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Una volta, quando ero giovane, mi trovavo in un supermercato con la mia famiglia. Una signora molto zelante si avvicinò ai miei genitori esprimendo il proprio dispiacere per il fatto che il loro povero figlio fosse cieco. Domandò: «Che cosa fa tutto il giorno?». «Esercita la professione legale», risposi io.
Nella Chiesa, purtroppo, ci siamo ritrovati spesso in una posizione analoga, quella di chi non è disposto a riconoscere la vita dei disabili per quello che è: una vita di figli di Dio, uguali agli altri, che si impegnano insieme a tutti gli altri nella vigna del Signore, mettendo a frutto una moltitudine di doni e di talenti.
Nella Chiesa esiste tuttora una diffusa discriminazione. Gli edifici sono spesso inaccessibili, i documenti non vengono messi a disposizione in formati fruibili e si parte da presupposti che spesso non rispecchiano la realtà vissuta della disabilità.
Quando chiesi di entrare a far parte dei gesuiti, per esempio, sulle prime mi fu risposto che avrei fatto meglio a cercare un Ordine meno «accademico». Fui ammesso solo dopo che informai il promotore delle vocazioni del fatto che stavo ultimando un dottorato di ricerca (che in effetti conclusi in quello stesso anno). Eppure, le persone disabili ricevono il supporto di reti e comunità, e vi contribuiscono. Anche noi siamo Chiesa.
Ho il grande privilegio di vivere all’interno non soltanto di una parrocchia, ma anche di una comunità religiosa solidale: la Compagnia di Gesù. Allo stesso tempo, sia prima di entrare nella vita religiosa sia adesso, sono stato sostenuto dalla mia famiglia di origine, dagli amici e dalla comunità, che non soltanto sono venuti incontro alle mie necessità fisiche essenziali, ma mi hanno anche offerto compagnia, crescita nella fede e consigli saggi.
Da persona disabile, inoltre, mi sono impegnato insieme ad altri per dare vita a un mondo migliore e più giusto per le persone sofferenti, che spesso vengono emarginate dal contesto della Chiesa e della società…
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THE DISABLED IN THE LIFE OF THE CHURCH. A testimony
In the encyclical Fratelli tutti, pope Francis drew attention to the exiles within the Christian community. Fr Justin Glyn, a blind Jesuit from New Zealand, shows in this paper how this applies to people with disabilities. He points out that the Church runs the risk of sharing some of the broader prejudices of society at large, leading to distorted theologies of disability. He discusses the biblical foundations on which a healthy view of disability could be constructed – highlighting how disabled people themselves have built a community – and the benefits for the church in doing so.