Da provinciale dei gesuiti argentini papa Francesco chiedeva ai suoi confratelli di lasciarsi «fondare» nel Signore per evitare di farsi «sviare» da altre idee e dottrine che non fondano niente, ma anzi «disfano il solido fondamento di un cuore sacerdotale: dottrine che non alimentano il popolo fedele di Dio, e rispetto alle quali restano tuttora attuali le riflessioni di Dante».
L’allora padre Bergoglio citava quindi il canto XXIX del Paradiso (109-114): Non disse Cristo al suo primo convento: / «Andate, e predicate al mondo ciance»: / ma diede lor verace fondamento; / e quel tanto sonò ne le sue guance, / sì ch’a pugnar per accender la fede / de l’Evangelio fero scudo e lance. E proseguiva: «Ma, anziché essere scudo e lance, le dottrine seduttrici e disgreganti indeboliscono il cuore del santo popolo fedele di Dio, sì che le pecorelle, che non sanno, / tornan del pasco pasciute di vento, / e non le scusa non veder lo danno» (J. M. Bergoglio, Nel cuore di ogni padre, Milano, Rizzoli, 2014, 125). Qui Dante se la prende con quei predicatori che riempiono i fedeli di chiacchiere e non di Vangelo, al contrario di quello che faceva Gesù con i suoi discepoli.
La parola robusta: una missione di profezia (e di denuncia)
In questi versi di Dante il futuro Pontefice vedeva, dunque, con chiarezza la differenza tra la parola di verace fondamento e le ciance. E su questa differenza fondava il senso della missione di pastore. Oggi la Lettera apostolica del 25 marzo 2021, in occasione del VII Centenario della morte del Sommo Poeta, dal titolo Candor lucis aeternae, conferma la lettura di allora e descrive «la missione del Poeta, profeta di speranza» con i suoi versi che sono parola robusta che si oppone al vaniloquio.
Francesco è immediato nel suo argomentare e coinvolge il ministero petrino. Infatti coglie il confronto diretto tra il suo predecessore Bonifacio VIII con Dante, nel momento in cui nella Commedia è proprio san Pietro a dare al Poeta incitamento a vivere coraggiosamente la sua missione profetica. E lo fa proprio in contrasto con la testimonianza negativa degli indegni pastori della Chiesa. Dopo una tremenda invettiva contro papa Caetani, così infatti Pietro si rivolge al Poeta: E tu, figliuol, che per lo mortal pondo / ancor giù tornerai, apri la bocca, / e non asconder quel ch’io non ascondo (Par. XXVII, 64-66). Pietro, il primo Pontefice, – ci ricorda Francesco – invita Dante ad aprire la bocca senza nascondere nulla per timore, proclamando ad alta voce quello che egli non ha tenuto nascosto.
Commenta Francesco: «Nella missione profetica di Dante si inseriscono, così, anche la denuncia e la critica nei confronti di quei credenti, sia Pontefici sia semplici fedeli, che tradiscono l’adesione a Cristo e trasformano la Chiesa in uno strumento per i propri interessi, dimenticando lo spirito delle Beatitudini e la carità verso i piccoli e i poveri e idolatrando il potere e la ricchezza (cfr Par. XXII, 82-84)». Ma Dante, «mentre denuncia la corruzione di alcuni settori della Chiesa, si fa portavoce di un rinnovamento profondo e invoca la Provvidenza perché lo favorisca e lo renda possibile (cfr Par. XXVII, 61-63)». Stiamo parlando di quel che Bergoglio ha sempre definito parresia, la schiettezza evangelica che parla chiaro e coraggiosamente.
Francesco, dunque, individua in Dante il poeta della parresia che si oppone alla ciancia: i suoi versi nascono dall’ispirazione evangelica e – come aveva scritto già san Paolo VI nella Lettera Altissimi cantus, pubblicata per il VII centenario della nascita di Dante – per questo cariche di critica profetica, a tal punto che la sua voce «si alzò sferzante e severa contro più d’un Pontefice Romano, ed ebbe aspre rampogne per istituzioni ecclesiastiche e per persone che della Chiesa furono ministri e rappresentanti». In Dante Francesco legge la parola della riforma evangelica della Chiesa che non può che essere poetica, cioè performativa, creativa e profetica.
La parola che libera dalla «selva oscura»
In questo senso la bellezza della poesia ha né più né meno la pretesa di «cambiare radicalmente l’uomo» che ha smarrita la diritta via. Dante si trova dentro conflitti accesi. La dolorosa vicenda del Poeta comincia a causa dei conflitti tra guelfi e ghibellini, e tra guelfi bianchi e guelfi neri. Esilio, fragilità, mobilità diventano paradigma di una condizione umana «la quale si presenta come un cammino, interiore prima che esteriore, che mai si arresta finché non giunge alla meta». Il suo diventa un «cammino di liberazione da ogni forma di miseria e di degrado umano (la “selva oscura”) e contemporaneamente addita la meta ultima: la felicità, intesa sia come pienezza di vita nella storia sia come beatitudine eterna in Dio».
«Si tratta – scrive Francesco – di un cammino non illusorio o utopico ma realistico e possibile, in cui tutti possono inserirsi, perché la misericordia di Dio offre sempre la possibilità di cambiare, di convertirsi, di ritrovarsi e ritrovare la via verso la felicità». Questo testimonia, ad esempio, la figura dell’imperatore Traiano, pagano ma collocato nel Paradiso (cfr Par. XX, 43-48; 94-99) o quel che dice il re Manfredi, scomunicato, ma collocato da Dante nel Purgatorio, che così rievoca la propria fine e il verdetto divino: Ma la bontà infinita ha sì gran braccia, / che prende ciò che si rivolge a lei (cfr Purg. III, 118-123): una sintesi perfetta della visione che Francesco ha della misericordia di Dio.
Una parola in penuria di futuro
La Candor lucis aeternae giunge dopo interventi di vari predecessori di Francesco e, in particolare, l’enciclica In praeclara summorum di Benedetto XV (1921) e la Lettera apostolica Altissimi cantus di Paolo VI (1965). Francesco stesso aveva già scritto su Dante sia in un Messaggio per il 750° anniversario della nascita del Poeta (2015) sia in un Discorso in occasione dell’anno dantesco (2020). Qui la nostra intenzione non è stata di dare conto di tutta questa riflessione, ma semplicemente di porre brevemente l’accento sulla recezione bergogliana della Commedia tutta centrata sulla missione profetica dei versi del Poeta, fondata sia sulla parresía della parola poetica sia sul potere di liberazione del viaggio che Dante fa compiere al suo lettore.
Francesco conclude la sua riflessione ponendo l’ispirazione del Poeta sullo sfondo di un momento storico come il nostro, «segnato da molte ombre, da situazioni che degradano l’umanità, da una mancanza di fiducia e di prospettive per il futuro». Dante così diventa «profeta di speranza e testimone del desiderio umano di felicità», aiuto «nel pellegrinaggio della vita e della fede che tutti siamo chiamati a compiere, finché il nostro cuore non avrà trovato la vera pace e la vera gioia, finché non arriveremo alla meta ultima di tutta l’umanità, “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (Par. XXXIII, 145)».
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THE “GOSPEL” BEYOND THE “CHICANERY”. The Dante of Pope Francis
On March 25, Pope Francis published the Apostolic Letter Candor lucis aeternae on the occasion of the 7th centenary of the death of Dante Alighieri. As he had already done as provincial of the Jesuits of Argentina, Francis quotes the Supreme Poet, contrasting the words of the Gospel from the true foundation with the chicanery, that is, the chatter. In particular, from Dante’s masterpiece the pope praises the triumph of mercy, but also denounces and criticises those believers who betray their adherence to Christ and turn the Church into an instrument for their own interests. In this way, La Commedia becomes a spokesman for the evangelical reform of the Church.