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Un’assemblea del Partito democratico, convocata d’urgenza per il 14 marzo 2021, ha nominato segretario Enrico Letta. Nel suo discorso di candidatura Letta ha pronunciato parole gravi: «Non avete bisogno di un nuovo segretario, ma di un nuovo Pd». La crisi era stata aperta circa 10 giorni prima, quando Nicola Zingaretti aveva annunciato le dimissioni in modo inusuale, attraverso la sua pagina Facebook: «Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni non si parli che di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata di Covid…». Era stato un fulmine a ciel sereno, una iniziativa che sorprendeva e chiamava in causa tutta la dirigenza del partito.
Il 28 febbraio, Giuseppe Conte, ex presidente del Consiglio, aveva accolto la proposta di Beppe Grillo, garante del Movimento 5 Stelle, di guidare la ricostruzione della forza politica, che aveva subìto un forte contraccolpo in seguito alla decisione di sostenere il governo di Mario Draghi. Le conseguenze interne sono state gravi, e ci si aspetta così di evitare la diaspora: circa un terzo dei parlamentari non hanno accettato la scelta; alcune figure centrali, come Alessandro Di Battista, hanno lasciato il Movimento, e altre iniziano a prendere le distanze, come Davide Casaleggio, il presidente dell’associazione che gestisce la piattaforma Rousseau, quella che avrebbe dovuto gettare le basi della «democrazia diretta» per il coinvolgimento di ogni cittadino.
Certamente, per le principali forze politiche che sostenevano il governo Conte 2, il passaggio al governo Draghi non è stato indolore. Queste transizioni, che avvengono nel contesto della pandemia, sono anche la reazione a una riconfigurazione del rapporto tra politiche nazionali, europee e globali. Le indicazioni di nuovi leader sembrano essere rivolte a considerare in modo più adeguato il proprio sviluppo nel futuro. Invece, come ha osservato anche Sergio Fabbrini (cfr S. Fabbrini, «Draghi e l’impatto sul futuro dei partiti», in Il Sole 24 Ore, 14 marzo 2021), per ora le forze del centro-destra confermano le precedenti leadership. Anche se l’appoggio a un governo di coesione nazionale – nato per contrastare l’emergenza pandemica e per gettare basi solide per una ripartenza del Paese – costringe tutte le forze che lo sostengono a fare i conti con se stesse. Per alcune realtà che hanno costruito il loro consenso sulla critica all’euro e sulla lotta «anticasta» sarà difficile far digerire a quanti avevano dato loro fiducia una figura come Draghi, ex governatore della Banca centrale europea. Così si può comprendere la scelta di Fratelli d’Italia, l’unico tra i partiti più rappresentativi a scegliere la via dell’opposizione. Una decisione rischiosa, perché potrà circoscrivere quel partito nei confini della forza di protesta senza acquisire l’identità di forza governativa. Dall’altra parte è indicativa la ricerca di un nuovo posizionamento della Lega, che pare aver rapidamente cambiato il suo atteggiamento riguardo all’Unione europea: in Italia ha espresso la fiducia a Draghi, fortemente europeista, e partecipa con suoi rappresentanti alla compagine governativa; nel Parlamento europeo, invece, aderisce al gruppo sovranista e antieuropeista Identità e Democrazia. Gli attuali messaggi politici sembrano discordanti: ad esempio, il 9 febbraio 2021, nella votazione sul regolamento del Recovery and Resilience Facility, la Lega ha votato in contrasto con il gruppo di appartenenza, mentre è pronta a criticare qualsiasi mossa falsa della Commissione europea. Per il partito di Salvini diventerà sempre più complesso conciliare l’adozione di politiche europee con la posizione sovranista.
Una nuova domanda di partecipazione
Intanto nella società italiana si sta risvegliando un’attenzione al mondo della politica, stimolata anche dall’avvento della pandemia, che ha reso le persone consapevoli di condividere lo stesso destino. Il rapporto Bes 2020 (cfr Istat, Rapporto Bes 2020: Il benessere equo e sostenibile in Italia [www.istat.it], 2021) rileva che sono il 62,5% i cittadini sopra i 14 anni che affermano di aver svolto attività di partecipazione civica o politica: una porzione molto più ampia di quella dell’anno precedente (57,9%). Un dato che evidenzia l’inversione di una tendenza che registrava dal 2014 un progressivo e ininterrotto allontanamento dalle pratiche partecipative, calate in 5 anni del 10%. In particolare – evidenzia il Rapporto – sono aumentati quanti esprimono le proprie opinioni sul web, e quanti si informano e parlano di politica. Contemporaneamente, tra il 2019 e il 2020, è aumentata la quota dei cittadini che esprime un giudizio positivo verso il Parlamento e verso i partiti politici: nell’ultimo anno rilevato, sono disponibili a dare la sufficienza al primo il 39,6% e ai secondi il 20,2%, anche se la media di voto rimane ampiamente al di sotto della sufficienza (rispettivamente 4,5 e 3,3 su 10). Si ravvisa in ogni caso una maggiore disponibilità e apertura verso i soggetti della politica.
Alcuni segnali di risveglio della partecipazione erano apparsi nelle piazze italiane, e non solo, anche prima della pandemia. Si stavano radicando movimenti globali tra i più giovani, come Fridays for Future, iniziato dalla giovane svedese Greta Thunberg. La Thunberg già nel 2019 – a 16 anni – aveva guadagnato la copertina della rivista Time come «personaggio dell’anno», per la sua capacità di coinvolgere milioni di ragazzi e ragazze di tutto il mondo nell’attività di sensibilizzazione dei governi sui temi del cambiamento climatico e per avanzare richieste a garanzia del futuro del Pianeta. Più recente è il movimento delle «Sardine», che in Italia si è consolidato e diffuso coniugando presenza fisica e incontri di piazza. Convogliando le richieste di una politica meno urlata e più dialogata, esso è stato capace di attivare un confronto, una comunicazione e un’organizzazione attraverso le piattaforme social, utilizzate per condividere messaggi, promuovere appuntamenti, raccogliere finanziamenti.
Anche durante il lockdown, sebbene fossero presenti le regole di distanziamento, sono emersi gruppi di protesta in tutte le democrazie europee. Alcuni cittadini si sono opposti alle misure di contenimento del virus; altri ancora, esponenti delle categorie professionali e lavorative più colpite dalle chiusure (i commercianti e i ristoratori, i lavoratori del mondo dello spettacolo o quelli del turismo, ad esempio), hanno manifestato le loro difficoltà economiche e sociali.
Movimenti di protesta e movimenti di proposta segnalano l’esistenza di un fermento nella società civile. Lo generano e lo stimolano le disuguaglianze che nascono o si aggravano a motivo dell’emergenza, la crisi ecologica e il desiderio di cambiamento, la reazione di protesta alle misure assunte a causa della pandemia, ma anche la ricerca di un nuovo dialogo tra cittadini ed esponenti della politica. Queste realtà, a prescindere dalla definizione delle istanze di cui sono portatrici, evidenziano l’emergere di temi che uniscono e temi che dividono, ma anche questioni molto ampie e inevitabilmente vaghe. Sarà possibile non disperdere queste nuove energie se saranno raccolte in spazi politici, perché «la reazione fisica deve diventare progettuale e tale da integrare pure emotività e intelligenza politica. La reazione “antivirale” deve lasciare spazio a un processo riabilitativo e ricostituente» (A. Spadaro, «La politica del coronavirus. Attivare gli anticorpi del cattolicesimo», in Civ. Catt. 2020 I 365-367). Ma le forze politiche in campo saranno capaci di raccogliere e rappresentare questi stimoli all’interno di un’azione mediatrice?
Cosa è successo ai partiti
Nelle democrazie occidentali i partiti hanno sempre garantito il rapporto tra i cittadini e il loro governo. Come esplicita anche l’articolo 49 della Costituzione italiana: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». I partiti sono, quindi, il luogo principale nel quale si media e veicola il protagonismo politico dei cittadini.
La loro morfologia è profondamente cambiata. Soprattutto i partiti tradizionali, che hanno caratterizzato le società del Novecento, hanno lentamente modificato le loro strutture, che prima erano radicate nel territorio e diffuse tra le realtà sociali, prendendo distanza dai cittadini. Secondo il politologo Colin Crouch, tale processo di trasformazione avrebbe accompagnato lo sviluppo della «postdemocrazia», nella quale le strutture formali e le istituzioni esistenti rimangono in vigore, ma il peso specifico sul sistema politico di alcune «minoranze» si farebbe più incisivo di quello dei comuni cittadini. Così il ruolo dello Stato tende a concentrarsi di più su temi di sicurezza pubblica e meno sulla riduzione delle disuguaglianze o sulla garanzia di mobilità sociale. Inoltre, il protagonismo delle élites avrebbe finito per disincentivare la partecipazione dei cittadini, riducendoli a un ruolo di comparse (cfr C. Crouch, Postdemocrazia, Roma – Bari, Laterza, 2003).
In passato il partito aveva acquisito una struttura a cerchi concentrici: i dirigenti occupavano la posizione centrale, di coordinamento; la prima corona, poi, era formata dai parlamentari, i dipendenti e i dirigenti delle sedi locali; quella successiva dai militanti coinvolti in attività specifiche; la più esterna comprendeva i simpatizzanti e gli elettori fedeli. Questo margine della circonferenza confinava con il corpo elettorale, a cui rivolgersi per cercare nuovo consenso. La comunicazione fluiva dal margine al centro e viceversa; man mano che aumentava la distanza dal nucleo centrale, diventava meno forte il senso di appartenenza: si passava da un impegno continuativo, professionale e quotidiano a uno sporadico, volontario e temporaneo.
Secondo Crouch, invece, l’attuale forma partitica assomiglierebbe a un’ellisse. I suoi due punti fissi – identificati, uno, dai politici di professione e, l’altro, dalle lobby economiche di riferimento – sarebbero connessi tra loro da consulenti che giocherebbero un ruolo di mediazione degli interessi; all’interno del perimetro ellittico si muovono poi altri soggetti: figure professionali senza un vincolo di appartenenza identitario e incaricate di lavori specifici (indagini di marketing, comunicazione…); gruppi di pressione legati a soggetti sociali o aziende minori; singoli simpatizzanti e militanti.
Questo nuovo modello è aperto e molto probabilmente più corrispondente a una società frammentata, dove gli interlocutori sono sia i singoli cittadini, sia alcune organizzazioni sociali, sia grandi gruppi finanziari. Gli interessi, però, diventano molto eterogenei, gli indirizzi politici e le strategie risultano meno chiari e lineari. «Così i partiti non sono più i rappresentanti di una parte della società: la classe operaia, il ceto medio, gli industriali; essi diventano catalizzatori, in cui confluiscono gli interessi di soggetti differenti; sono perciò meno capaci di promuovere un orientamento specifico, perché si va da una mediazione tra tesserati e loro rappresentanti a una tra tesserati, rappresentanti, aziende sostenitrici e interessi supposti dai risultati di sondaggi d’opinione» (A. Casavecchia, «La partecipazione nello stallo democratico: un approccio culturale», in Studi di sociologia 2 [2018] 1-20).
Una via per la democrazia: tra i rischi di tecnocrazia e di populismo
Il tempo che si avvicina sta preparando una nuova sfida per la democrazia. Le forze politiche, che raccoglievano l’eredità dei partiti di massa del secolo scorso, si sono trasformate e a lungo andare hanno pagato lo scotto delle loro scelte strategiche con una riduzione, a volte drastica, della base elettorale. Ora, la pandemia e la crisi che ne è derivata sembrano aver rafforzato l’emergente richiesta di partecipazione e di protagonismo da parte dei cittadini. Per adesso, però, le forze politiche hanno cercato scorciatoie per raccogliere consenso, inseguendo momentanee onde emotive. I partiti hanno preferito affrontare le campagne elettorali affidandosi spesso al marketing, che consigliava di scegliere i temi da proporre non dal ventaglio dei princìpi fondativi, ma in base alla loro capacità di attrarre l’attenzione sull’immediato. Così alcuni slogan sono divenuti specchietti per le allodole.
Tuttavia i partiti rimangono essenziali per la ricostruzione di un sano rapporto tra cittadini e democrazia, per evitare i rischi della tecnocrazia o del populismo.
L’emergenza Covid-19 ha infatti contribuito a rilanciare la tentazione di affidare ai tecnici un ruolo decisionale. I comitati scientifici, le commissioni di saggi, le tavole di esperti sono utili luoghi di consulenza per prendere decisioni, ma finiscono per indebolire il ruolo decisionale di governi e parlamenti, se condizionano le loro funzioni deliberative. La tecnocrazia riduce il peso delle opinioni dei cittadini perché ritenute parziali, inadeguate, semplicistiche, non razionali, né scientifiche (cfr N. Urbinati, Democrazia sfigurata. Il popolo fra opinione e verità, Milano, Università Bocconi, 2014). La politica come spazio della mediazione subisce così un forte contraccolpo.
Inoltre, non si può sottovalutare il fatto che le tendenze di una spinta partecipativa, l’aumento delle disuguaglianze socioeconomiche e i sentimenti di inquietudine e angoscia dei ceti popolari hanno alimentato movimenti populisti in vari Paesi europei (cfr M. Rastoin, «I “gilet gialli”: le ragioni della collera», in Civ. Catt. 2019 I 152-160). Un tratto che ha accomunato parte di queste forze politiche è stato l’appello al popolo e la ricerca di una contrapposizione alla democrazia rappresentativa a favore di una «democrazia immediata» che costruisca la «popolocrazia» (cfr I. Diamanti – M. Lazar, Popolocrazia. La metamorfosi delle nostre democrazie, Roma – Bari, Laterza, 2018), nella quale si annullano le mediazioni e i mediatori e si critica la comunicazione tradizionale perché evidenzia la distanza tra pubblico e attore, mentre al contempo si favoriscono le piattaforme social, ritenute garanti di parità. Ma, nascosta dalla ricerca del rapporto diretto tra «popolo e guida», si cela un’identità chiusa che contrappone i «noi saggi» a «gli altri ingenui», «i cittadini omogenei e uniformi» a «le élite corrotte e incapaci» (cfr M. Revelli, Populismo 2.0, Torino, Einaudi, 2017). Dietro le semplificazioni si cela il rischio di strumentalizzare le persone e di ridurre la ricca poliedricità delle voci di un popolo. Il richiamo del populismo a una democrazia diretta rischia di «favorire i cittadini “produttivi” e penalizzare i deboli e i non connessi alla rete; ridurre la libertà di scelta a un “sì” e un “no”; contrapporre la volontà popolare a quella parlamentare» (A. Spadaro, «Perché il populismo fa male al popolo. Un libro-conversazione con p. Bartolomeo Sorge», in Civ. Catt. 2019 IV 184-190).
La democrazia parlamentare, invece, offre la possibilità di dialogare e di mettersi in gioco. In una democrazia l’emergenza e la progettazione del futuro chiedono ai partiti di costruire una partecipazione condivisa, con il coinvolgimento delle forze sociali e dei cittadini. Per rappresentare il popolo c’è bisogno di una legittimazione che si costruisce coltivando le relazioni. Ciò non significa rinunciare a dare spazio alla pluralità dei soggetti in campo, ma essere capaci di ascoltare e delimitare i propri confini per lasciar confluire quegli stessi soggetti dentro un progetto. Inoltre, è necessario comprendere il ruolo di mediazione che i diversi partiti hanno bisogno di svolgere. Elettori e loro rappresentanti dovrebbero comprendere che la realtà è più ampia dei progetti fissati in un programma che sarà chiamato a confrontarsi con una storia che evolve. Questo però sarà possibile se ogni partito riuscirà a trovare nuovi spazi di confronto interni ed esterni e temi di riferimento propri e distintivi per tornare a essere espressione di quanti scelgono di sostenerlo.
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AT THIS HISTORIC MOMENT IN TIME, THERE IS A GREATER NEED FOR POLITICAL PARTIES
While the Italian centre-right forces have affirmed their previous leaderships for now, the transition to the recently appointed Draghi government has not been painless for the main political forces that supported the Conte 2 government. Meanwhile, a new civic and political participation is awakening in Italian society. The data in the Italian National Institute of Statistics (ISTAT) “Bes 2020” report, for example, tell us this, combined with the signs of an awakening that appeared in Italian squares, and beyond, even before the pandemic. Protest and proposal movements indicate the existence of unrest in civil society. It will not be possible to disperse these new energies if spaces for debate are not opened up. However, will the political forces in the field be able to gather together and represent these sources in play within a mediating response?