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Da quasi trent’anni i governi di tutto il mondo si riuniscono annualmente per elaborare un atteggiamento comune rispetto all’incombente emergenza climatica. Si tratta di un obbligo, dal momento che, secondo la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Unfccc) del 1992, tutti i Paesi si sono impegnati tramite quel trattato a scongiurare un cambiamento climatico pericoloso e a individuare strade per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, a livello mondiale, in modo equo.
A partire dalla prima conferenza della Unfccc (Cop1), tenutasi nel 1995 a Berlino, si sono avvicendate riunioni annuali con esiti alterni: conflittuali, soporifere e a volte perfino disastrose, come quella di Copenaghen nel 2009. Una, invece, è stata fondamentale: la Cop21 di Parigi, nel 2015.
La Cop27 è stata la prosecuzione del vertice dell’anno precedente, la Cop26, che si era tenuta a Glasgow. Organizzata dal governo egiziano a Sharm el-Sheikh, si è svolta del 6 al 18 novembre 2022.
In essa è stato trovato «un accordo innovativo destinato a istituire un fondo per i ristori di “perdite e danni” [a causa dell’impatto sulle infrastrutture fisiche e sociali] per i Paesi vulnerabili più colpiti dai disastri climatici, ed è stato assunto un insieme di decisioni volte a limitare l’aumento della temperatura mondiale entro 1,5 gradi centigradi dai livelli preindustriali».
Cercheremo qui di valutare gli accordi raggiunti e di riflettere sulla questione climatica, che è di vitale importanza.
La questione climatica dopo l’accordo di Parigi
Cominciamo dal contesto. Nello storico accordo di Parigi i Paesi si sono impegnati a mantenere l’aumento della temperatura globale entro i 2°C al di sopra dei livelli preindustriali, e a sforzarsi per limitare il riscaldamento a +1,5°C.
Hanno inoltre concordato di determinare contributi a livello nazionale (Ndc), non vincolanti, per ridurre o, nel caso dei Paesi in via di sviluppo, per arrestare la crescita delle emissioni di gas serra. Nella conferenza parigina era chiaro a tutti che…