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Il 19 luglio 2022 p. Diego Fares, argentino, a 66 anni ha lasciato questa terra, circondato dalle sue due sorelle e dal vescovo gesuita Ernesto Giobando, suo compagno di noviziato, che si trovava a Roma in quei giorni. Da circa due anni si era manifestata inaspettatamente una grave malattia, contro cui ha lottato con pazienza, fortezza e serenità spirituale. Le cure a cui doveva sottoporsi avevano richiesto il trasferimento dalla comunità de La Civiltà Cattolica all’infermeria della Residenza S. Pietro Canisio, da dove però aveva proseguito la sua collaborazione con la rivista, e aveva proseguito come possibile la sua attività apostolica e di accompagnamento spirituale di molte persone.
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La sua scomparsa ha privato la comunità della nostra rivista di una persona gioviale e profondamente spirituale, dotata di un grande senso dell’amicizia. E ha privato la rivista stessa di uno scrittore creativo e acuto.
P. Diego è stato un seminatore che ha tanto seminato senza badare a misure e proporzioni. Seminava già molto presto al mattino, quando pregava accanto al suo termos di buon mate caldo. Perché in quella preghiera portava tutto, le situazioni difficili, le tensioni, i problemi, le domande, ma soprattutto le persone. È stato un gesuita che ha molto amato ed è stato molto amato. Sempre discreto e non appariscente, con un grande senso dell’umorismo, ha costruito rapporti solidi, fondati sull’amabilità.
La sua personalità era forte, decisa, ma lui era trasparente, mite. Si sentiva la passione, si sentiva il magma e la forte capacità di essere chiaro, di dire la propria, di avere una direzione, di smontare ogni ipocrisia. Era consapevole che a volte era meglio per lui tacere, perché sapeva che, se fosse intervenuto, il suo magma non si sarebbe contenuto. Sapeva discernere i tempi e i luoghi. E nello stesso tempo tutto questo era vissuto con una dolcezza e un sorriso che smontavano ogni resistenza.
P. Diego non pensava alle sue ragioni né ai suoi umori, che ben conosceva. Pensava al Signore della sua vita, sua roccia, sua rupe, sua fortezza. E si lasciava guidare dalla consolazione. Conversava con Dio con naturalezza e dialogava volentieri con chi aveva opinioni diverse dalle sue. Ha insegnato a chi gli era vicino che non si tratta mai di litigare su torti e ragioni. Inutile farne l’elenco. L’importante è agire spiritualmente, cercando la consolazione di Dio. E per questo cercava in Dio la soluzione dell’enigma. Per questo era deciso, ma mai partigiano. Era profeta, non tifoso. P. Diego aveva questa consuetudine con Dio che gli dava pace ed equilibrio. E questa pace era diffusiva in modo naturale e spontaneo.
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P. Diego era un intellettuale. Aveva ottenuto il suo dottorato in filosofia con una tesi sulla «Fenomenologia della verità nel pensiero di Hans Urs von Balthasar», ed è stato professore di metafisica presso la Universidad Católica de Córdoba della Compagnia di Gesù.
Ma nello stesso tempo ha lavorato per circa vent’anni con un team di oltre un centinaio di laici, presso El Hogar de San José, un centro di accoglienza per adulti che vivono in situazione di strada o in condizioni di estrema povertà. Insieme al padre gesuita Angel Rossi – oggi arcivescovo di Córdoba – è stato iniziatore della Fundación Manos Abiertas, che ha contribuito a portare avanti anche la Casa de la Bondad, un hospice per malati terminali. Ricordiamo che già da giovanissimo lavorava nel Barrio San Martín, all’epoca uno dei quartieri più poveri di Mendoza, sorto da una discarica alla periferia della città.
Per lui non c’era testa senza mani e non c’erano mani senza testa. E non c’erano testa e mani senza cuore. Essere intellettuali, per p. Diego, significava avere l’intelligenza calda della vita. Vivere senza reti di protezione, non «guardare dal balcone» (balconear, come diceva in spagnolo) la vita, ma buttarsi dentro nella mischia, tra la gente, in ascolto di chi ha più bisogno. Senza difese e in ascolto delle esigenze. Come, ad esempio, quella della cura pastorale dei cinesi a Buenos Aires, che lo ha portato a imparare a celebrare la Messa in cinese, pur conoscendo solo poche espressioni della lingua.
Nel 2015 p. Diego ha lasciato il suo mondo per venire a Roma a La Civiltà Cattolica, dando la sua disponibilità piena a lasciare tutto quel che aveva costruito e ricominciare. Con l’elezione di papa Francesco, si poneva per rivista la missione di accompagnare il nuovo Pontefice nel modo migliore possibile, secondo la sua tradizione che risale al 1850. Col Preposito Generale dei gesuiti di allora, p. Adolfo Nicolás – che aveva molto a cuore la rivista – si cercava chi potesse essere di aiuto. Fu facile individuare p. Diego. Il Papa stesso, infatti, di rientro dal viaggio apostolico in Brasile, aveva consigliato ai giornalisti di leggere i libri di quel gesuita fino ad allora sconosciuto ai più.
P. Diego era stato accolto nella Compagnia di Gesù dall’allora provinciale dei gesuiti in Argentina, p. Jorge Bergoglio, come novizio il 21 febbraio 1976. P. Bergoglio è stato anche suo padrino nella sua ordinazione sacerdotale, che avvenne nel 1986. P. Diego aveva un’intelligenza del pontificato che veniva da una comunione spirituale profonda con Francesco e altri gesuiti della sua generazione. Una comunione spirituale che si è conservata e approfondita in questi ultimi anni romani con un rapporto molto discreto, ma frequente e intenso. Non ci ha sorpreso la partecipazione silenziosa e commossa del Papa alle esequie di p. Diego, proprio accanto alla sua bara.
Per lui l’intelligenza spirituale del pontificato – tramite l’obbedienza della Compagnia – era diventata una vera e propria missione. I suoi scritti aiutano a capire il nucleo caldo del pontificato. Così, con la pazienza certosina dello scrittore, ha compiuto la sua missione. La sua scrittura con fatica stava dentro i limiti della forma di un articolo: era traboccante, comunicativa all’estremo, intima. Ma alla fine egli riusciva a domare l’ispirazione e a darle forma compiuta.
Questa ispirazione si nutriva di riflessione, ma anche di gusto per la poesia e la letteratura. Era chiaro che la sua maturazione intellettuale e spirituale era avvenuta accanto all’attuale Pontefice, che lui aveva accompagnato in molte occasioni, da padre gesuita e da vescovo, tra le quali la Conferenza di Aparecida. Da Bergoglio aveva imparato la dinamica profonda degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola.
La sua produzione legata ai sette anni della sua permanenza a La Civiltà Cattolica comprende oltre 50 articoli e 7 volumi. Si potrebbe riassumere come il tentativo di esplorare il «pensiero incompleto» di Francesco nel suo svolgersi. Non sempre necessariamente commentando i suoi discorsi, ma sempre mettendo a frutto le sue intuizioni e indicazioni di percorso. Così ha riflettuto su temi quali l’antropologia politica e il rinnovamento del linguaggio ecclesiale; la povertà e fragilità del Pianeta; lo scandalo degli abusi; il compito del vescovo e la sfida dei movimenti pentecostali; il discernimento spirituale e la preghiera. Forse i suoi contributi più forti – vere perle – sono stati quelli dedicati allo «spirito di accanimento», al trionfalismo e alla mondanità spirituale, alla «buona battaglia spirituale», ma anche alla vulnerabilità, al linguaggio evangelico e alla comunicazione in una società polarizzata.
Ha sempre sentito, inoltre, la necessità di avere davanti a sé figure rilevanti, modelli di vita di varie epoche, da presentare attraverso i suoi scritti: José Gabriel Brochero, María Antonia de Paz y Figueroa, Pedro Claver, Enrique Angelelli, Charles de Foucauld, il card. Eduardo Pironio, Madeleine Delbrêl, ma anche i santi e le sante che papa Francesco ha canonizzato con la procedura della «canonizzazione equipollente», quali Angela da Foligno, Pierre Favre, José de Anchieta, Maria dell’Incarnazione, Francesco de Laval, José Vaz e Junípero Serra.
P. Diego ha inoltre sempre curato fedelmente un suo blog personale con i commenti al Vangelo della domenica e altre riflessioni. Ha raggiunto così tanta gente. In questo senso aveva un uso sapiente della tecnologia per comunicare. Nel suo lavoro pastorale era sensibile, in particolare, a tutti i luoghi nei quali il dialogo era la base della vita. E sapeva che c’era un luogo particolare dove questo avveniva: la famiglia. Per questo ha seguito gruppi di famiglie con grande passione e pazienza.
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Negli ultimi tempi p. Diego ha scritto sul Sacro Cuore. Era l’argomento della sua preghiera e della sua riflessione. Aveva proposto alla rivista un articolo sul tema. Ed è stato l’ultimo suo scritto sul suo blog di «contemplazioni». Il Signore lo preparava all’incontro con lui con una particolare «scuola degli affetti».
Perché il cuore? Perché – ha scritto – «solo il cuore fa vivere umanamente la vita. Solo attraverso il cuore lo spirito diventa anima e la materia diventa corpo, e solo attraverso di esso esiste la vita dell’uomo come tale, con le sue gioie e i suoi dolori, le sue fatiche e le sue lotte, misera e grande insieme».
Ed ecco, infine, un’intuizione di p. Diego che sembra riassumere la sua vita, il suo amore per la gente e per Dio: «Non esistono – scriveva – due cuori uguali, e ogni cuore è un “co-cuore”, cioè un cuore che esiste “con gli altri”, con la memoria degli altri, in dialogo con gli altri che lo amano. Non ci sono “cuori soli”, ecco perché per conoscere il proprio cuore bisogna conoscere quello di chi ci ama, e chi meglio di Gesù per questo compito?».
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IN MEMORY OF P. DIEGO FARES, S.J. (1955-2022)
On July 19, 2022, Fr. Diego Fares, an Argentine from Mendoza, died at the age of 66. In 2015 he left his world and what he had helped build to come to Rome to La Civiltà Cattolica. With the election of Pope Francis, there was indeed a mission for the magazine to accompany the new pontiff in the best possible way, following a tradition that dates back to 1850. His passing has deprived our magazine’s community of a jovial and deeply spiritual person with a great sense of friendship. Moreover, his passing has deprived the magazine itself of a creative and insightful writer. For Fr. Diego, being an intellectual meant having the warm intelligence of life. For him there was no head without hands and no hands without a head; and there were no heads and hands without hearts.