ricerca esterna – prosegue – fa riscontro una ricerca interna. Un processo di chiarificazione personale che si svolge attraverso il cinema, visto come specchio di una realtà che non è soltanto esterna e si concretizza non tanto con una applicazione al cinema di una rigorosa metodologia critica, quanto piuttosto in una libera riutilizzazione dei materiali linguistici che lo schermo rinvia”.
«Alla vicenda esterna del giovane religioso che si serve del cinema per entrare in contatto con il mondo, si associa la vicenda interna di Fantuzzi che fa un suo cammino di ricerca spirituale e umana approfittando dei materiali «linguistici» che il cinema gli fornisce, e che lui elabora nel suo lavoro di riflessione con un atteggiamento che, per usare un’altra parola cara a Bergoglio, potrebbe essere definito di “discernimento”.
«Qual è il fondamento spirituale di questo atteggiamento? Per chi conosce la spiritualità di sant’Ignazio, c’è una espressione classica che è “cercare e trovare Dio in tutte le cose”. Questo è ciò che ogni buon gesuita cerca di fare. Fantuzzi lo cerca nell’ambito del cinema. Questa è la sua missione. E dove trova la presenza di Dio? Vi consiglio di leggere il risvolto di copertina di Luce in sala, dove egli scrive: “La ricerca del divino nel cinema avviene tra la polvere e il fango”, dove con la parola “polvere” s’intende la povertà materiale, e con il “fango” s’intende la povertà morale e spirituale.
«Ecco dunque i maestri di cui si parla: Rossellini, che ama le persone semplici, care a san Francesco; Fellini, che si occupa degli artisti girovaghi (La strada) o delle prostitute (Le notti di Cabiria); Pasolini e Citti, che girano per le borgate romane dove ne succedono di tutti i colori; i Taviani, che fanno un film con i detenuti del carcere di Rebibbia; Olmi, con i suoi contadini e così via…
«Nell’intervista rilasciata da papa Francesco a padre Spadaro trovo parole che sono in sintonia con tutto questo: “Io ho una certezza dogmatica. Dio è nella vita di ogni persona. Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, distrutta dai vizi, dalla droga, da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine, c’è sempre uno spazio dove il seme buono può crescere e germogliare. Bisogna fidarsi di Dio…”6.
«Quando Virgilio ha cominciato a scrivere su La Civiltà Cattolica, nel 1973, non era per niente scontato che avrebbe potuto scrivere quello che voleva a proposito dei film che gli piacevano, soprattutto se si trattava di film di argomento scabroso o politicamente schierati su posizioni allora non condivise. Adesso non è più così. Quando gli ho chiesto se considerava ancora valido quello che aveva scritto nella prefazione al libro dell’83, mi ha risposto: “Io non mi sono mosso di un solo millimetro. È la situazione che è cambiata”».
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1 V. Fantuzzi, Luce in sala. La ricerca del divino nel cinema, Milano, Àncora, 2018, 196. Il libro contiene saggi sul cinema di Roberto Rossellini, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Sergio Citti, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Paolo Benvenuti, Paolo e Vittorio Taviani, Ermanno Olmi.
2 I relatori erano lo storico del cinema Adriano Aprà, fondatore e direttore della rivista Cinema & Film, già direttore del festival di Pesaro, della Cineteca nazionale, docente universitario, autore di libri e promotore di iniziative culturali; Marco Vanelli, professore di lettere nella scuola media, studioso di cinema, direttore della rivista Cabiria. Studi di cinema, organo del Cinit. Cineforum Italiano, accanito ricercatore delle fonti d’archivio; il padre Federico Lombardi, già direttore della Radio Vaticana, del Centro Televisivo Vaticano e della Sala Stampa Vaticana, ora presidente della Fondazione Benedetto XVI.
3 A. Spadaro, «Intervista a papa Francesco», in Civ. Catt. 2013 III 449-477.
4 Cfr M. Pampaloni, «Nazareno Taddei: un pioniere della comunicazione», in Civ. Catt. 2016 IV 492-501.
6 Id., «Intervista a papa Francesco», cit.
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QUEST FOR THE DIVINE IN CINEMA
For the presentation of the book Luce in sala by Fr. Virgilio Fantuzzi, a roundtable took place at the magazine’s offices. The film historian, Adriano Aprà, took part, and who recalled the cultural atmosphere of the 1960s, when Fantuzzi began to write about cinema; Marco Vanelli, a film scholar and editor of the magazine Cabiria, who connected Fantuzzi’s work with Pope Francis’ observations on the film La strada by Fellini; and Fr. Federico Lombardi, who was already part of the Civiltà Cattolica community from 1973 to 1983, when Fantuzzi took his first steps as a film critic.