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La scomparsa di Quino, il «papà» di Mafalda, ha portato alla luce un po’ ovunque l’immenso mondo delle strisce disegnate lungo cinquant’anni dall’artista argentino. Tra queste è emersa una famosa vignetta, correntemente attribuita a Mafalda: «Fermate il mondo, voglio scendere!». Ebbene, la battuta non è sua! Lo ha rivelato lo stesso Quino, in un’intervista del 2012 alla Bbc, non solo negando la paternità della frase, ma aggiungendo che Mafalda vuole bene al mondo, lo vuole migliorare, non intende affatto abbandonarlo… Il suo affetto sincero è indiscutibile[1]. Numerose strisce la mostrano intenta a curare il mappamondo: lo mette in un lettino, gli parla, lo accarezza, lo consola, chiama perfino l’ambulanza[2]; soprattutto, vuole la pace per il mondo. E quando si accorge che sta male, perché Pechino, il Pentagono e il Cremlino sono in conflitto, li cancella dal mappamondo, perché così si potrà vivere in pace[3].
Oggi Mafalda è in lutto per la perdita del papà: Joaquín Salvador Lavado Tejón, noto come Quino, il soprannome ricevuto da piccolo per distinguersi dallo zio disegnatore per la pubblicità, che lo avviò al disegno all’età di tre anni. Il celebre fumettista argentino, nato a Mendoza nel 1932 da immigrati andalusi, è morto nella sua città, colpito da un ictus.
Quino è associato indelebilmente a Mafalda, la sua creatura, l’enfant terrible, divenuta in brevissimo tempo simbolo di un mondo critico e pessimista, contestatario e mordace, sempre sovversivo, ma intimamente sincero e buono, soprattutto intelligente e saggio, colmo di buon senso. Le sue battute più sarcastiche sono contro «i grandi», che non fanno molto per risolvere i drammatici problemi che attanagliano gli Stati: la fame, l’ingiustizia sociale, la guerra, la stupidità umana. Odia il comunismo, ama la democrazia ed è appassionata dei Beatles.
Mafalda può anche risultare antipatica, perché sempre pronta a «fare le bucce» ai discorsi degli adulti, alla cosiddetta «saggezza dei grandi», alla cultura dominante, eppure ha sempre ragione, e soprattutto fa sorridere, è spassosa e diverte. La sua critica non risparmia nessuno: né la società, né la scuola, né la famiglia, e nemmeno le istituzioni, la polizia, l’economia monetaria e perfino la motorizzazione; eppure il bello è che vede giusto, non si può fare a meno di condividere ciò che pensa.
La nascita di Mafalda
Mafalda nasce in Argentina, a Buenos Aires, nel 1963, per la pubblicità della ditta di elettrodomestici «Mansfield». Quino, il padre e inventore, ha 31 anni e un discreto successo come vignettista. Nelle vignette andava raffigurata una famiglia tipica del ceto medio, e nel nome di un personaggio doveva apparire il marchio della ditta «MA». Quino crea una striscia comica – una novità anche per lui – in cui spunta il personaggio «Mafalda». Purtroppo la Mansfield non apprezza i suoi disegni, che vanno a finire in un cassetto, ma non vengono dimenticati.
Nel 1964 la piccola Mafalda appare per la prima volta nel settimanale Primera Plana di Buenos Aires e poi nel quotidiano El Mundo. Nel 1966, Quino pubblica un albo con la prima raccolta delle strisce, a cura di un piccolo editore di Buenos Aires: la prima edizione, di 5.000 copie, si esaurisce in due giorni. Inizia «il fenomeno Mafalda»: in 12 anni si arriva a cinque milioni di copie[4].
Il personaggio inizia a varcare le frontiere nazionali e si diffonde in Sudamerica. In Europa appare per la prima volta in Italia nel 1968, con la traduzione pubblicata da Feltrinelli, in un’antologia narrativa – Il libro dei bambini terribili[5] – e poi in una serie di strisce sul Corriere della Sera. L’anno seguente Bompiani pubblica Mafalda la contestataria, il primo libro di Quino che compare in Europa. Le strips sono precedute da un’introduzione redazionale non firmata, «Mafalda o del rifiuto», scritta da Umberto Eco, direttore della collana e grande ammiratore del personaggio[6]. Dall’Italia inizia la diffusione in tutta Europa e nel 1970 il personaggio è conosciuto ovunque, con uno strepitoso successo in Spagna e Portogallo. Il quotidiano romano Paese Sera pubblica quotidianamente una striscia di Quino. Dal 1972 iniziano anche i cartoni animati e nel 1977 sono in circolazione 52 film di cinque minuti ciascuno. Oggi Mafalda è tradotta in più di 30 lingue.
Il momento del maggior successo delle strisce è proprio il 1968: Quino è presente a Parigi nel Maggio francese. I giovani che fanno il tifo per i Peanuts – per Charlie Brown e per Linus, il marmocchio che era felice per una coperta che lo proteggeva da tutto – si entusiasmano per Mafalda e vedono in lei un’amica che pensa come loro e usa lo stesso linguaggio contestatario.
Qualche anno dopo, Quino si trasferisce con la moglie a Milano, dove rimane sei anni, e conosce l’argentino Marcelo Ravoni, che ormai è il suo traduttore specializzato in Italia e rappresentante. Il fumetto quindi attraversa il Sessantotto, assiste al movimento dei guerriglieri in Argentina e arriva fino alla dittatura, la «guerra sporca» che avrebbe lasciato nel Paese 30.000 vittime, tra omicidi e desaparecidos. Ma nel 1973 per Mafalda c’è una svolta cruciale: anche lei è una desaparecida, forse per la sua continua indignazione, come ha confessato il suo papà.
La genialità di Quino
Nel 1973 accade l’imprevedibile: Quino è stato geniale non solo nell’inventare Mafalda, ma anche nel saper chiudere una storia di enorme successo giunta all’apice. Da quell’anno non disegna più le strips, che pure continuano ad avere un’eccezionale affermazione in tutto il mondo. Il «padre» di Mafalda si rifiuta di sfruttare le proprie creature e non imita quei genitori che vivono largamente a spese del successo del loro enfant prodige: tutto quello che aveva da dire lo ha detto, e continuare non sarebbe servito a nulla; o forse il linguaggio critico e mordace di una bambina di sei anni non era più gradito al mondo?
C’è stata tuttavia un’eccezione. Quino torna a disegnare Mafalda nel 1977, quando l’Unicef gli chiede di illustrare i dieci princìpi della Dichiarazione dei Diritti del Bambino[7]. Così Mafalda è «risorta», scelta per le campagne promozionali, e l’autore disegna per l’organismo mondiale 10 vignette e un poster, cedendo gratuitamente i diritti. La contestataria Mafalda vive per proclamare i diritti dei piccoli che nel mondo ancora non sono da molti osservati; e nell’ultima vignetta punta il dito contro il mappamondo, ammonendo: «E questi diritti… rispettiamoli sul serio, eh? Che non accada come per i dieci comandamenti!»[8].
«Mafalda la contestataria»
Come si è detto, in Italia è stato l’editore Bompiani a presentare per primo Mafalda nel 1969, con un titolo di per sé significativo: Mafalda la contestataria. Umberto Eco, nella prefazione, definisce la bambina dai capelli corvini «un eroe del nostro tempo»; e prosegue: «Mafalda non è soltanto un nuovo personaggio del fumetto: è forse il personaggio degli anni Settanta. Se si è usato, per definirlo, l’aggettivo di “contestataria”, non è per uniformarsi alla moda dell’anticonformismo a tutti i costi: Mafalda è veramente un’eroina arrabbiata che rifiuta il mondo così com’è. […] Una sola cosa sa con chiarezza: non è contenta. […] In Mafalda si riflettono le tendenze di una gioventù irrequieta, che qui assumono l’aspetto paradossale di un dissenso infantile, di un eczema psicologico da reazione ai mass media, di un’orticaria morale da logica dei blocchi, di un’asma intellettuale da fungo atomico»[9].
«Mafalda e la zoocietà»
I titoli di successo delle sue strips sono numerosissimi. Mafalda e la zoocietà è una delle tante indimenticabili serie[10]. La zoocietà prende il nome da un dialogo tra Mafalda e il padre, a proposito del fatto che si vive in una «società moderna». Lei chiede: «Sudicità moderna?». Il padre: «SOCIETÀ moderna!». Mafalda: «ZOOCIETÀ moderna!». I grandi non sempre si comportano come tali…[11].
Ovviamente si parla del mondo fatto di adulti e bambini: i protagonisti sono sei bimbi e una coppia di genitori. Anche i bambini sono divisi in coppie: Mafalda e Felipe, tutti e due vivaci e interessanti; Susanita e Manolito, limitati nell’intelligenza e negli ideali; e poi Miguelito, il bimbo più piccolo e perfettamente innocente, e infine il fratellino Nando, che è il più curioso di tutti. Al centro c’è Mafalda, che ha intorno a sé, visibili, padre e madre; ma anche gli altri hanno una parte notevolmente creativa.
Tuttavia i piccoli stanno in primo piano e si limitano a dire la verità nel mondo umano di oggi, con l’immediatezza di chi non è ancora abituato al gioco: una verità che i grandi conoscono perché la vivono, ma che non sanno più guardare distaccatamente, la sostituiscono con il mugugno informe e non osano più esprimerla; la dicono invece chiaramente i bambini, appunto perché stanno ai margini, e non sono penalmente perseguibili. Ma il discorso riguarda il mondo dei grandi: i bambini sono soltanto un osservatorio privilegiato che gli adulti non possono ancora controllare fino in fondo.
In una vignetta, Mafalda confida una sua scoperta al fratellino: «Le formiche vivono nella stessa identica maniera in cui vivevano migliaia di anni fa, e sono felici. Invece l’umanità, molta evoluzione, molta tecnica, molta scienza, e sempre più pasticci». Dopo un po’ di silenzio meravigliato, il piccolo – che ancora non va a scuola – osserva: «Quello che dici è tanto vero che non serve assolutamente a niente».
Certo, Nando deve ancora crescere, ma è sempre pronto a curiosare. Un giorno l’amico Felipe, tutto sudato, protesta per l’eccessivo caldo. «Coppa del governo, velo?», interviene il piccolo. «No – risponde subito Mafalda –, è colpa dell’estate». Poi, rivolgendosi a Felipe: «Poverino, non sa ancora distribuire bene le colpe».
Gli emarginati vedono chiaro; e vedono soprattutto la propria impotenza. Chi vede chiaro non conta nulla, adulto o bambino che sia, e non può arrivare a tanto senza un esercizio progressivo; questa graduale scoperta basta abbondantemente a rivelare la sua presenza, ma anche a metterlo fuori gioco. È la condizione di una bambina, Mafalda appunto, che dice e fa cose indiscrete.
I suoi genitori sono ovviamente «speciali»: non le impediscono di protestare, urlare e dire la sua, di solito acuta e lungimirante. Il padre le chiede: «Che cosa guardi in Tv, Mafalda?». «La lotta». «Ma… se è un teleromanzo! Che lotta?». «Quella dello sceneggiatore; è appassionante vedere come ha lottato per non cadere nelle grinfie dell’intelligenza».
Non manca la politica. «Gli uomini politici passano la vita a dipendere gli uni dagli altri. Si uniscono, litigano, si separano, si riuniscono…». Infine una faccia luminosa di Mafalda: «Se questo non è AMORE, non so cosa sia».
Interessante la protesta «sindacale». Fa il comizio Miguelito: «Le fiabe per i bambini non sono scritte dai bambini, ma dai grandi!». Tutti: «È una vergogna!!!». «E neppure i giocattoli, né i dolci, né i vestiti, niente di tutto quello che riguarda noi viene fatto da noi, ma dai grandi! Perché dobbiamo sopportare questa situazione?». «Già! Perché?». «Semplicemente perché neanche noi ci siamo fatti da noi; ci hanno fatto i grandi!». Commento finale del popolo: «Troppo sincero per essere un leader».
Ma per il comportamento irriverente di Mafalda c’è una punizione in agguato: la minestra, che lei non sopporta. Guardando la madre che sta ritagliando un pezzo di giornale, le chiede che cosa fa. «Ritaglio una ricetta». «Roba buona?». «Una bella minestra!». Lei guarda stizzita il resto del giornale ancora per terra e urla: «MALEDETTA LA LIBERTÀ DI STAMPA!»[12].
In un’altra striscia, l’immagine di un piatto di minestra fumante, e Mafalda con una faccia dolorosamente sconsolata: «La minestra sta all’infanzia come il comunismo alla democrazia!»[13].
A Manolito Mafalda confida che «minestra» è «una parolaccia», anzi «un’immonda schifezza». Ma il bambino fa presente che il dizionario non dice che la minestra è una «parolaccia», bensì «piatto a base di pasta, riso, verdure, variamente cucinata e condita…»[14]. Un giorno a tavola le viene servita l’ennesima minestra, e lei subito borbotta: «Anche oggi è san Stomaco martire?»[15].
«TuttaMafalda 2. Il denaro non è tutto»
Il volume appare in Italia nel 1978 e raggiunge nel 1991 sette edizioni. Le strips danno un’idea più completa di questa singolarissima vicenda, della storia quotidiana che essa implica e dei personaggi che la definiscono[16].
Il sottotitolo riprende una serie di strisce sul denaro, dove la vittima di turno è Manolito, insieme alla drogheria del padre. Nelle relazioni con gli amici egli ha sempre presente il commercio e il guadagno, che lo portano immancabilmente a fare propaganda per il negozio e le più meschine figure. In una striscia Manolito legge un libro a voce alta: «Nessuno vale per quello che ha ma per quello che è». Con una faccia stralunata dice: «Ma va là! Se uno non ha, nemmeno è»[17].
Mafalda contempla una colomba e pensa: quella colomba non sa cosa sia il denaro; e ciò nonostante è felice. Allora si rivolge a Manolito: «Tu credi che il denaro sia tutto nella vita?». «No. Certo che il denaro non è tutto… Ci sono anche gli assegni». Segue la faccia esterrefatta di lei…[18].
Una domanda alla mamma, dopo aver visto una donna povera nella strada: «Perché ci sono i poveri?». Imbarazzo della madre: «Beh… Dunque… Allora… Insomma…». Finale di Mafalda, dopo aver preso una seggiolina ed essersi messa a sedere davanti a lei: «Non pensavo di aver fatto una domanda così interessante»[19]. In un’altra striscia lei parla a Susanita, dopo l’incontro con un mendicante: «Mi fa una pena enorme vedere i poveri». «Anche a me». «Bisognerebbe dare pane, alloggio, protezione e benessere ai poveri». Ribatte Susanita: «Perché tante cose? Basterebbe nasconderli». Faccia ingrugnita di lei…[20].
Susanita chiede a Mafalda, mentre scartoccia una caramella e getta a terra la carta: «Pensi che il problema della fame nel mondo si potrebbe risolvere dando ad ogni affamato una caramella?». «Non mi pare proprio, perché?», risponde. Susanita, indicando le carte delle caramelle che hanno quasi ricoperto il pavimento della stanza, riprende: «Altrimenti dovremmo essere pieni di rimorso, vero?»[21].
Il padre di Mafalda sdegnato sbatte a terra il giornale, perché l’arbitro non ha visto un fallo durante una partita, e grida: «Una cosa simile è intollerabile!». Lei, incuriosita, legge nel giornale: «Aumenta sempre il numero di bambini abbandonati e denutriti». E poi rivolgendosi a lui: «È bello vedere che ti preoccupi di cose così importanti, papà. Tutti dovrebbero essere come te!». Appare il volto scuro e vergognoso del padre…[22].
Per porre rimedio alle ingiustizie, si dà una semplice ricetta. La propone a Mafalda un’altra amica, la «piccola» Libertà (forse si chiama così perché quando Quino disegna, ai tempi della dittatura, in Argentina la libertà è davvero «piccola»): «Per me quello che non va è che pochi abbiano molto, molti abbiano poco, e alcuni non abbiano niente. Se questi alcuni che non hanno niente avessero qualcosa del poco che hanno i molti che hanno poco e se i molti che hanno poco avessero un poco del molto che hanno i pochi che hanno molto, ci sarebbero meno pasticci. Ma nessuno fa molto, per non dire niente, per migliorare un poco una cosa così semplice…»[23].
La curiosità di Mafalda è inesauribile. «Mamma, perché siamo al mondo?». «Per lavorare, per volerci bene, per costruire un mondo migliore!». Lei rimane perplessa; poi, puntando il ditino verso la mamma, sentenzia: «Burlona! Sei un’umorista e non me l’avevi mai detto!». La faccia della madre è allibita…[24].
L’autore e i suoi interlocutori
Uno dei caratteri più evidenti della serie è l’assoluta non ripetitività, l’invenzione ininterrotta, ottenuta non già allargando il giro dei personaggi e delle situazioni come nei Peanuts, ma scavando più a fondo e più nel concreto. Di fatto i quattro bimbi più due non sono semplici emblemi: hanno consistenza esistenziale e possono quindi sottrarsi, se vogliono, alla schematicità della situazione di origine. Manolito si sottrae poco, e Susanita non vuole sottrarsi affatto: ma questa è responsabilità loro, e vale a identificarli, negativamente, anche se non li riduce a categorie.
Le categorie non pensano, non inventano, rimangono esterne: forniscono caratterizzazioni su cui si può ironizzare, appunto, dall’esterno; i ragazzini di questa storia, invece, sono personaggi attivi che lo spirito di quello che dicono e di quello che fanno lo cavano fuori da sé, come accade ai personaggi ben riusciti, che stanno di fronte all’autore come interlocutori e non già come semplici oggetti.
Il dopo Mafalda: «Capirà, caro Lei!»
Il volume Capirà, caro Lei! appare in Italia nel 1978 a cura di Bompiani[25]. Questo dovrebbe essere il Quino arrabbiato, stando alle notizie che Oreste del Buono raccoglie nell’introduzione[26]. A una lettura attenta si evince il contrario: qui si tratta di un Quino misurato e dimesso, che ha esaurito in Mafalda e altri fantasmi la propria riserva di intemperanza e di verità scottanti e divaga un poco per i fatti suoi, posando uno sguardo attento, ma distaccato e divertito, sui piccoli borghesi della sua razza. Le vignette quasi non hanno più parole, né fumetti o balloon. Tuttavia un messaggio c’è: non è allegro, ma fa ridere spassosamente.
Solo una vignetta. Un uomo anziano, con gli occhi spenti, prostrato nella sua poltrona, confida a un amico: «In realtà ho dedicato tutta la mia vita a diventare miliardario per non dare dispiacere ai miei genitori che avevano sempre paura che mi dedicassi al romanticismo, all’altruismo, all’idealismo e a qualche altro “ismo” di quelli per i quali, in definitiva, io non avevo proprio la vocazione».
Quella disamina che parte da lui stesso e coinvolge poi altri senza separarli da sé e contrapporli va ammirata; ed è degna di nota la forza del disegno, il tratto sintetico ed essenziale. Forse la ripetitività della storia di Mafalda (un mondo aperto, non sigillato su bambini e animali come quello dei Peanuts) avrebbe potuto attenuare l’intensità espressiva di quel segno grafico, rendendolo convenzionale: una strip a getto continuo è commercio. Di qui l’opportunità di chiudere il ciclo gloriosissimo, e di esporsi al rischio della vignetta, o della striscia, non garantita da un ciclo, qualcosa che esige novità ininterrotta.
Tra le molte cose del «dopo Mafalda», va segnalata la Quinoterapia, pubblicata da Salani nel 1985: un insieme di vignette che riguardano poveracci, mendicanti, malati, medici, dentisti e via dicendo.
Risale a quell’anno una delle vignette più famose, che ha per tema «Mettere in ordine Guernica». Si compone di due scene. Nella prima, dopo una festa si vede un salotto in disordine che ha sullo sfondo il famoso quadro di Picasso. Una signora chiede alla domestica di riordinare tutto. Nella confusione, si notano dovunque piatti, bicchieri, bottiglie, cartacce, posacenere ecc. Dopo un po’ la domestica domanda se deve mettere in ordine «proprio tutto…». «Certamente!», risponde la spigolosa signora. Allora lei mette in ordine davvero tutto, anche il caos di Guernica, con grande disappunto della signora[27].
Nel 2011 Quino doveva venire in Italia per ritirare il premio «Romics». Non potendo farlo per ragioni di salute, telefonò e rilasciò un’intervista: gli veniva chiesto quale fosse la sua striscia più amata e a lui più congeniale. Dopo un significativo silenzio, egli rispose: «Quella di Guernica»[28].
Risale a questo periodo un’affermazione geniale di Gabriel García Márquez: «Quino ci sta dimostrando che i bambini sono i depositari della saggezza. Quello che è triste per il mondo è che man mano che crescono perdono l’uso della ragione, a scuola dimenticano ciò che sapevano alla nascita, si sposano senza amore, lavorano per denaro, si puliscono i denti, si tagliano le unghie e alla fine diventano adulti miserevoli, non affogano in un bicchier d’acqua ma in un piatto di minestra. Verificare questo in ogni suo libro è la cosa che assomiglia di più alla felicità: la Quinoterapia»[29].
La scomparsa di Quino
Un quotidiano, nel ricordare la scomparsa di Quino, ha riprodotto una striscia di molti anni fa. In essa Mafalda consola il mappamondo, accarezzandolo ed esortandolo ad avere pazienza: «Non preoccuparti, che in questo momento migliaia di tipi stanno studiando tutti i tuoi problemi, sovrappopolazione, fame, inquinamento, razzismo, armamenti, violenza… Tutti!». Poi si allontana, ma improvvisamente si rivolge al mondo: «Sì, lo so, ci sono più problemologi che soluzionologi, ma cosa ci posso fare?»[30]. È una delle tante domande che Mafalda si pone: domande che sono destinate a restare senza risposta. Ma, come nota un pediatra e pedagogista, «è dalle domande senza risposta che nascono le rivoluzioni»[31].
Nella ristampa di una silloge delle migliori strisce, Mafalda colpisce ancora. 999 perle dell’enfant terrible del fumetto, vi è come introduzione una poesia del giornalista Vincenzo Mollica: «Cara Mafalda / I tuoi 50 anni da ribalda / Ti hanno fatto restare / Una bambina testarda / Mai bugiarda / Con le tue domande hai conquistato il mondo / Scatenando un finimondo / Fatto di verità / Che si nutre di curiosità. / Hai messo gli adulti al muro / E il tuo cuore al servizio del futuro / E la tua intelligenza contro ogni scemenza […] / Quino l’argentino che ti ha inventato / Non ti ha messo in un mondo fatato / Ma di realtà ti ha impregnato / Con il suo segno disincantato / Contro la guerra ti ha lanciato / Contro la dittatura ti ha schierato / Per la pace a perdifiato / Di democrazia hai ragionato / Contro gli abusi di potere il tuo parlare ha tuonato / Con la potente semplicità dei bambini / Hai smontato gli altarini / Dei bugiardi che ti stavano vicini / Più pericolosi dei cretini. / […] Il tuo essere ribelle ci ha insegnato / Che anche un essere disegnato va ascoltato / Perché col suo parlare fumettato / Va a stanare ciò che è sbagliato. / […] Purtroppo il mondo non è migliorato / Ma almeno con te ci abbiamo provato. / Hasta siempre Mafaldita!»[32].
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“STOP THE WORLD, I WANT TO GET OFF!”. The disappearance of Quino, Mafalda’s “father”
The passing away of Quino, Mafalda’s “father”, has brought to light the immense world of his comic strips. Among these, there is a famous joke attributed to Mafalda: «Stop the world, I want to get off!» Well, the joke is not one of his own! And, Quino himself revealed it, not only denying its authorship, but adding that Mafalda loves the world, wants to improve it, and does not intend to abandon it at all. The character’s story is complex, so here we retrace the main stages. Mafalda and her friends are known throughout Europe, which is especially thanks to Italy. Although Quino did not draw the contestant and biting child after 1977, the success of the enfant terrible, who also undoes her parents, is still extraordinary.
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[1]. Cfr A. Llorente, «Muere Quino, creador de Mafalda» (www.bbc.com/mundo/noticias-54381038), 1 ottobre 2020.
[2]. Cfr Quino, Tutta Mafalda, Milano, Fabbri – Bompiani, 1978, 75 (il Medio Oriente è cancellato dal mappamondo perché ci sia pace); 77 (il mondo ha l’Asia malata); 87; 163 (il mondo dimagrisce, perché sta male per i tanti dispiaceri); 194; 200; 240 (stufi di vedere che il mondo è governato con i piedi); 333 (la preoccupazione per il mondo); 343; 355 (quando un Paese del mondo si rompe, dove lo buttano?); 371; 401 (e non sarà che a questo mondo c’è sempre più gente e sempre meno persone?); 410; 420 ecc.
[3]. Ivi, 75.
[4]. Per le notizie, cfr www.quino.com.ar/, e l’introduzione a Quino, Tutta Mafalda, cit., VII-XV.
[5]. Quino, Il libro dei bambini terribili per adulti masochisti, Milano, Feltrinelli, 1968.
[6]. Id., Mafalda la contestataria, Milano, Bompiani, 1969.
[7]. Dichiarazione dei Diritti del Bambino. Commentata da Mafalda e i suoi amici per l’Unicef (Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia), 1979: cfr Quino, Tutta Mafalda, cit., 415-420.
[8]. Ivi, 420. Cfr G. Pani, «I diritti dell’infanzia», in Civ. Catt. 2019 II 444-455.
[9] . U. Eco, «Introduzione» a Mafalda la contestataria, in Quino, Tutta Mafalda, cit., XIX.
[10]. Quino, Mafalda e la zoocietà, Milano, Bompiani, 1973. Il titolo originale è Mafalda 9; ha una dedica singolare di Quino: «Ai lettori caduti nel compimento del loro dovere».
[11]. Ivi. Questa e le strisce seguenti non sono paginate.
[12]. La striscia ritorna in Quino, Mafalda 1. Le strisce dalla 1 alla 384, Milano, Salani, 2020, 68.
[13]. Ivi, 76.
[14]. Ivi, 52.
[15]. Id., Mafalda e la zoocietà, cit. (testo non paginato).
[16]. Cfr Quino, TuttaMafalda 2. Il denaro non è tutto, Milano, Bompiani, 1978.
[17]. Id., Mafalda, Roma, «I classici del fumetto di Repubblica», 2003, 186.
[18]. Anche questo volume non ha paginazione; nell’ultima edizione: Id., Mafalda 2. Le strisce dalla 386 alla 708, Milano, Salani, 2020, 19.
[19]. Id., Tutto Mafalda. L’ edizione più completa, riveduta e arricchita di nuove testimonianze e contenuti esclusivi, Milano, Salani, 2010, 150.
[20]. Id., Mafalda 2, cit., 20.
[21]. Ivi, 31.
[22]. Ivi, 50.
[23]. Id., Tutto Mafalda. L’ edizione più completa…, cit., 434.
[24]. Id., Mafalda 1. Le strisce dalla 1 alla 384, cit., 130.
[25]. Cfr Id., Capirà, caro Lei! Con un sottotitolo dell’editore: Il disegno come crudele spia del costume (piccolo borghese), Milano, Bompiani, 1977 (or.: Hombre de Bolsillo). In quell’anno, al Salone internazionale dell’Umorismo, il libro vince il primo premio per i disegni sul tema «La burocrazia».
[26]. Cfr ivi, 3 ss; l’«Introduzione» è la sola parte del volumetto che ha la numerazione di pagina.
[27]. Cfr in internet: New Guernica’s happy end, optimistic version.
[28]. Cfr L. Raffaelli, «Addio a Quino il papà di Mafalda. Il grande disegnatore argentino […] con la sua ragazzina irrequieta sfidava il potere e il qualunquismo», in la Repubblica, 1 ottobre 2020, 29.
[29]. Quino, Tutto Mafalda. L’ edizione più completa…, cit., 7.
[30]. Cfr Corriere della Sera, 1 ottobre 2020, 25; cfr Quino, Quinoterapia, Milano, Salani, 2006, 583.
[31]. M. Bernardi, in Quino, Tutta Mafalda, 1978, cit., VII.
[32]. V. Mollica, in Quino, Mafalda colpisce ancora. 999 perle dell’enfant terrible del fumetto, Milano, Salani, 2015, 1.