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Nel 1965, nel corso delle celebrazioni per il settimo centenario della nascita di Dante, la nostra rivista pubblicò due articoli volti a sfatare un luogo comune che nell’immaginario italiano ritorna quando si parla dell’atteggiamento dei gesuiti nei confronti dell’arte della Commedia[1]. Da quando nel Settecento un gesuita, Saverio Bettinelli, rese nota la sua infelice opinione sul poeta, quasi non è mai mancato un manuale di storia della letteratura italiana e qualche suo frettoloso ripetitore che non attribuisca a tutta la Compagnia quella che fu l’opinione di un suo membro: come se i gesuiti avessero comminato la scomunica al poeta!
In verità, nelle scuole della Compagnia Dante non era l’autore maggiormente raccomandato agli allievi, come invece lo erano gli autori dell’antichità classica, anche perché nei loro programmi scolastici il posto assegnato all’insegnamento della lingua italiana era abbastanza ridotto. Tuttavia, in quelle scuole, a gruppi di giovani scelti che formavano le cosiddette «Accademie» era concesso di leggere la Commedia secondo uno stile che fa pensare alle future lecturae Dantis.
Il fine apologetico
È altresì possibile che i maestri gesuiti abbiano esitato a consigliare il poema dantesco ai loro studenti per il tempo stesso che vedeva fiorire le loro scuole e i loro collegi, il secolo che aveva assistito alla lacerazione della cristianità occidentale con le critiche, in tanta parte d’Europa, contro l’istituto stesso del papato; e certi canti del grande poe-
ma che denunciano a chiare lettere i vizi e le debolezze di alcuni pontefici non dovevano sembrare il nutrimento più salutare per menti giovanili in quel tempo.
Ed ecco che san Roberto Bellarmino, che è tra i primi conoscitori ed estimatori gesuiti di Dante, inaugura lo studio del poeta con un fine apologetico, distinguendo il valore dell’arte dantesca, la perfetta ortodossia cattolica del suo autore e l’acredine politica, rivestita talvolta di atteggiamento profetico, con la quale il poeta esprimeva passionalmente le attese della sua concezione politica che erano in disaccordo con l’operato dei papi sul piano puramente storico. Il Bellarmino anticipava l’interpretazione di Dante fondata esclusivamente sul suo genio poetico, indicando la via a coloro che avrebbero respinto il Dante nemico del papato e della Chiesa, il Dante manicheo o cabalista, membro di una setta segreta che avrebbe usato un linguaggio esoterico per coprire il senso ovvio e reale delle parole[2]. Quindi, un metodo apologetico doppio: apologia del poeta, esaltandone il magistero dell’arte e, contemporaneamente, apologia del papato, riscattando il poeta dall’accusa di averne voluto rinnegare il magistero della fede.
Questo metodo è stato spesso ripreso dai gesuiti in rapporto a Dante. Per esempio, in Italia, nell’Ottocento, quando le aspirazioni liberali all’unità nazionale eressero Dante a loro simbolo e attribuirono alle sue invettive antipapali il significato che conveniva alla lotta dei liberali contro il potere temporale e spirituale dei papi, i padri Giovanni Battista Pianciani e Carlo Maria Curci, fondatore della nostra rivista, che ebbero familiare la Commedia, difesero l’ortodossia del poeta. Il Curci preparò e pubblicò un’edizione del poema per il popolo, munita di un minimo commento – tascabile, come si direbbe oggi –, perché la si potesse portare «ne’ passeggi, nelle ville, ne’ viaggi» e leggerla assiduamente.
A testimonianza dell’amore e dell’importanza riconosciuti dai gesuiti a Dante è utile ricordare due noti gesuiti del Seicento: il padre Daniello Bartoli, che Leopardi chiamò «il Dante della prosa italiana», che ebbe caro citare ampiamente concetti ed espressioni dantesche, e il padre Carlo D’Aquino, che tradusse quasi tutta la Commedia in esametri latini[3].
Gli storici gesuiti
Tra gli storici gesuiti della letteratura va citato anzitutto Francesco Saverio Quadrio, autore nel Settecento dei sette volumi Della storia e della ragione d’ogni poesia, una specie di grande enciclopedia di letteratura universale, che indaga origine, natura e storia della lirica, della drammatica e dell’epica in tutte le età e in tutti i Paesi. Dante è presente in ciascuno dei grossi volumi con le sue canzoni, ballate e sonetti, ma soprattutto con la Commedia e con la storia della sua composizione e delle sue prime versioni.
E poi ancora un gesuita, Girolamo Tiraboschi, autore della monumentale Storia della letteratura italiana, molto stimata dal Foscolo e dal De Sanctis. Dante vi è lodato come «una vivacissima fantasia, un ingegno acuto, uno stile a quando a quando sublime, patetico, energico, che si solleva, e rapisce, immagini pittoresche, fortissime invettive, tratti teneri e passionati, ed altri somiglianti ornamenti, onde è fregiato questo poema, son un ben abbondante compenso de’ difetti e delle macchie, che in esso s’incontrano».
E poi le famigerate Lettere virgiliane di Saverio Bettinelli. Vincenzo Monti, per una piccola vendetta, scrisse di lui: «Qui giace Bettinel che tanto visse / da veder obliato ciò che scrisse». Ma fu profeta soltanto in parte. Perché questo gesuita del Settecento è ancora ricordato sia per l’infelice stroncatura di Dante sia per i meriti che si acquistò nella storia della letteratura con lo svecchiamento promosso nella cultura italiana del suo secolo, nonostante le intemperanze, gli eccessi e le contraddizioni[4].
Come abbiamo già detto, la posizione antidantesca di Bettinelli esprimeva il suo convincimento personale, non la posizione della Compagnia in quanto tale. Infatti, appena Bettinelli ebbe commesso il suo misfatto letterario, venne rimosso dai suoi superiori dall’ufficio di professore e di accademico nel Collegio dei Nobili di Parma e destinato a dirigere corsi di Esercizi spirituali nel solitario Casino presso Verona. Qualche elogio fu tributato a Bettinelli da alcuni gesuiti francesi, perché allora in Francia imperava Voltaire, celebre antidantista, pari, più tardi, a Lamartine. In Italia, Le lettere virgiliane furono apprezzate dal Cesarotti, dal Giovio, dal Verri, e se ne capisce la ragione.
Tra gli estimatori di Dante va annoverato un altro gesuita del Settecento: Andrea Rubbi, veneziano, autore dei 56 volumi del Parnaso italiano, tre dei quali contengono la Commedia, la biografia e l’elenco delle opere del poeta e il confronto tra lui e Michelangelo. A metà dell’Ottocento, il padre Valeriano Cardella, professore di lettere nel Collegio di Orvieto, pubblicava un volumetto sull’ordine delle cantiche della Commedia a uso degli studenti, esortandoli a dissetarsi alla «sapienza profusa in quel miracolo di poesia».
I commentatori gesuiti
Nella Compagnia non sono mancati, tra l’Ottocento e il Novecento, neppure i commentatori di tutta la Commedia. Ne presentiamo alcuni, a testimonianza dell’interesse che i gesuiti italiani hanno portato a Dante, ma non senza prima aver almeno accennato a un loro precedente illustre del Settecento: il commento al poema del padre Pompeo Venturi, che fino al 1870 aveva avuto non meno di 30 edizioni. La storia redazionale di questo commento è stata assai travagliata, e rimandiamo chi vorrà conoscerla allo studio che ne fece il Mondrone. Qui basti dire che l’opera del Venturi meritò le lodi del Vico, e il Croce riconosceva che nel lavoro del gesuita «sono appunto tutte le cose che il Vico loda e mancano tutte quelle che egli giudicava lodevole avere tralasciate»[5].
Un secolo e mezzo dopo il Venturi fu pubblicato il commento alla Commedia del padre Giovanni Cornoldi. Erano gli anni nei quali Leone XIII andava restaurando il tomismo nelle scuole cattoliche e, in tale contesto, istituiva in Roma una cattedra dantesca. Dalla sponda opposta, con l’intenzione palese di fare del poema uno strumento contro il papato, travisando il senso delle invettive del poeta, la massoneria istituiva un’analoga cattedra alla «Sapienza» e la offriva al Carducci, il quale, pur essendo massone, non la accettò; e al gran maestro della massoneria Adriano Lemmi, che lo sollecitava a nome del ministro Bovio, rispose di dissentire dallo scopo inteso dal governo in quanto Dante troppo evidentemente era perfettamente cattolico. Allora, da parte cattolica si sentì il bisogno di commentare la Commedia secondo l’autentico spirito del suo grande autore.
L’impegno fu fatto proprio dal Cornoldi, uno dei redattori della Civiltà Cattolica, che, da fervente tomista qual era, compose il suo commento chiarendo i luoghi filosofici, teologici, storici, etici, politici, ascetici del poema, ma forse eccessivamente dilungandosi su questioni dibattute dall’esegesi dantesca, che resero il suo lavoro non adatto agli studenti quanto fu invece utile ai dantisti, che non mancarono di apprezzarlo.
Circa 10 anni più tardi si ebbe il commento del padre Domenico Palmieri, teologo dell’Università Gregoriana, di orientamento filosofico non tomista. Nei tre volumi dei quali consta questo commento l’attenzione dell’autore non si concentra direttamente su Dante poeta quanto sul suo cattolicesimo, sul suo ghibellinismo, su altre questioni dottrinali e sulle grandi correnti filosofiche del Medioevo, sicché un tale commento si impose subito come contributo al dialogo tra dantisti, mentre si rivelò poco adatto alla didattica.
Tra gli studiosi di Dante presenti nell’Ottocento alla Civiltà Cattolica meritano di essere ricordati i padri Carlo Piccirillo e Francesco Berardinelli, ai quali si debbono le rassegne dantesche regolarmente pubblicate sulla rivista, e il padre Tito Bottagisio che, lavorando nell’Archivio Vaticano sui Regesti pontifici, studiò le relazioni di Bonifacio VIII con Celestino V, con Dante, con Firenze e con Filippo il Bello per difendere quel Papa contro gli attacchi di Dante e, tra i suoi interpreti, dello Scartazzini.
Nel Novecento, fu membro del collegio degli scrittori della Civiltà Cattolica un dantista insigne, ancora oggi noto tra gli specialisti: il padre Giovanni Busnelli (1866-1944). I più celebri dantisti – il Flamini, lo Zingarelli, il Barbi, il Vandelli, il Grabmann, il Parodi, il Mandonnet, il Pietrobono, il D’Ovidio, il Torraca, il Porena – lo ebbero amico, collega e, quando occorreva, avversario delle loro interpretazioni. Dotato di una grande versatilità intellettuale nel campo della letteratura, studiò particolarmente Foscolo, Leopardi e Manzoni, ma ebbe come settore di specializzazione gli studi danteschi, che affrontò non tanto come esegeta della poesia quanto dal punto di vista filologico, filosofico e teologico: tutto ciò che su Dante si veniva pubblicando, in Italia e all’estero, fu oggetto della sua attenzione, della sua critica di fine gusto, della sua larga informazione culturale, non soltanto come segnalatore degli studi altrui, ma anche con contributi propri. La Civiltà Cattolica e il Giornale dantesco lo ebbero collaboratore abituale.
Tra volumi veri e propri ed estratti che talvolta equivalgono a volumi per tema e dimensioni, il Busnelli toccò gran parte degli argomenti discussi al suo tempo dagli studi danteschi. Ma l’opera che lo occupò più intensamente e meglio rivelò la sua eccezionale preparazione fu il Convivio, commentato insieme a Giuseppe Vandelli e introdotto da un saggio di Michele Barbi, pubblicato da Le Monnier in due volumi nel 1934.
Opera didattica medievale, zeppa di problemi speculativi, il Convivio è, nella produzione di Dante, quella che i suoi studiosi hanno sentito più lontana dal loro spirito e dai loro interessi. Il Busnelli, che le aveva già dedicato vari scritti occasionali, mostrava per essa un interesse non inferiore forse a quello che gli suscitava la Commedia, ne conosceva le fonti e sentiva vicino il mondo del poeta. Chi anche oggi scorre le fittissime colonne che occupano almeno i due terzi dei due volumi di commento vede quanta ricchezza di erudizione e di dottrina vi si trova condensata. La preparazione del testo critico, alla quale il gesuita lavorava dal 1925 collaborando con il Vandelli, può essere seguita attraverso il copioso carteggio dei due dantisti, che resta altresì un documento della parte non secondaria svolta dal Busnelli nella ricostruzione filologica del testo dantesco.
Abbiamo aperto questo articolo partendo dal Bettinelli, il gesuita che tre secoli or sono, con la sua opinione su Dante, offrì lo spunto alla calunnia della presunta avversione della Compagnia alla figura e all’arte del grande fiorentino. Le note vicende che interessarono nel Settecento la Compagnia, e per la forza congiunta di nemici potenti e di amici deboli condussero all’estinzione temporanea dell’Ordine ignaziano, furono il terreno sul quale allignarono queste e altre più gravi calunnie. Esse poi, passando il tempo, si sedimentarono e assunsero nell’inconscio collettivo, da episodi puramente marginali e soggettivi quali erano, colore e veste di verità oggettive date per incontrovertibili e non sottoponibili a revisione critica, che le avrebbe ricondotte alle loro modestissime realtà.
Queste pagine, che si riferiscono alla Compagnia in Italia e all’onore che essa non ha cessato di tributare a Dante, vogliono testimoniare, per l’appunto, in questo settimo centenario della morte del poeta, l’interesse e la venerazione che la Compagnia, attraverso gli studi di suoi uomini ragguardevoli, ha professato a colui che con la sua arte illuminò la Chiesa e la fede cattolica.
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DANTE AND THE JESUITS
In the Italian collective unconscious, the effect of an ancient slander continues to reverberate, and according to which the Italian Jesuits as such have always been enemies of Dante’s art. The article takes up the origin of this hearsay and the debacle, briefly offering the history of the main comments of the Comedy written by the Jesuits in Italy over the course of three centuries.
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[1] Cfr D. Mondrone, «Dante e i gesuiti», in Civ. Catt. 1965 II 535-547; Id., «Gesuiti studiosi di Dante», ivi 1965 III 119-132. Abbiamo tratto da questi due articoli le notizie storiche e letterarie che citiamo.
[2] Cfr A. Valensin, Il cristianesimo di Dante, Roma, Paoline, 1964, 11 s.
[3] Cfr P. Chiti, «Un insigne latinista ammiratore e traduttore di Dante. Il P. Carlo D’Aquino (1654-1737)», in Civ. Catt. 1960 I 250-267.
[4] Cfr G. Natali, Il Settecento, Milano, Vallardi, 1929, 1157.
[5] B. Croce, «Il “Giudizio su Dante” di G. B. Vico e il “Commento” di Pompeo Venturi», in La Critica 25 (1927) 407-410.