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Quattro decenni fa, il padre gesuita Arij Roest Crollius scriveva: «What is so new about inculturation?»[1]. La sua riflessione è stata una pietra miliare nella comprensione di quella parola e nell’accoglienza del concetto nella trama del linguaggio teologico-pastorale in linea con il Concilio Vaticano II. Oggi ci poniamo un’analoga domanda di fronte all’impulso che il termine «sinodalità» sta ricevendo da parte del magistero di papa Francesco e del recente documento della Commissione teologica internazionale (CTI) intitolato La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (SIN)[2]. Facciamo pure riferimento alla nuova Costituzione apostolica Episcopalis communio. Siamo davanti a un nuovo concetto denso di un significato permanente, o si tratta soltanto di una voce che riecheggia una moda passeggera? Il nostro contributo desidera richiamare l’attenzione sul documento e segnalare alcune novità del tema.
La domanda: novità costitutiva o moda passeggera?
«Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»[3]: Francesco ha pronunciato questa frase nel suo discorso del 17 ottobre 2015, commemorando il cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi ad opera di Paolo VI. Si tratta di un’affermazione programmatica che si articola nella sua chiamata alla riforma della Chiesa attraverso una conversione pastorale e un’uscita missionaria.
Nello stesso discorso il Papa ha affermato: «Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “Sinodo”». Tutto ciò che Cristo vuole dalla sua Chiesa è contenuto nei concetti di sinodo e di sinodalità? Se la volontà di Dio è espressa in parole bibliche come «Vangelo», «Regno di Dio», «amore», «vita», «comunione», «santità», «missione», qual è il rapporto tra quei termini e questi? Inoltre, Francesco ha affermato che la sinodalità è «dimensione costitutiva della Chiesa». Che cosa significa tale neologismo? Designa il mistero della comunione del Popolo di Dio? Che cos’è una Chiesa sinodale? Come si collegano i sinodi con la sinodalità? Quali sono le novità per la teologia, la pastorale e la spiritualità? Quali implicazioni pone il fatto che si parli di una «Chiesa sinodale» per le assemblee del Sinodo dei vescovi, come quella che si terrà sui giovani[4]?
Il documento della CTI è frutto di uno studio svolto dal 2014 al 2018 da una delle sue sottocommissioni, approvato nella plenaria del 2017 e presentato al suo presidente, il card. Luis Ladaria, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che ne ha autorizzato la pubblicazione dopo aver ricevuto, il 2 marzo 2018, il parere favorevole di Francesco. È un testo di ecclesiologia che si avvale di apporti dell’esegesi biblica, della storia della Chiesa, della teologia sistematica, della teologia pastorale, del diritto canonico, della teologia spirituale, della liturgia, dell’ecumenismo e della dottrina sociale.
Finalità e struttura del documento
Il documento, pubblicato nella pagina ufficiale della Santa Sede in italiano e in spagnolo, approfondisce il significato teologico della sinodalità nella prospettiva dell’ecclesiologia cattolica. È scandito in 121 paragrafi, con 170 note. Il contenuto è stato strutturato secondo un’ampia introduzione, quattro capitoli e una breve conclusione.
L’introduzione mostra il kairos della sinodalità nella Chiesa attuale e chiarisce il significato delle nozioni basilari (SIN 1-10). Il primo capitolo rinvia ai dati normativi che si rinvengono nella Sacra Scrittura, nella Tradizione e nella storia bimillenaria della Chiesa, per mettere in piena luce il radicamento della figura sinodale nello sviluppo storico della Rivelazione di Dio ricevuta e trasmessa dalla Chiesa in Oriente e in Occidente (SIN 11-41).
Il secondo capitolo delinea una teologia della sinodalità a partire dai suoi fondamenti teologali e in sintonia con la dottrina del Concilio Vaticano II. Espone la vita sinodale della Chiesa considerando il mistero di comunione del Popolo di Dio pellegrino e missionario nel mondo, con un particolare riferimento alle proprietà distintive dell’unità, della santità, della cattolicità e dell’apostolicità (SIN 42-70). Su questa base teologica vengono proposti orientamenti pastorali e spirituali.
Nella cornice della vocazione sinodale del Popolo di Dio, il terzo capitolo sviluppa la concreta messa in atto della sinodalità, considerandone i soggetti, le strutture, i processi e gli eventi sinodali. Lo fa a vari livelli: comincia dalla Chiesa diocesana, prosegue con la comunione fra le Chiese particolari di una regione e culmina nel complesso della Chiesa universale, raccogliendo apporti dalle tradizioni e dalle strutture delle Chiese di Oriente e di Occidente (SIN 71-102).
Il quarto capitolo offre linee per la conversione spirituale e pastorale verso una rinnovata sinodalità, analizzando la spiritualità di comunione e il suo esercizio tramite l’ascolto, il dialogo e il discernimento sinodale, e mettendone in evidenza alcuni riflessi positivi nel cammino ecumenico e nella diaconia sociale (SIN 103-119).
Il punto di partenza è il rinnovamento del linguaggio teologico avvenuto nell’ultimo mezzo secolo. Nella letteratura teologica, canonistica e pastorale degli ultimi decenni si è profilato l’uso di un sostantivo di nuovo conio, «sinodalità», correlato all’aggettivo «sinodale», entrambi derivati dalla parola «sinodo». Si parla così della sinodalità come di una «dimensione costitutiva» della Chiesa, e tout court di «Chiesa sinodale».
Questa novità di linguaggio, che chiede un’attenta messa a punto teologica, attesta un’acquisizione che è venuta maturando nella coscienza ecclesiale a partire dal magistero del Vaticano II e dall’esperienza vissuta, nelle Chiese locali e nella Chiesa universale, dall’ultimo Concilio sino a oggi. Sebbene il termine e il concetto di «sinodalità» non si ritrovino esplicitamente nell’insegnamento del Concilio Vaticano II, si può affermare che l’istanza della sinodalità è al cuore dell’opera di rinnovamento promossa dal Concilio (cfr SIN 5-6).
Chiave cristologica ed esperienza ecclesiale
Il documento comprende la sinodalità in chiave cristologica e trinitaria. Noi cristiani «teniamo fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 12,2), che è il pellegrino evangelizzatore che annuncia la Buona Notizia del regno di Dio (cfr Lc 9,11). La Chiesa è la comunità degli «appartenenti alla via del Signore» (At 9,2). Gesù è «la Via» (Gv 14,6) di Dio verso l’uomo e dell’uomo verso il Padre. Cristo, Viandante, Via e Patria, ci guida attraverso «la via più sublime» (1 Cor 12,31). San Giovanni Crisostomo ha affermato che «Sinodo è nome che sta per Chiesa», vale a dire un cammino che si compie in comunione.
«Sinodo» è una parola greca, composta dalla preposizione syn, che significa «con», e dal sostantivo hodos, che significa «cammino». Si tratta di un cammino fatto insieme, sotto la guida del Signore risorto, da parte di tutto il Popolo di Dio nella variegata pluralità dei suoi membri e nell’esercizio responsabile e convergente dei diversi carismi e ministeri in ordine al bene comune[5].
Il carattere esemplare del Concilio di Gerusalemme (cfr At 15,4-29) manifesta la vita sinodale fin dalle origini cristiane. Di fronte a una decisiva sfida pastorale e dottrinale come la crisi giudaizzante, venne esercitato il metodo del discernimento comunitario e apostolico sotto la guida dello Spirito Santo (cfr At 15,28). A quella decisiva riunione parteciparono, in modo diverso, «gli apostoli e gli anziani, con tutta la Chiesa» (At 15,4.6.22). Su questo evento si è fondata la tradizione sinodale e conciliare[6].
La sinodalità configura la Chiesa come Popolo di Dio in cammino e assemblea convocata dal Signore. Il processo di camminare insieme per realizzare il progetto del Regno di Dio ed evangelizzare i popoli include il fatto di stare insieme in assemblea per celebrare il Signore risorto e discernere ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Le assemblee – soprattutto i concili ecumenici e i sinodi episcopali a livello di tutta la Chiesa – sono momenti storici privilegiati di un discernimento guidato dallo Spirito al servizio dell’evangelizzazione. Così la Chiesa segue il ritmo della vita, che è movimento e pausa, cammino e riunione, sinodalità e sinodo.
In uno dei passi conclusivi, il documento cita le parole di Francesco all’apertura dei lavori della settantesima Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, il 22 maggio 2017[7].
La Chiesa è un mistero plasmato dall’Eucaristia. L’assemblea eucaristica è fonte, centro e culmine di ogni assemblea. Il Popolo di Dio ascolta la Parola di Dio e celebra la comunione con il Corpo di Cristo, grazie alla quale egli si fa presente in modo pieno nella storia. Dall’esperienza della fede vissuta sono sorte le assemblee ecclesiali, che cercano di discernere le questioni dottrinali, liturgiche, canoniche e pastorali poste col trascorrere del tempo. Esse hanno generato un’ininterrotta prassi sinodale a livello diocesano, provinciale, regionale e universale.
L’ecclesiologia del Concilio Vaticano II
La costituzione dogmatica Lumen gentium propone i princìpi fondamentali per cogliere la sinodalità nella comunione del Popolo ecclesiale riunito dalla Santissima Trinità (cfr LG 4). L’ordine dei suoi primi tre capitoli costituisce una novità nella storia del magistero e della teologia. La sequenza «mistero della Chiesa (cap. 1), popolo di Dio (cap. 2), costituzione gerarchica (cap. 3)» insegna che, nel disegno trinitario della salvezza, la gerarchia – il collegio episcopale, capeggiato dal vescovo di Roma – è al servizio del Popolo di Dio missionario. La sinodalità non deve essere pensata soltanto a partire dal capitolo terzo, ma già dal primo binomio.
La sinodalità esprime la condizione di soggetto che spetta a tutta la Chiesa e a tutti nella Chiesa[8]. Tutti i battezzati sono compagni di viaggio, destinati a essere soggetti attivi nella chiamata alla santità e alla missione, perché tutti partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo e sono arricchiti dai carismi dello Spirito. Su questa linea, papa Francesco si riferisce sempre alla Chiesa come «santo Popolo fedele di Dio», completando una ricca espressione conciliare (cfr LG 12a)[9].
In questo contesto teologico, il neologismo «sinodalità» non designa un mero procedimento operativo, ma piuttosto la maniera specifica di vivere e di operare (modus vivendi et operandi) della Chiesa come Popolo di Dio, che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare assieme, nel riunirsi in assemblea e nel partecipare attivamente alla missione evangelizzatrice. La sinodalità esprime e attualizza la natura e la missione della Chiesa nella storia orientata verso la pienezza del Regno già presente in Cristo. Pertanto, «Chiesa» è un nome che sta per «Sinodo», e «Sinodo» è un nome che sta per «Chiesa».
Nel riassumere i suoi primi due capitoli, il documento distingue tre significati della sinodalità, considerando diverse realtà nella vita e nella missione della Chiesa (cfr SIN 70). Anzitutto, lo stile peculiare che ne qualifica il modo ordinario di vivere e di operare. In secondo luogo, le strutture e i processi che esprimono la comunione sinodale a livello istituzionale. Infine, la realizzazione puntuale di quegli eventi o atti – che vanno da un sinodo diocesano a un concilio ecumenico – nei quali la Chiesa è chiamata ad agire sinodalmente a livello locale, regionale e universale.
Lo stesso insegnamento di Francesco è avallato dai processi di partecipazione e di consultazione che egli ha promosso nel triennio 2013-2016, nelle due assemblee sinodali dedicate ad analizzare la vocazione e la missione della famiglia nel mondo contemporaneo. L’esortazione Amoris laetitia è un frutto maturo di tale pratica sinodale e collegiale.
La piramide inversa della Chiesa sinodale
Francesco supera la tradizionale figura piramidale, che ancora caratterizza un certo immaginario collettivo: propone una Chiesa sinodale, impiegando la suggestiva immagine di una piramide rovesciata. Questo rovesciamento della figura è stato compiuto dal Concilio e viene confermato dal Papa argentino[10]. La teologia della sinodalità è uno sviluppo originale e omogeneo dell’evento conciliare e del suo magistero ecclesiologico. Seguendo la logica della Lumen gentium (LG), n. 18, essa fornisce la cornice interpretativa per comprendere e vivere il ministero gerarchico (la cima della piramide, che si colloca alla base) come un umile servizio reso al Popolo di Dio (la base, che si colloca in cima).
La sinodalità poggia su due pilastri: il sensus fidei di tutto il Popolo di Dio – tema di un altro documento della CTI[11] – e la collegialità sacramentale dell’episcopato in comunione con la sede di Roma. Invita a dispiegare la comunione sinodale fra «tutti», «alcuni» e «uno», articolando i doni del popolo cristiano, la missione dei vescovi e il servizio del Successore di Pietro.
Lo scambio tra la profezia dei fedeli, il discernimento del collegio episcopale e la presidenza del ministero petrino arricchisce la Chiesa. Aiuta a coniugare la dimensione comunitaria del Popolo di Dio, la comunione collegiale dell’episcopato e il «primato diaconale» del vescovo di Roma. Un processo analogo avviene nelle Chiese locali e nei raggruppamenti di Chiese. La CTI analizza l’azione dei soggetti, delle strutture, dei processi e degli eventi sinodali che articolano l’autorità di alcuni e la partecipazione di tutti: una Chiesa sinodale vive uno stile partecipativo e corresponsabile[12].
Il concetto di sinodalità si distingue e si correla rispetto alle nozioni di comunione e di collegialità, cuore della dottrina del Vaticano II. Quanto alla comunione, «sinodalità» esplicita il concreto modo di viverla, che dispiega nella storia la partecipazione dei discepoli missionari nella comunione di amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Essa dice qualcosa di specifico anche in relazione alla collegialità, in quanto questo concetto esprime il senso e l’esercizio del ministero dei vescovi come membri del collegio episcopale in comunione gerarchica con il vescovo di Roma, per servire le Chiese locali e la Chiesa universale[13]. La CTI insiste sul fatto che il dinamismo sinodale implica che la partecipazione e la corresponsabilità di «tutti» i battezzati si articolino con l’esercizio specifico dell’autorità collegiale di «alcuni» e con la presidenza da parte di «uno», tanto in ogni Chiesa diocesana quanto, a suo modo, nell’intera Chiesa.
Nella sezione dedicata alla sinodalità nella Chiesa particolare, il documento spiega: «Essendo al contempo “atto di governo e evento di comunione”, il Sinodo diocesano e l’Assemblea eparchiale rinnovano e approfondiscono la coscienza di corresponsabilità ecclesiale del Popolo di Dio e sono chiamati a profilare in concreto la partecipazione di tutti i suoi membri alla missione secondo la logica di “tutti”, “alcuni” e “uno”. La partecipazione di “tutti” va attivata attraverso la consultazione nel processo di preparazione del Sinodo, allo scopo di raggiungere tutte le voci che sono espressione del Popolo di Dio nella Chiesa particolare. I partecipanti alle assemblee e sinodi a titolo di ufficio, di elezione o di nomina episcopale, sono gli “alcuni” cui è confidato il compito della celebrazione del Sinodo diocesano o dell’Assemblea eparchiale. È essenziale che, nel loro insieme, i sinodali offrano un’immagine significativa ed equilibrata della Chiesa particolare, riflettendo la diversità di vocazioni, di ministeri, di carismi, di competenze, di estrazione sociale e di provenienza geografica. Il vescovo, successore degli apostoli e pastore del suo gregge che convoca e presiede il Sinodo della Chiesa particolare, è chiamato a esercitarvi con l’autorità che gli è propria il ministero dell’unità e della guida» (SIN 79). In tutte le strutture e processi sinodali sono chiamati a partecipare i laici e le laiche[14].
Un cammino sinodale di conversione o riforma missionaria
Nel 1965, Karl Rahner affermò che nel Vaticano II si era manifestato il principio sinodale e collegiale della Chiesa[15]. Con Francesco, siamo entrati in una nuova fase della recezione del Concilio e della riforma ecclesiale. Secondo lui, il Vaticano II ha compiuto una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea e ha avviato un processo di rinnovamento del tutto irreversibile. Nell’enciclica Laudato si’ (LS) papa Francesco afferma che la sua esortazione Evangelii gaudium era rivolta «ai membri della Chiesa per mobilitare un processo di riforma missionaria ancora da compiere» (LS 3). La riforma è la conversione sinodale e missionaria di tutto il Popolo di Dio e di tutti nel Popolo di Dio.
Con questo pontificato, la dinamica sinodale di conversione pastorale promossa dalla periferia latinoamericana dà il suo apporto a una riforma missionaria[16]. Questa Chiesa regionale ha recepito in maniera localizzata il Vaticano II a partire dalla Conferenza episcopale di Medellín, inaugurata da Paolo VI nel 1968, continuata dalle assemblee di Puebla (1979) e Santo Domingo (1992). Cinquant’anni fa essa ha mostrato il volto latinoamericano di questa Chiesa, la dimensione profetica del Vangelo, l’impegno verso i poveri, la gioia della fede pasquale. Nel 2007, nella V Conferenza dell’episcopato latinoamericano e caraibico celebratasi ad Aparecida, il card. Bergoglio presiedette la Commissione di redazione del documento ed ebbe un ruolo significativo nella sua elaborazione collegiale. Il primo Papa del Sud condivide la sua esperienza sinodale con la Chiesa che cammina nel mondo intero[17]. Ciò conferma quanto affermò Yves Congar nel 1950: «Molte riforme provengono dalla periferia»[18].
La riforma della Chiesa richiede che si faccia un passo avanti per promuovere una rinnovata prassi sinodale, capace di coinvolgere tutti e ciascuno. Non si tratta di una mera operazione di ingegneria istituzionale. La Commissione teologica asserisce che si tratta, anzitutto, di entrare in un processo di conversione, nella disponibilità al dono dello Spirito di Cristo, sia a livello personale sia a livello pastorale, per sviluppare uno stile e una prassi sinodali che rispettino sempre più le esigenze di comunicare la gioia del Vangelo, rispondendo ai segni dei tempi. Paolo VI ha promosso la Chiesa del dialogo e Giovanni Paolo II l’ha chiamata a essere casa e scuola di comunione. Oggi Francesco la invita a «entrare in processi» di «discernimento, purificazione e riforma» (EG 30). Tutte le comunità e le istituzioni ecclesiali sono chiamate ad avanzare su questa via di riforma sinodale[19].
Il cuore della teologia, della mistica e della pratica della vita sinodale sta negli atteggiamenti e nei processi di ascolto, dialogo e discernimento in comune. La sezione centrale del quarto capitolo si intitola «L’ascolto e il dialogo per il discernimento comunitario». In essa si afferma: «L’esercizio del discernimento è al cuore dei processi e degli eventi sinodali. Così è sempre stato nella vita sinodale della Chiesa. L’ecclesiologia di comunione e la specifica spiritualità e prassi che ne discendono, coinvolgendo nella missione l’intero Popolo di Dio, fanno sì che diventi “oggi più che mai necessario […] educarsi ai principi e ai metodi di un discernimento non solo personale ma anche comunitario”. Si tratta d’individuare e percorrere come Chiesa, mediante l’interpretazione teologale dei segni dei tempi sotto la guida dello Spirito Santo, il cammino da seguire a servizio del disegno di Dio escatologicamente realizzato in Cristo che vuole realizzarsi in ogni kairos della storia. Il discernimento comunitario permette di scoprire una chiamata che Dio fa udire in una situazione storica determinata» (SIN 113).
Riflessi ecumenici e sociali della sinodalità
La sinodalità illumina anche il cammino ecumenico delle Chiese e delle comunità ecclesiali per giungere alla piena e visibile unità in Gesù Cristo. La CTI fa riferimento al Documento di Chieti (2016), frutto dei lavori della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, in linea con l’affermazione del Successore di Pietro che sottolinea come la Chiesa cattolica possa trarre insegnamento dall’esperienza sinodale delle Chiese ortodosse (cfr EG 246). Cita anche il documento del Consiglio ecumenico delle Chiese The Church. Towards a Common Vision (2013)[20].
Inoltre, la sinodalità illumina la testimonianza ecclesiale nel contesto della società globalizzata del nostro tempo. Le sfide cruciali che la famiglia umana deve affrontare richiedono una cultura dell’incontro e, pertanto, che si coltivino gli atteggiamenti di dialogo, servizio e cooperazione. Davanti al disinteresse e alla sfiducia che oggi investono l’impegno per il bene comune nazionale e internazionale, è necessario ampliare spazi e processi per ricreare una partecipazione corresponsabile e solidale. Camminando per il sentiero della riforma evangelizzatrice, la Chiesa può apportare la «diaconia sociale» della sinodalità, per aiutare a coltivare la giustizia, la pace e la cura della casa comune.
Per una teologia più sinodale
La conversione deve cominciare da se stessi, e la Chiesa deve sempre seguire la logica dell’esemplarità e della testimonianza. Il documento si riferisce alla sinodalità tra i membri della comunità teologica. La vita sinodale racchiude una sfida per pensare la fede al servizio della Parola di Dio, del discorso teologico e della nuova evangelizzazione. Lo attesta il mezzo secolo della CTI, istituita da Paolo VI nel 1969, accogliendo una proposta avanzata nel 1967 dal Sinodo dei vescovi.
Il documento cita un testo antecedente di tale Commissione: «Come per qualsiasi altra vocazione cristiana, anche il ministero del teologo, oltre ad essere personale, è anche comunitario e collegiale»[21]. E aggiunge: «La sinodalità ecclesiale impegna dunque i teologi a fare teologia in forma sinodale, promuovendo tra loro la capacità di ascoltare, dialogare, discernere e integrare la molteplicità e varietà delle istanze e degli apporti» (SIN 75). Lo Spirito ci muove a pensare una teologia della sinodalità, e a immaginare nuove vie per fare teologia sinodalmente.
Quando si riferisce al dialogo sinodale, il documento puntualizza atteggiamenti a cui noi tutti siamo chiamati. «Il dialogo sinodale – afferma – implica il coraggio tanto nel parlare quanto nell’ascoltare. Non si tratta d’ingaggiarsi in un dibattito in cui un interlocutore cerca di sopravanzare gli altri o controbatte le loro posizioni con argomenti contundenti, ma di esprimere con rispetto quanto si avverte in coscienza suggerito dallo Spirito Santo come utile in vista del discernimento comunitario, aperti al tempo stesso a cogliere quanto nelle posizioni degli altri è suggerito dal medesimo Spirito “per il bene comune” (cfr 1 Cor 12,7)» (SIN 111).
Il documento insiste su questo aspetto, affermando che il criterio secondo cui «l’unità prevale sul conflitto» vale in forma specifica per l’esercizio del dialogo e per la gestione delle diversità di opinioni e di esperienze. Infatti, il dialogo offre sempre l’opportunità di acquisire nuove prospettive e nuovi punti di vista. E la verità – come sottolineava Benedetto XVI – «è logos che crea dialogos e, perciò, comunicazione e comunione» (ivi).
La Costituzione apostolica «Episcopalis communio»
La figura di una Chiesa sinodale porta a rinnovare gli atteggiamenti di ascolto, consultazione, dialogo, discernimento, accoglienza, scambio e, soprattutto, di partecipazione fra tutti i membri del Popolo di Dio. La sinodalità è la radice di un nuovo modo di articolare armoniosamente i doni di tutti i fedeli, dei vescovi e del vescovo di Roma. Ciò richiede, tra le altre cose, l’aggiornamento di strutture, processi e procedure sinodali. Implica, in modo particolare, di rinnovare la dottrina, le norme e la prassi del Sinodo dei vescovi, affinché questa istituzione collegiale esprima e animi una Chiesa più sinodale e missionaria[22].
In questa linea, il 18 settembre 2018 papa Francesco ha reso pubblica la Costituzione apostolica Episcopalis communio sul Sinodo dei vescovi. Con essa sono tradotti in norma tutti i passaggi del cammino di una «Chiesa costitutivamente sinodale», che «inizia ascoltando il Popolo di Dio», «prosegue ascoltando i pastori», culmina nell’ascolto del Vescovo di Roma, chiamato a pronunciarsi come «Pastore e Dottore di tutti i cristiani».
È stata decisiva l’esperienza dei Sinodi del 2014 e del 2015 sulla famiglia, durante i quali si è andata sviluppando una prassi sinodale che oggi trova una formulazione stabile. Soprattutto viene stabilito il principio che regola le tappe del processo: Popolo di Dio, Collegio episcopale, Vescovo di Roma, l’uno in ascolto degli altri «e tutti in ascolto dello Spirito Santo». Seguendo poi le tre fasi dello svolgimento: ascolto, decisione e attuazione, i Sinodi dovranno essere il vero risultato di una estesa consultazione dei fedeli nelle diocesi e predisporre anche l’accompagnamento nella fase attuativa.
«Il Sinodo dei vescovi – scrive papa Francesco nel testo della Costituzione – deve sempre più diventare uno strumento privilegiato di ascolto del popolo di Dio». E «benché nella sua composizione si configuri come un organismo essenzialmente episcopale», non vive «separato dal resto dei fedeli»; «al contrario, è uno strumento adatto a dare voce all’intero popolo di Dio». Per questo è «di grande importanza» che nella preparazione dei Sinodi «riceva una speciale attenzione la consultazione di tutte le Chiese particolari».
Nella fase del processo consultivo, i vescovi devono sottoporre le questioni da trattare nell’assemblea sinodale ai sacerdoti, ai diaconi e ai fedeli laici delle loro Chiese. Importante è «il contributo degli organismi di partecipazione della Chiesa particolare, specialmente il consiglio presbiterale e il consiglio pastorale, a partire dai quali veramente può incominciare a prendere forma una Chiesa sinodale».
A questa consultazione dei fedeli segue quindi – durante la celebrazione del Sinodo – il «discernimento da parte dei pastori», uniti «nella ricerca di un consenso che scaturisce non da logiche umane, ma dalla comune obbedienza allo Spirito di Cristo. Attenti al sensus fidei del popolo di Dio – che devono saper attentamente distinguere dai flussi spesso mutevoli dell’opinione pubblica».
In questo modo apparirà più chiaro che nella Chiesa c’è «una profonda comunione sia tra i pastori e i fedeli, essendo ogni ministro ordinato un battezzato tra i battezzati, costituito da Dio per pascere il suo gregge», sia tra i vescovi e il Papa, che è un «vescovo tra i vescovi, chiamato al contempo – come Successore dell’apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma, che presiede nell’amore tutte le Chiese. Ciò impedisce che ciascun soggetto possa sussistere senza l’altro».
La Costituzione rappresenta un progresso rispetto al Concilio: se il Vaticano II, infatti, aveva recuperato i soggetti e le loro specifiche funzioni nella Chiesa, la Costituzione applica e traduce in prassi ecclesiale quelle indicazioni.
Un’altra importante novità consiste nel fatto che, dopo l’approvazione del Documento finale da parte dell’Assemblea, il Papa potrà decidere se approvarlo (nel caso ordinario di un’Assemblea di natura consultiva) o ratificarlo e promulgarlo (nel caso straordinario di un’Assemblea di natura deliberativa). In entrambi i casi, il Documento finale parteciperà del Magistero ordinario del Successore di Pietro, acquistando dunque una specifica autorità magisteriale. È significativo il fatto che, in caso di Sinodo con potestà deliberativa, il Documento ratificato dal Papa verrà pubblicato con la firma di tutti i Padri sinodali, in analogia con il Concilio ecumenico.
Presentando il documento, il card. Lorenzo Baldisseri ha affermato: «Già nel 2013, pochi mesi dopo la sua elezione al soglio di Pietro, papa Francesco confidava nell’intervista concessa a La Civiltà Cattolica: “Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica”[23]. Potremmo dire che uno degli obiettivi della nuova Costituzione Apostolica è proprio quello di rendere il Sinodo più “dinamico”, e per questo più incisivo nella vita della Chiesa». La riforma istituzionale promossa dal Pontefice colloca il Sinodo dei vescovi all’interno di una Chiesa più sinodale.
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(ENGLISH)
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[1]. Cfr A. Roest Crollius, «What is so new about inculturation? A concept and its implications», in Gregorianum 59 (1978) 721-738.
[2]. Commissione teologica internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2 marzo 2018: cfr www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20180302_sinodalita_it.html
[3]. Francesco, Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015, 9: cfr w2.vatican.va
[4]. Cfr L. Baldisseri (ed.), Il Sinodo dei Vescovi al servizio di una Chiesa sinodale. A cinquant’anni dall’«Apostolica Sollicitudo», Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 2016.
[5]. «Gesù è il pellegrino che proclama la buona novella del Regno di Dio (cfr Lc 4,14-15; 8,1; 9,57; 13,22; 19,11) annunciando “il cammino di Dio” (cfr Lc 20,21) e tracciandone la direzione (Lc 9,51-19,28). È anzi Egli stesso “la via” (cfr Gv 14,6) che porta al Padre, comunicando agli uomini nello Spirito Santo (cfr Gv 16,13) la verità e la vita della comunione con Dio e coi fratelli. Vivere la comunione secondo la misura del comandamento nuovo di Gesù significa camminare insieme nella storia come Popolo di Dio della nuova alleanza in corrispondenza al dono ricevuto (cfr Gv 15,12-15). Un’icona viva della Chiesa come Popolo di Dio, guidato lungo la via dal Signore risorto che lo illumina con la sua Parola e lo nutre con il Pane della vita, è tratteggiata dall’evangelista Luca nel racconto dei discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35)» (SIN 16).
[6]. «Tale questione viene trattata in quello che la tradizione ha chiamato “Concilio apostolico di Gerusalemme” (cfr At 15; e anche Gal 2,1-10). Vi si può riconoscere il prodursi di un evento sinodale in cui la Chiesa apostolica, in un momento decisivo del suo cammino, vive la sua vocazione alla luce della presenza del Signore risorto in vista della missione. Questo evento, lungo i secoli, sarà interpretato come la figura paradigmatica dei Sinodi celebrati dalla Chiesa» (SIN 20).
[7]. «Camminare insieme – insegna papa Francesco – è la via costitutiva della Chiesa; la cifra che ci permette di interpretare la realtà con gli occhi e il cuore di Dio; la condizione per seguire il Signore Gesù ed essere servi della vita in questo tempo ferito. Respiro e passo sinodale rivelano ciò che siamo e il dinamismo di comunione che anima le nostre decisioni. Solo in questo orizzonte possiamo rinnovare davvero la nostra pastorale e adeguarla alla missione della Chiesa nel mondo di oggi; solo così possiamo affrontare la complessità di questo tempo, riconoscenti per il percorso compiuto e decisi a continuarlo con parresia» (SIN 120).
[8]. Cfr A. Borras, «Trois expressions de la synodalité depuis Vatican II», in Ephemerides Theologicae Lovanienses 90 (2014) 643-666.
[9]. «La sinodalità esprime l’essere soggetto di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa. I credenti sono σύνoδοι, compagni di cammino, chiamati a essere soggetti attivi in quanto partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo e destinatari dei diversi carismi elargiti dallo Spirito Santo in vista del bene comune. La vita sinodale testimonia una Chiesa costituita da soggetti liberi e diversi, tra loro uniti in comunione, che si manifesta in forma dinamica come un solo soggetto comunitario il quale, poggiando sulla pietra angolare che è Cristo e sulle colonne che sono gli Apostoli, viene edificato come tante pietre vive in una “casa spirituale” (cfr 1 Pt 2,5), “dimora di Dio nello Spirito” (Ef 2,22)» (SIN 55).
[10]. Cfr G. Lafont, Petit essai sur le temps du pape François, Paris, Cerf, 2017, 26; cfr 131-197; 218-233; 251-260.
[11]. Cfr Commissione teologica internazionale, Il «sensus fidei» nella vita della Chiesa, 2014: cfr www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html
[12]. «La dimensione sinodale della Chiesa si deve esprimere attraverso la messa in atto e il governo di processi di partecipazione e di discernimento capaci di manifestare il dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali. La vita sinodale si esprime in strutture istituzionali e in processi che conducono, attraverso diverse fasi (preparazione, celebrazione, ricezione), a eventi sinodali in cui la Chiesa è convocata a seconda dei vari livelli di attuazione della sua costitutiva sinodalità» (SIN 76).
[13]. Cfr D. Vitali, Verso la sinodalità, Magnago (Bi), Qiqajon, 2014; Un Popolo in cammino verso Dio, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2018.
[14]. «In questa prospettiva, risulta essenziale la partecipazione dei fedeli laici. Essi sono l’immensa maggioranza del Popolo di Dio, e si ha molto da imparare dalla loro partecipazione alle diverse espressioni della vita e della missione delle comunità ecclesiali, della pietà popolare e della pastorale d’insieme, così come dalla loro specifica competenza nei vari ambiti della vita culturale e sociale» (SIN 73).
[15]. Cfr K. Rahner, Das Konzil. Ein neuer Beginn, Freiburg i. Br., Herder, 1965, 13; cfr 6; 15; 20 s.
[16]. Cfr C. M. Galli, «Synodalität in der Kirche Lateinamerikas», in Theologische Quartalschrift 196 (2016) 75-99.
[17]. Cfr D. Fares, «A 10 anni da Aparecida. Alle fonti del pontificato di Francesco», in Civ. Catt. 2017 II 338-352.
[18]. Cfr Y. Congar, Vraie et fausse réforme dans l’Église, Paris, Cerf, 1950, 277.
[19]. «“Ogni rinnovamento della Chiesa consiste essenzialmente in una fedeltà più grande alla sua vocazione” (Unitatis Redintegratio, n. 6). Pertanto, nel compimento della sua missione, la Chiesa è chiamata a una costante conversione, che è anche una “conversione pastorale e missionaria”, consistente in un rinnovamento di mentalità, di attitudini, di pratiche e di strutture, per essere sempre più fedele alla sua vocazione (cfr EG 25-33; Aparecida 365-372). Una mentalità ecclesiale plasmata dalla coscienza sinodale accoglie con gioia e promuove la grazia in virtù della quale tutti i battezzati sono abilitati e chiamati a essere discepoli missionari. La grande sfida per la conversione pastorale che ne consegue per la vita della Chiesa oggi è intensificare la mutua collaborazione di tutti nella testimonianza evangelizzatrice a partire dai doni e dai ruoli di ciascuno, senza clericalizzare i laici e senza secolarizzare i chierici, evitando in ogni caso la tentazione di “un eccessivo clericalismo che mantiene i fedeli laici al margine delle decisioni” (EG 102)» (SIN 104). Cfr C. M. Galli, «La reforma de la Iglesia según el Papa Francisco», in A. Spadaro – C. M. Galli (eds), La reforma y las reformas en la Iglesia, Santander, Sal Terrae, 2016, 51-77; C. M. Galli, «Una Facultad más sinodal y una teología más profética. La Teología y la Facultad en una “Ecclesia semper reformanda”», in Teología 123 (2017) 9-43; Id., La mariología del Papa Francisco. Cristo, María, la Iglesia y los pueblos, Buenos Aires, Agape, 2018, 93-111.
[20]. «Occorre registrare con gioia il fatto che il dialogo ecumenico è giunto in questi anni a riconoscere nella sinodalità una dimensione rivelativa della natura della Chiesa e costitutiva della sua unità nella molteplicità delle sue espressioni. Si tratta della convergenza sulla nozione della Chiesa come koinonia, che si realizza in ogni Chiesa locale e nella sua relazione con le altre Chiese, attraverso specifiche strutture e processi sinodali» (SIN 116).
[21]. Commissione teologica internazionale, La teologia oggi: prospettive, princìpi e criteri, 8 marzo 2012; cfr www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_doc_20111129_teologia-oggi_it.html
[22]. Cfr L. Baldisseri (ed.), Il Sinodo dei Vescovi al servizio di una Chiesa sinodale. A cinquant’anni dall’Apostolica Sollicitudo, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 2016.
[23]. A. Spadaro, «Intervista a papa Francesco», in Civ. Catt. 2013 III 449-477.