|
ABSTRACT – Quest’anno ricorre il centenario della fine della Prima guerra mondiale (1914-18), definita da Benedetto XV «una inutile strage». Essa fu certamente una guerra combattuta con ferocia inaudita: provocò circa 10 milioni di morti e determinò la scomparsa di antichi e potenti imperi multietnici.
Tra i momenti-chiave degli ultimi mesi di guerra, guardando alle vicende del nostro Paese, c’è la storica «disfatta» dell’esercito italiano a Caporetto nell’autunno del 1917 (la battaglia iniziò nelle prime ore del 24 ottobre). Dopo due anni e mezzo di guerra di posizione (o di leggero avanzamento) sulle alture del Carso e presso la valle dell’Isonzo, essa fu un duro colpo per la «nazione in guerra», non solo dal punto di vista dei costi umani, che erano già ingentissimi – circa 400.000 i caduti italiani –, ma anche sotto il profilo politico e sociale.
Per il «generalissimo» Luigi Cadorna, che subito dopo venne «promosso» a membro del Comitato supremo interalleato, le cause della «disfatta» furono sia di ordine interno – cioè la mancanza di coraggio e determinazione nelle truppe, che preferirono disertare anziché combattere – sia di ordine esterno, dovute all’azione dei neutralisti, dei disfattisti, nonché alla debolezza del governo in carica. In tale analisi, Cadorna non ebbe l’umiltà di riconoscere i limiti della propria azione e di quella del Comando supremo.
La stampa, compreso l’Avanti!, diede notizia degli eventi di Caporetto – filtrati dalla censura – senza allarmismi o disfattismi esagerati; anzi, in generale, essa lanciò un appello alla concordia nazionale ed espresse fiducia sulle capacità di resistenza dell’esercito italiano.
Nel Paese, il dibattito sulla guerra continuò. Da una parte, vi erano i giolittiani, che sottolineavano le deficienze strutturali del nostro esercito e i sentimenti contrari alla guerra perduranti sia nella truppa sia nella nazione. Dall’altra parte, vi erano i sostenitori della guerra a oltranza, che sembravano non dar peso ai problemi di carattere politico e morale e si preoccupavano unicamente di ricostituire l’esercito e di renderlo più efficiente per proseguire la lotta contro gli austro-tedeschi.
In questo contesto il contributo che i cattolici italiani e la gerarchia diedero alla «nazione in guerra», soprattutto dopo Caporetto, ciascuno secondo la propria competenza, fu notevole. Esso fu apertamente riconosciuto da tutte le forze politiche del vecchio sistema liberale, anche da quelle più ostili alla Chiesa. Ciò preparò l’ingresso dei cattolici nella vita politica nazionale.
La controversa battaglia di Caporetto è rimasta dunque nell’immaginario degli italiani come sinonimo di «disfatta». D’altra parte, da quella «disfatta» allora, come successivamente, l’Italia è stata capace di risollevarsi, preparando il Paese ad affrontare la riscossa finale e ad arrivare quindi alla vittoria.
***
ITALY AND THE ‘DEFEAT’ OF CAPORETTO
This year marks the centenary of the end of the First World War (1914-18), defined by Benedict XV as “a useless massacre.” It was certainly a war fought with unprecedented ferocity, causing approximately 10 million deaths and the disappearance of ancient and powerful multiethnic empires. This article deals with events involving Italy, in particular the controversial battle of Caporetto, which prepared Italy, “in spirit and in action,” to confront the final recovery and thus to achieve victory. Caporetto has remained in Italian collective conscience as a synonym for “defeat”, but from which Italy has been able to recover.