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Vita attiva e vita contemplativa
Tutti dobbiamo trovare Dio in tutto, ma ciascuno deve farlo secondo la propria vocazione.
Secondo il Concilio Vaticano II, ci sono soltanto due tipi di vocazione religiosa – e lo stesso vale per la vocazione «nei consigli» e, al riguardo, nella vocazione laicale –, che sono caratterizzati dagli Istituti in cui si incarnano. Alcuni Istituti sono «dediti interamente alla contemplazione, in modo tale che i loro membri si occupano unicamente di Dio nella solitudine e nel silenzio»1; in altri Istituti «l’azione apostolica […] rientra [come non accade nei primi] nella natura stessa della vita religiosa»2.
Nel primo tipo di vocazione, solo la preghiera e la penitenza fanno parte dell’essenza della vita; invece, nel secondo tipo, appartiene alla sua essenza anche l’azione apostolica.
La differenza, dunque, non si radica nel fatto che in una vocazione si debba pregare e non nell’altra: in entrambe dev’esserci la preghiera, in quanto esse sono vocazioni cristiane. La differenza sta nella relazione della preghiera e dell’azione con la natura e l’essenza della vita, e anche – di conseguenza – nella reciproca relazione tra l’una e l’altra.
Il problema, tipico della vita attiva e che non si dà nella vita contemplativa, è che ogni uomo attivo deve scoprire quella relazione nella propria vita personale e viverla: ci riferiamo soprattutto alla relazione, in ciascuno di noi, tra la preghiera e l’azione.
Il problema spirituale della vita attiva
Pertanto il problema spirituale della vita attiva – la sua ricchezza peculiare, che non si dà nella vita contemplativa – non è quello della quantità di preghiera, ma quello della qualità, o del modo della preghiera; e, soprattutto, quello della relazione tra preghiera e azione, dal momento che entrambe appartengono all’essenza della vita attiva.
Vedremo ora due modi di soluzione di tale problema: uno lo offre sant’Ignazio, e l’altro lo propone il beato Favre3. Siccome quest’ultimo è un discepolo di ottimo livello di sant’Ignazio, esporremo dapprima la sua soluzione.
La soluzione è sostanzialmente uguale in entrambi i casi, ma la differenza nel modo di esprimerla ci può aiutare nella comprensione e, soprattutto, nel metterne in pratica gli aspetti fondamentali.
La soluzione del beato Favre. Egli ce la dà quando scrive, nelle Memorie spirituali, il 4 ottobre 1542: «La tua vita [l’Autore si rivolge a gesuiti, la cui vocazione è attiva e non puramente contemplativa] deve seguire Marta e Maria insieme [modelli classici di vita attiva e di vita contemplativa, nei quali entrambe si distinguono], fondarsi sull’orazione, ma anche sulle buone azioni, essere attiva, ma anche contemplativa. Se però un tipo di vita devi praticarlo in vista dell’altro e non per se stesso, come spesso capita, cioè se tu intraprendi la preghiera come mezzo per agire meglio, oppure al contrario l’azione è in vista della preghiera, sarà più conveniente, tutto sommato, che tu orienti le tue orazioni verso i tesori delle buone opere che non il contrario e, viceversa, che tu miri nell’agire ai tesori che si conquistano con la preghiera. Sarebbe diverso per chi conduce una vita puramente contemplativa: il suo scopo è radunare tesori di conoscenza e d’amore di Dio, ed egli non ha bisogno di chiedere in ogni circostanza le grazie di cui necessitano coloro che si trovano in una vita di azione»4. Poco prima egli aveva detto: «Colui il quale cerca Dio spiritualmente nelle opere buone [come è proprio dell’uomo attivo], poi lo trova meglio nell’orazione che se si fosse astenuto da quelle».
Quindi, la soluzione del beato Favre al problema spirituale della relazione tra preghiera e azione in un uomo attivo è duplice: in primo luogo, ordinare la preghiera all’azione (e non il contrario, come farebbe un contemplativo); in secondo luogo, trovare Dio nell’azione, prima di farlo anche nella preghiera.
La soluzione di sant’Ignazio. Sant’Ignazio sviluppa in modo molto più approfondito la seconda parte della soluzione del beato Favre, ma parla anche, sia pure in termini diversi, della prima parte.
Dice, per esempio, che ciascuno deve far sì che la sua preghiera «si estenda agli esercizi – o attività – in cui è impegnato»5. Vuol dire che, mentre la preghiera del contemplativo non ha ragione di farsi – potremmo dire di trasformarsi in – attività, la preghiera dell’uomo attivo deve farsi o trasformarsi in azione.
Riguardo al «cercare Dio nell’azione» – seconda parte della soluzione del beato Favre –, p. Nadal, nell’«ordine della preghiera», presentato, a nome di sant’Ignazio, durante la sua seconda visita in Spagna (1553-54), così dice agli studenti gesuiti: «Tutti devono sforzarsi nel Signore […] di trovare Dio in tutti i loro ministeri e lavori […] e servirsi dei frutti della meditazione, della preghiera e dell’abito di essa [questo è il significato della frase che abbiamo citato prima, di «estendere la preghiera all’azione»] in tutti i loro ministeri»6.
O, come p. Nadal afferma altrove, riassumendo – in termini che egli attribuisce a sant’Ignazio – la sua famosa frase Simul in actione contemplativus («Al tempo stesso contemplativo nell’azione»): Dio va trovato in tutto7. Come?
Una concezione «attiva» di Dio
Possiamo dire che nella frase ignaziana – quella che p. Nadal attribuisce a sant’Ignazio – è insita una concezione di Dio che potremmo definire «attiva».
A un uomo attivo importa – soprattutto nell’azione – non tanto l’«essere» di Dio o la sua «essenza», ma soprattutto la sua «azione» in noi e nel nostro prossimo. Con altri termini – che sant’Ignazio usa molte volte negli Esercizi spirituali (ES) e nelle Costituzioni – si può dire che l’uomo attivo deve «cercare e trovare la volontà di Dio» (ES 1, definizione degli Esercizi spirituali) sia nella preghiera sia – e soprattutto – nell’azione.
In termini paolini, all’uomo attivo importa conoscere, in se stesso e negli altri con cui ha relazioni, «l’azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3,18), sia nella preghiera sia – e soprattutto – nell’azione.
La ricerca di Dio negli avvenimenti
L’azione di Dio va dunque cercata negli avvenimenti ordinari della nostra vita. Come? Gli avvenimenti provocano in noi «reazioni» (come le provocano, nella preghiera raccolta, la lettura o la recita della parola di Dio): ci sentiamo contenti o tristi, ansiosi o liberi; proviamo desideri o ripugnanze, formuliamo giudizi…
a) In primo luogo, quindi, dobbiamo renderci conto appieno di tali «reazioni». Se ci si è abituati, questa è una cosa quasi immediata; ma se non si ha l’abitudine di prestare attenzione a tali «reazioni» – e acquisirla è impegnativo! –, occorre cercare di farlo nell’esame di coscienza (di metà giornata, della sera… o in qualsiasi momento del giorno).
Ma potrebbe anche accadere che, per lungo tempo, non avvertiamo alcuna «reazione» interiore riguardo agli avvenimenti. Questo vorrebbe dire che allora, in tutto quel periodo, abbiamo perduto il desiderio del «di più»; perché, se tale desiderio è presente, in noi si provoca sempre – come attesta il beato Favre8 – una «varietà» di reazioni (alcune dello spirito buono e altre di quello cattivo). E la soluzione sarebbe di suscitare in noi questo utile desiderio, per tornare a provare la «varietà» di mozioni interiori.
b) In secondo luogo, dovremmo domandarci quale spirito parli in ciascuna delle nostre reazioni (gioia o tristezza, ansia o libertà. desiderio o ripugnanza ecc.). Non può accadere che lo spirito buono – o quello cattivo – provochi allo stesso tempo reazioni di segno contrario: o la gioia è di Dio e non la tristezza, o viceversa (e così via).
Le regole per discernere di sant’Ignazio possono aiutarci non soltanto a «sentire», ma anche a «conoscere» il senso che hanno le diverse reazioni interiori. Lo spirito di Dio, ci dice sant’Ignazio, penetra in «coloro che procedono di bene in meglio […] in modo dolce, delicato e soave, come una goccia d’acqua che entra in una spugna; al contrario, l’angelo cattivo si insinua in modo pungente, con strepito e agitazione, come quando la goccia d’acqua cade sulla pietra. Invece, in coloro che procedono di male in peggio, questi due spiriti si insinuano in modo opposto» (cfr ES 335). O, come sant’Ignazio dice in un’altra regola, «è proprio dello spirito buono dare coraggio ed energie, consolazioni e lacrime, ispirazioni e serenità, diminuendo e rimovendo ogni difficoltà, per andare avanti nella via del bene», mentre, al contrario, «è proprio dello spirito cattivo rimordere, rattristare, porre difficoltà e turbare con false ragioni, per impedire di andare avanti» (ES 315).
E similmente nelle altre regole per discernere che sant’Ignazio presenta nel libro degli Esercizi. Leggerlo con calma – nei momenti di esame o di revisione della giornata – può aiutarci a renderci conto dei due spiriti che ci muovono negli avvenimenti della nostra vita, e a conoscere qual è lo spirito buono e quale non lo è.
Conclusione
Possiamo concludere dicendo che le «mozioni spirituali, come consolazioni o desolazioni [e l’agitazione di] alcuno spirito» sono importanti, sia nella vita di preghiera (cfr ES 6) sia e soprattutto nell’azione: grazie a questa «varietà» ogni cristiano – ma specialmente chi ha una vocazione attiva – può conoscere la volontà di Dio e realizzarla nella propria vita, trovando così Dio in tutto.
Questo è il messaggio ignaziano degli Esercizi spirituali, delle Costituzioni e delle Lettere, dell’ Autobiografia e del Diario spirituale9; e la soluzione che sant’Ignazio e i suoi discepoli ci danno al problema spirituale della vita attiva è quella della relazione – che è di integrazione10 – tra preghiera e azione in una vocazione attiva11.
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GOD IS TO BE FOUND IN EVERYTHING
The Author of this article is the Argentinean Fr. Miguel Ángel Fiorito, who was the spiritual father of Jorge Mario Bergoglio. In this article he shows how spiritual motions (e.g., consolations or desolations) are important, both in prayer life and in action, to know God’s will and carry it out in one’s own life; thus, finding God in everything. Saint Ignatius of Loyola teaches us how to integrate prayer and action into an active vocation.
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1 Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Perfectae caritatis (PC), n. 7.
2 PC 8.
3 Ricordiamo che Pietro Favre è stato canonizzato da papa Francesco il 17 dicembre 2013.
4 P. Favre, s., Memorie spirituali, n. 126.
5 Cfr J. Nadal, Epistolae Hieronymi Nadal Societatis Jesu Ab Anno 1546 Ad 1577, vol. IV, 681.
6 Id., Regulae pro scholaribus Societatis, 490, 14.
7 Id., Epistolae…, cit., vol. V, 162; 31.
8 Cfr M. A. Fiorito, Escritos, Roma, La Civiltà Cattolica, 2019, vol. IV, 237-239.
9 Ivi, 222-239.
10 Cfr P. Arrupe, «Lettera sull’integrazione della vita spirituale e apostolica» a tutta la Compagnia di Gesù, in Acta Romana Societatis Iesu, XVI, 1976.
11 Questo articolo, apparso originariamente in Boletín de espiritualidad, n. 64, gennaio 1980, 27-31, è ora raccolto in Miguel Ángel Fiorito, Escritos, cit., vol. V, 56-59.
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