
Romolo Bugaro, autore già noto per La buona e brava gente della nazione e per Effetto domino, aggiunge un nuovo lavoro alla sua personale biblioteca. I ragazzi di sessant’anni è un libro che già dal titolo si presenta programmaticamente composto di due anime: quella dello spirito giovanile, sempre presente nella mente che stenta a riconoscere l’avanzare dell’età; e quella biografica, implacabile, che agli anni di vita trascorsa non può né vuole rinunciare.
Sessant’anni sono per l’autore un’età liminale, la soglia sulla quale è possibile ancora essere «altro da vecchi», perché «sentiti o no, accettati o no, non sono sempre lì, vanno e vengono, a seconda delle cose che si fanno, della gente che si incontra»[1]. Con gli amici di una vita si hanno 18 anni; con le donne che ancora lanciano sguardi di interesse al massimo 40; nella veste professionale di avvocati, broker o consulenti, sono «vecchiardi pronti per la casa di riposo»[2].
La copertina del libro.
Non si tratta di un romanzo, nonostante la dicitura posta in copertina, ma di una raccolta di «cartoline» dalla regione dei sessant’anni. Il libro si compone infatti di 14 brevi racconti, accostati tra loro e collegati solo da alcuni rimandi interni – due per la precisione –, che accennano a una progressione nel tempo, altrimenti assente e anche irrilevante. Prevale il tono sapienziale, che la scelta di indicare il protagonista con il plurale di terza persona – appunto, «i giovani di sessant’anni» – amplifica e colloca in una chiave di lettura scanzonatamente generazionale.
Il protagonista è un noto avvocato di Padova, che sta godendo il successo della pienezza professionale conquistata negli anni, nel quale lo scrittore probabilmente si rispecchia e che possiamo immaginare abbia riempito con parti di sé e del suo mondo. Il protagonista però non ha nome, ma sempre, con rigorosa e a volte buffa determinazione, viene citato con il plurale. La scelta, originale, costituisce uno dei punti di forza del libro.
Prima parte
Composto di 14 scatti che ritraggono i ragazzi di sessant’anni nel loro mondo, familiare e professionale, il libro costituisce un succinto brogliaccio di appunti che formano la prima bozza di testamento spirituale. Molti dei racconti terminano con intuizioni di vita, perché i sessant’anni, mascherati dalle giacche «k-way» e dai motorini usati anche d’inverno, lasciano il segno, «perché il tempo delle ribellioni è finito, sembra, non sono più dei ragazzi»[3]. È l’appunto che Bugaro pone in calce al
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