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Per secoli gli ebrei sono stati visti dai cattolici più o meno come ciechi seguaci di un Antico Testamento che non potevano comprendere davvero, perché, dopo la venuta di Cristo, quel testo non aveva più alcun significato indipendente.
Secondo l’espressione polemica di san Paolo, un velo copriva le loro menti, impedendo loro di comprendere: «Ma le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato» (2 Cor 3,14).
Nell’arte, e in particolare nella scultura, questa citazione si è tradotta in una nota immagine che raffigura due sorelle gemelle: una è l’orgogliosa, potente Ekklesia (Chiesa), dallo sguardo penetrante, e l’altra, la Synagoga (Sinagoga), è sconsolata, abbattuta e ha gli occhi bendati.
La Chiesa deteneva il monopolio della comprensione dell’Antico Testamento in virtù di un’esegesi allegorica che scorgeva Cristo presente ovunque in modo implicito nell’Antico Testamento e reso esplicito nel Nuovo.
Sant’Agostino ha paragonato fantasiosamente gli ebrei allo schiavo romano che camminava dietro il figlio del suo padrone, portandogli i libri mentre andava a scuola. Non sapeva leggerli, ma si assicurava che fossero messi a disposizione. Nel suo commento al Salmo 56, ha scritto: «Sono divenuti i nostri portalibri, come quei servi che portano i codici dietro ai loro padroni. I servi si affaticano portandoli, i padroni progrediscono leggendoli».
Dopo aver messo fine al diffuso insegnamento del disprezzo per gli ebrei e per l’ebraismo che era stato trasmesso per secoli dai cristiani, la Chiesa cattolica cerca ora di sradicare questo approccio anche dalla comprensione ebraica della Bibbia. Dal Concilio Vaticano II ai nostri giorni, il dialogo con il popolo ebraico ha portato i cattolici a rendersi conto che l’interpretazione ebraica dell’Antico Testamento ha molto da offrire loro.
L’importante documento del 2001 della Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, rilevava: «I cristiani possono e devono ammettere che la lettura ebraica della Bibbia è una lettura possibile, che si trova in continuità con le sacre Scritture ebraiche dall’epoca del secondo Tempio ed è analoga alla lettura cristiana, che si è sviluppata parallelamente ad essa. Ciascuna delle due letture è correlata con la rispettiva visione di fede, di cui essa è un prodotto e un’espressione, risultando di conseguenza irriducibili l’una all’altra. Sul piano concreto dell’esegesi, i cristiani possono, nondimeno, apprendere molto dall’esegesi ebraica praticata da più di duemila anni, e in effetti hanno appreso molto nel corso della storia. Dal canto loro possono sperare che gli ebrei siano in grado di trarre profitto anch’essi dalle ricerche esegetiche cristiane» (n. 22). Non solo gli ebrei non sono ciechi, non solo vedono le cose diversamente, ma ciò che vedono può essere di grande vantaggio per i cattolici, che hanno molto da imparare da loro.
Edward Feld è un rabbino ebreo conservatore statunitense; scrittore e liturgista, si è occupato della teologia ebraica, della preghiera e della Bibbia ebraica. Già autore di un volume sui Salmi, ha recentemente pubblicato un commento di facile lettura, ma allo stesso tempo erudito e profondamente spirituale, sulla Torah, ossia sui cinque libri di Mosè, noti come il Pentateuco1. Feld coniuga una seria disciplina accademica, tipica dello studio scientifico della Bibbia, con un approccio profondamente spirituale, consono alla tradizione rabbinica. L’intreccio di solidità accademica e religiosità impegnata, di ipotesi erudite e fede vissuta, fa di questo libro una gemma tra i tanti volumi dedicati allo studio del Pentateuco. E un lettore cattolico può trarne grande profitto.
Molti commenti al Pentateuco si soffermano sulle note narrazioni della Genesi, dell’Esodo e dei Numeri. Invece questo volume si concentra in prevalenza sui testi legislativi dell’Esodo, del Levitico e del Deuteronomio, a cui applica un’analisi scientifica di matrice storico-critica per tracciare lo sviluppo della Torah nel corso dei secoli. Il termine Torah è stato troppo spesso tradotto con «Legge», con tutte le implicazioni negative della presunta dicotomia paolina tra legge e libertà, lettera e spirito. Tuttavia, Torah significa più che mera legge: è ammaestramento divino, affinché la persona umana possa vivere secondo la volontà di Dio rivelata nella parola di Dio. Inoltre, i cattolici spesso trascurano il fatto che la Torah getta una forte luce sull’identità di Gesù in quanto incarnazione del Verbo (cfr Gv 1,14) e compimento della Legge (cfr Mt 5,17). Gesù ha vissuto la sua vita da ebreo; i comandamenti della Torah definivano i contorni della sua esistenza quotidiana. In un certo senso la Torah è una biografia dettagliata di colui che, secondo le sue stesse parole, è venuto «non ad abolire, ma a dare pieno compimento» ai suoi comandamenti e ha proclamato: «Finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto» (Mt 5,17-18).
I lettori cattolici tendono a tralasciare questi testi giuridici, come peraltro è confermato dai brani del Pentateuco che vengono proclamate nella liturgia. Le sue letture sono quasi esclusivamente riservate alle narrazioni che raffigurano Adamo ed Eva, Noè, Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe, Lia e Rachele, Giuseppe e i suoi fratelli, e Mosè, Aronne e Miriam. E tuttavia, i testi giuridici sono il nucleo dei primi cinque libri della Bibbia. Il vero cuore del Pentateuco è il libro del Levitico, nel quale la dimensione narrativa è minima. Nel lezionario cattolico questo libro ha una presenza del tutto marginale, con soltanto cinque brevi letture.
Di fatto, metà dei 187 capitoli del Pentateuco sono incentrati sulla rivelazione della Torah sul monte Sinai (da Es 19 a Nm 10, ossia 58 capitoli del Pentateuco) e sulla consegna della Torah quarant’anni dopo nella terra di Moab (da Nm da 25 a Dt 34, ossia 40 capitoli). La prima sezione compendia l’anno trascorso sul Sinai, quando il popolo d’Israele viene istruito su come vivere in quanto popolo scelto da Dio, e la seconda sezione copre gli ultimi giorni di peregrinazione nel deserto, quando il popolo raggiunge la terra di Moab, sosta sulle rive del Giordano, di fronte a Gerico, e riceve di nuovo la Torah (deutero-nomos in greco significa «seconda legge»). Poiché la prima generazione si è rifiutata di entrare nel paese per paura dei giganti che lo abitano, mostrando così la propria mancanza di fede (cfr Nm 13–14), dovrà morire nel deserto. La generazione successiva riceve di nuovo la legge da Mosè e poi entra nel paese, attraversando il Giordano sotto la guida di Giosuè. In queste due sezioni del Pentateuco c’è ben poca narrazione, mentre prevalgono la legge e le esortazioni a osservarla.
Feld indaga su quattro momenti storici che si presentano allo sguardo attento di chi scruta i testi giuridici, riconoscendo le principali fonti che sono state riunite per creare il Pentateuco. Il codice legale più antico è noto come Codice dell’Alleanza (cfr Es 21–23), analizzato come una rivoluzione guidata dai profeti nel Regno del Nord (Israele) nella prima metà dell’VIII secolo a.C. Un secondo codice è quello che si trova nel Deuteronomio (cfr Dt 12–26), promulgato durante il regno di Giosia, re di Giuda, nella seconda parte del VII secolo a.C. Un terzo momento è il Codice della Santità, promulgato dai sacerdoti e rintracciabile nella seconda parte del Levitico (cfr Lv 17–27): fu sviluppato durante e dopo l’esilio nel VI secolo a.C. Il quarto ed essenziale momento vide l’accorpamento dei vari materiali, fino a costituire un’opera unitaria in cinque libri, attribuita a Mosè. Questo lavoro editoriale fu svolto dall’élite sacerdotale nel V secolo a.C. Piuttosto che imporre coerenza al prodotto letterario finale, i curatori conservarono la diversità che ne denotano i vari strati.
Feld propone una tesi secondo cui, all’interno di ciascuno di questi strati, si potrebbe discernere una rivoluzione religioso-spirituale che precisa il contributo del popolo di Israele alla storia religiosa di tutti coloro che vedono nel Pentateuco il fondamento biblico del linguaggio, dell’insegnamento e della vita religiosa. Nell’introduzione, egli afferma: «Io stesso credo che queste rivoluzioni abbiano scoperto e dato origine a qualcosa il cui significato trascende il loro tempo e approda fino ai giorni nostri, poiché esse hanno costituito la ricerca di una comprensione fondamentale del significato della fede in Dio e della condotta esistenziale richiesta dalla fede» (XIX).
Man mano che il rabbino spiega quali successive rivoluzioni abbiano portato all’evoluzione della formulazione dell’insegnamento divino da parte di Israele, ogni capitolo del suo saggio mette in luce un nuovo strato nella Torah ricco di significato. Feld espone le apparenti contraddizioni tra i codici legali nel corso del loro sviluppo. Tuttavia sottolinea ripetutamente che la relazione dinamica tra loro, a ciascun livello, viene volutamente preservata nel continuo lavoro di modifica del testo, finalizzato a creare una polivalenza e una complessità che sollecitano e ispirano il lettore. Un esempio luminoso riguarda le leggi sul sabato, il giorno di riposo nel tempo biblico. Feld mostra come da singola giornata di riposo settimanale esso si sia evoluto in un’alternativa al tempio, che era stato distrutto dai babilonesi nel VI secolo. Un luogo santo, il tempio di Gerusalemme, cede il centro al tempo sacro, il sabato. È stato il legislatore sacerdotale a fare del sabato il fulcro, non solo sviluppando i testi legislativi, ma inserendo il racconto della creazione, che evidenzia la centralità del sabato, proprio all’inizio della Genesi. Feld spiega: «Il riposo, la cessazione del lavoro e la contemplazione possono schiudere la possibilità di attingere il Divino. È il respiro che la Divinità, Dio stesso, si è preso dopo avere completato l’opera della creazione, ed è l’alito della nostra vita spirituale. Questa nuova comprensione della religiosità è il dono dell’esilio» (198 s.). Come Feld fa notare, è stato Abraham Joshua Heschel, il grande pensatore ebreo del XX secolo, ad affermare che lo Shabbat «è l’espressione per eccellenza della religiosità ebraica» (217). Feld cita la magnifica descrizione del sabato fatta da Heschel in Dio alla ricerca dell’uomo: «La presenza dell’eternità, un momento di maestà, lo splendore della gioia. L’anima si arricchisce, il tempo è una delizia e l’interiorità una ricompensa suprema» (218). Qui hanno molto da imparare tanti cattolici che hanno perso il senso del sabato, giorno consacrato a Dio nella riflessione, nella preghiera e nel ringraziamento.
Il libro di Feld propone tre contributi utili e stimolanti per i lettori cattolici.
- In primo luogo, esso aiuta ad approfondire la comprensione di una parte essenziale delle Scritture che ebrei e cristiani condividono. Utilizzando metodi scientifici moderni e senza mai sottrarsi al dibattito attuale degli studiosi, Feld documenta lo sviluppo che i testi hanno avuto fino a raggiungere la loro forma definitiva e stabile.
- In secondo luogo, il rabbino offre ai cattolici una visione preziosa del mondo dell’ebraismo, illustrando, nel corso dell’intero libro, la battaglia dei rabbini, antichi e moderni, con il significato della Torah, centrale per l’identità religiosa, il credo e la pratica ebraica. Il documento del Segretariato per l’unità dei cristiani, Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della Dichiarazione conciliare Nostra aetate n. 4, del 1974, prescrive: «I cristiani cerchino di capire meglio le componenti fondamentali della tradizione religiosa ebraica e apprendano le caratteristiche essenziali con le quali gli ebrei stessi si definiscono alla luce della loro attuale realtà religiosa». Questo libro conduce i lettori nel mondo dell’esegesi, della teologia e della spiritualità ebraiche. In esso si incontrano vibranti voci ebraiche, dalle quali c’è molto da apprendere, tanto più se si è chiamati, come è il caso dei cattolici, a dialogare con gli ebrei, specialmente nella lettura della Scrittura condivisa.
- In terzo luogo, il libro offre una profonda spiritualità, radicata nel testo biblico e nella pratica e nella fede del suo autore. Questa spiritualità propaga preghiera e contemplazione, unisce fede e ragione. Feld conclude il volume con queste affermazioni: «La piena incarnazione della Torah è sempre appena fuori dalla nostra portata. C’è sempre un nuovo midrash, una nuova linea di interpretazione che dobbiamo scrivere per il nostro tempo, in modo che i paradossi della Torah possano trovare sintesi per noi, qui e ora. La vita spirituale che i suoi autori hanno rivelato continua a parlarci, e così applichiamo le sue istituzioni e le sue pratiche al nostro tempo, offriamo la nostra comprensione del loro significato. E di sicuro anche i nostri sforzi risulteranno incompleti e, a loro volta, condurranno a una nuova rinascita. La vita della Torah è una serie continua di rivoluzioni, una serie continua di rivelazioni» (254).
Papa Francesco, rivolgendosi al Consiglio internazionale dei cristiani e degli ebrei il 30 giugno 2015, ha sottolineato: «Le confessioni cristiane trovano la loro unità in Cristo; l’ebraismo trova la sua unità nella Torah. I cristiani credono che Gesù Cristo è la Parola di Dio fattasi carne nel mondo; per gli ebrei la Parola di Dio è presente soprattutto nella Torah. Entrambe le tradizioni di fede hanno per fondamento il Dio Unico, il Dio dell’Alleanza, che si rivela agli uomini attraverso la sua Parola. Nella ricerca di un giusto atteggiamento verso Dio, i cristiani si rivolgono a Cristo quale fonte di vita nuova, gli ebrei all’insegnamento della Torah». Il commento del rabbino Feld al Pentateuco aiuta i lettori cattolici a discernere in modo ancora più chiaro quanto strettamente ebrei e cattolici siano imparentati.
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