
Da quasi 25 anni la guerra nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc) non ha cessato di fare notizia per il gran numero di vittime civili e di rifugiati. Oggi, la provincia del Nord Kivu è diventata la polveriera dell’Africa centrale, intrappolata da un sistema regionale di conflitti che ha reso il Congo «la capitale mondiale dello stupro»[1]. Gli omidici di attivisti dei diritti umani, di giornalisti e di opinionisti e, più recentemente, quello dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, sono altrettanti esempi che dimostrano chiaramente come l’insicurezza nella parte orientale della Rdc sia più problematica che mai.
Al di là delle reazioni epidermiche che questa triste realtà può suscitare, è giunto il momento di riflettere, con lucidità e serenità, per capire perché le soluzioni che sono state proposte finora per far uscire la Rdc da questo groviglio non abbiano prodotto i risultati sperati. Ci si può pertanto chiedere perché i conflitti armati persistano in Congo. Gli aiuti umanitari forniti a questo Paese martoriato riescono a proteggere le persone più vulnerabili e a soddisfare i bisogni delle popolazioni in pericolo? Cosa si può fare per riportare pace e stabilità nel Congo orientale, dopo lunghi anni di guerra?
Per rispondere a questi interrogativi, mostreremo in primo luogo come il quadro particolarmente conflittuale e complesso della guerra in Congo sia indissociabile dal funzionamento delle strutture sociali e politiche nel Paese, considerando insieme le conseguenze del genocidio in Ruanda e le due guerre congolesi (1996-97 e 1998-2002). In un secondo momento, ci interrogheremo sulle ragioni per cui gli aiuti umanitari prestati ai congolesi per ristabilire la pace nel loro Paese non abbiano prodotto i risultati desiderati. Infine, proporremo, come soluzione per far uscire il Congo dal «pantano» in cui è sprofondato, un dialogo inclusivo per la pace, come quello della Conferenza Nazionale Sovrana del 1990-92.
Storia di una guerra dai molti volti
La Rdc, divenuta indipendente il 30 giugno 1960, sembrava promettere un futuro radioso per i molti elementi favorevoli di cui godeva: un immenso territorio nazionale, terreni coltivabili di buona qualità, una popolazione in crescita, importanti risorse naturali ecc. I congolesi avevano in mano la gestione di un Paese situato a cavallo dell’equatore, con una superficie di 2.345.903 kmq[2]. Questo territorio, attraversato dal maestoso fiume Congo[3], offriva, e offre ancora, l’opportunità di praticare l’agricoltura, l’allevamento, la pesca ecc. Con più del 35% di terra coltivabile e fertile, grandi riserve di acqua dolce, una
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