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Papa Francesco nell’Evangelii gaudium (EG) si è soffermato a lungo sulla «conversione pastorale» della parrocchia, citando il Vaticano II: «“Ogni rinnovamento della Chiesa consiste essenzialmente in una cresciuta fedeltà alla vocazione. […] La Chiesa peregrina verso la meta è chiamata da Cristo a questa continua riforma, di cui essa, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno” (Unitatis redintegratio, 6). […] Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione […]. La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità»[1].
Agli inizi del suo pontificato, Francesco propone così con coraggio e lungimiranza «una conversione missionaria delle nostre comunità parrocchiali». In esse si avverte talora una difficoltà ad andare avanti e ad affrontare l’evolversi della società. Il mondo in cui viviamo ha subìto negli ultimi anni dei cambiamenti epocali, con cui anche i cristiani devono confrontarsi. Tutti viviamo una vita frenetica, continuamente in movimento anche quando ci fermiamo, una vita accelerata, frammentata in molteplici attività, colpita da ripetuti messaggi variegati, in un tessuto metropolitano che oggi non è più solo quello delle città, ma si è esteso ai paesi e perfino ai piccoli centri rurali. «La rapidità dei cambiamenti, l’avvicendarsi dei modelli culturali, la facilità degli spostamenti e la velocità della comunicazione stanno trasformando la percezione dello spazio e del tempo. […] Il legame con il territorio tende a essere sempre meno percepito, i luoghi di appartenenza divengono molteplici e le relazioni interpersonali rischiano di dissolversi nel mondo virtuale senza impegno né responsabilità verso il proprio contesto relazionale»[2].
Viviamo in un mondo più articolato rispetto al passato e segnato dal pluralismo culturale e religioso. Che cosa può fare una parrocchia in una simile situazione di trasformazione? È in grado di affrontare il nuovo stile di vita che ormai si impone un po’ ovunque? È capace, in questa nuova situazione che si va generalizzando, di annunciare la freschezza e la gioia del Vangelo?
L’Istruzione della Congregazione per il clero
L’Istruzione della Congregazione per il clero ha per titolo La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa[3], e vuole richiamare l’attenzione sull’evoluzione che la società ha avuto negli ultimi decenni e sul ruolo e la forma della parrocchia in questo nuovo contesto. Papa Francesco auspica che la comunità cristiana abbia l’animo missionario ed evangelizzatore della «Chiesa in uscita», e l’Istruzione raccoglie i suoi interventi relativi alla comunità, alla parrocchia, alle responsabilità di tutti i battezzati al servizio del Vangelo e, in particolare, l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, applicata alla comunità parrocchiale. Il Papa ha affermato: «La missione, la “Chiesa in uscita” non sono un programma, una intenzione da realizzare per sforzo di volontà. È Cristo che fa uscire la Chiesa da se stessa»[4].
Allo stesso tempo, l’Istruzione intende essere uno strumento canonico-pastorale per applicare meglio l’ecclesiologia del Vaticano II alla vita della parrocchia. Anche nel primo discorso ai parroci di Roma Francesco «ha ricordato l’importanza della “creatività”, che significa “cercare strade nuove”, ossia “cercare la strada perché il Vangelo sia annunciato”»[5] e testimoniato nella realtà della vita quotidiana.
L’Istruzione si compone di due parti: la prima (capp. 1-6) offre una riflessione sulla conversione pastorale, il senso missionario e il valore della parrocchia nel mondo odierno; la seconda (capp. 7-11) si sofferma sulle ripartizioni interne della comunità parrocchiale, i diversi ruoli in essa presenti (parroco, presbiteri, diaconi, consacrati, laici), gli organismi di corresponsabilità ecclesiale nella cura parrocchiale, e presenta il contesto in cui può avvenire il cambiamento e gli strumenti canonici per affrontarlo. Anche se non contiene novità legislative, l’Istruzione propone nuove modalità per applicare meglio la legislazione vigente.
La conversione pastorale
Il tema di fondo dell’Istruzione è la «conversione pastorale […] perché le comunità cristiane siano sempre di più centri propulsori dell’incontro con Cristo»[6]. Perciò papa Francesco ha suggerito: «Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37)»[7]. Questo è il senso vero dell’incarnazione, del Verbo che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). La parrocchia ha una storia antichissima e fin dagli inizi ha svolto un ruolo fondamentale nella vita dei cristiani: quello dell’annuncio evangelico. Lo stesso termine «parrocchia», nel suo significato etimologico (paroikia), indica «una casa in mezzo alle case»[8], proprio per vivere la logica dell’incarnazione che il Signore ci ha rivelato e insegnato.
Quando si parla di conversione pastorale, si pensa immediatamente alla trasformazione delle strutture: modifiche del territorio, accorpamento di parrocchie, nuove unità pastorali ecc. Esse definiscono l’identità di una comunità, ne ricordano la storia, segnano in profondità una porzione del popolo di Dio[9]. Tali strutture tuttavia non possono essere identificate con la realtà della parrocchia, poiché essa è fatta di persone, «una comunità di fedeli nella quale il parroco è il pastore»[10]: essi costituiscono il popolo di Dio radunato intorno all’annuncio del Vangelo e alla celebrazione dell’Eucaristia, nella fede vissuta nella carità, in comunione con il vescovo, e quindi con la diocesi e la Chiesa universale.
Nel 2006, Benedetto XVI ha ricordato che il rinnovamento della parrocchia va pensato alla luce dell’esperienza delle prime comunità cristiane[11]. Esso «non può scaturire solo da pur utili ed opportune iniziative pastorali, né tanto meno da programmi elaborati a tavolino. Ispirandosi al modello apostolico, così come appare negli Atti degli Apostoli, la parrocchia “ritrova” se stessa nell’incontro con Cristo, specialmente nell’Eucaristia»[12].
Anche Francesco, nell’Evangelii gaudium, precisa: «La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia»[13].
Le strutture dunque sono strumenti a servizio delle persone, e non viceversa; pertanto, quando si parla di rinnovamento e di programmazione, occorre avere di mira in primo luogo la cura pastorale delle persone. Analogamente, i progetti pastorali e i piani di ristrutturazione non dovrebbero essere affidati semplicemente a pianificazioni fatte a tavolino, basate su modelli precostituiti, da calare a ogni costo nella realtà[14]. Occorre guardarsi da due estremi ugualmente negativi: da una parte, il funzionamento efficientista, che si basa su criteri mondani; dall’altra, l’astrattezza, o forse l’idealismo, che si insinua nella vita ecclesiale quando si smette di ascoltare il Signore e si cerca – anche in buona fede – di sostituirsi a lui.
In ogni caso occorre evitare progetti teorici e da attuarsi in pochi anni, soprattutto se alcune parrocchie sono accorpate in base a criteri numerici, senza tener conto delle loro tradizioni e della loro storia. Tali soluzioni possono mettere a dura prova la fede del popolo di Dio e forse conducono anche all’abbandono della pratica religiosa. L’Istruzione invece raccomanda ai vescovi di agire con gradualità, in dialogo diretto e paziente con i fedeli delle parrocchie, rispettando i luoghi, i segni e la loro vita di fede.
Qualora si siano unite diverse parrocchie in una sola, occorre guardarsi dall’eccessiva burocratizzazione, in modo da non trasformarle in «piccole aziende», che rendano le persone «utenti passivi» e le allontanino dalla vita della comunità e dalla partecipazione ai sacramenti.
Inoltre, si evitino due eccessi: quello di una comunità in cui il parroco e i presbiteri hanno il monopolio su tutto e decidono ogni cosa da soli, e quello di una parrocchia che sembra essere senza un pastore, dove funzionari parrocchiali laici si occupano della pastorale in forza di un contratto di lavoro e non per spirito di missione, con la gratuità del volontariato.
Prospettive per una riforma
Ogni riforma deve essere preceduta da ampie consultazioni sia con il clero sia con i laici, sia anche con gli ambiti istituzionali a ciò delegati (Consigli presbiteriali, pastorali, diocesani), in modo da rendere viva la sollecitudine del pastore per tutte le realtà della diocesi. Va poi evitato un certo indifferentismo, sia «laicizzando» i chierici sia «clericalizzando» i laici.
Le esperienze più riuscite hanno segni chiari: la comunione e il buon coordinamento, in modo che il centro e la periferia della diocesi siano in effettiva comunicazione tramite zone e unità pastorali dove ognuno possa trovare il proprio posto e il proprio servizio. Questi raggruppamenti favoriscono la «cultura dell’incontro»[15] e aiutano a sviluppare la dimensione «in uscita» della Chiesa per venire incontro all’accresciuta mobilità delle persone e dare a ogni fedele la possibilità di essere parte attiva nella comunità.
Questo ruolo si può esplicare negli organismi di partecipazione (Consigli pastorali, Consigli per gli affari economici), ma anche nei singoli incarichi di catechesi, Caritas, pastorale giovanile, servizio ai malati, ai poveri, ai rifugiati, e in tutte le altre attività che la vita di una parrocchia richiede. Qui appare la grande generosità di laici e laiche, consacrati, volontari, i quali discretamente e silenziosamente aiutano la comunità e raggiungono le persone più fragili e più bisognose.
Al cuore della comunità
In ogni caso, quale che sia la soluzione adottata, va sottolineato che il cuore pulsante dell’intera vita cristiana e il centro di ogni comunità radunata intorno all’altare è l’Eucaristia. Lo ha ribadito papa Francesco, esortando «a dare un posto centrale all’Eucaristia nella nostra vita. È l’Eucaristia che ci fa vivere la vita di Cristo e fa la Chiesa»[16]. Il Papa ha anche proposto, come modello a cui dovrebbero tendere le parrocchie, lo stile dei santuari, perché siano luoghi di accoglienza, di preghiera, di adorazione, di riconciliazione, di riposo spirituale, di incontro con Dio, con i fratelli e le sorelle di fede, nel pellegrinaggio verso la casa del Padre[17].
Un’ulteriore considerazione dell’Istruzione, che deve essere parte integrante di ogni riforma, riguarda l’offerta per la celebrazione della Messa e degli altri sacramenti: essa deve essere «libera» e «segreta» – secondo l’insegnamento del Signore: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8) –, e non una tariffa da pagare o una tassa da esigere[18]. Questo è un argomento caro a papa Francesco e molto sentito dai fedeli.
In tale linea appare prioritaria un’opera di sensibilizzazione dei fedeli perché contribuiscano volentieri alle necessità della parrocchia, che è la loro casa e di cui devono imparare a essere responsabili. Se ciò è fondamentale ovunque, è necessario in quei contesti in cui la liberalità del popolo di Dio è l’unico mezzo per aiutare i sacerdoti e sostenerli nell’opera di evangelizzazione. Questa sensibilizzazione sarà tanto più efficace quanto più i sacerdoti avranno uno stile di vita sobrio, discreto nell’uso del denaro, non soltanto sul piano personale, ma anche in una gestione trasparente delle spese parrocchiali e dell’aiuto ai più poveri e bisognosi. Diverse parrocchie già attuano la raccolta delle offerte in modo anonimo, per cui ognuno si sente libero in coscienza di donare ciò che può e che ritiene giusto.
«Comunità di comunità»: storia di un’immagine
L’immagine della «comunità di comunità» è il centro dell’Istruzione: può essere fatta risalire al Concilio Vaticano II, dove è presente l’idea di una parrocchia come realtà composita, non «monolitica», una «fusione di diversità» che cooperano a un’unica missione, portando ciascuna il proprio contributo. Ogni membro della parrocchia dovrebbe riconoscersi in un impegno ecclesiale che lo renda un vero evangelizzatore: «Nella Chiesa c’è posto per tutti e tutti possono trovare il loro posto, nell’unica famiglia di Dio, nel rispetto della vocazione di ciascuno»[19].
Una menzione successiva di tale visione risale al 1992, nel documento finale della IV Assemblea plenaria del Celam. Vi si parla della parrocchia come di «comunità di comunità e movimenti», che accoglie le preoccupazioni e le speranze degli uomini, promuove e orienta la comunione, la corresponsabilità, la partecipazione e la missione. Giovanni Paolo II, nel discorso di apertura all’Assemblea, sottolineò che l’idea centrale «riguarda l’atteggiamento, lo stile, lo sforzo e la programmazione, o l’ardore, i metodi e l’espressione. Un’evangelizzazione nuova nel suo ardore presuppone una solida fede, un’intensa carità pastorale e una fedeltà, che, sotto l’azione dello Spirito, generino una mistica, un incontenibile entusiasmo nel compito di annunciare il Vangelo»[20].
In linea con l’ecclesiologia conciliare, nel documento conclusivo viene affermato che la parrocchia non è principalmente una struttura con un territorio, ma piuttosto la famiglia di Dio, una fraternità animata dallo spirito di unità, e tuttavia «comunità di comunità», perché formata da gruppi, associazioni e movimenti nei quali ognuno offre il suo apporto perché il regno di Dio cresca e raggiunga tutti. In tal modo, a Santo Domingo è stato messo in evidenza un nesso tra l’esigente e impegnativa missione ecclesiale e la prospettiva di compierla avviando un processo per far progredire sempre più la parrocchia nel suo definirsi come una realtà comunitaria con diversificate articolazioni interne, distinte ma non separate, unite ma non uniformate.
Il tema ritorna ancora nel 2007, in occasione della V Assemblea plenaria del Celam. Partendo dalla Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero, il documento finale di Aparecida riflette sulla comunione vissuta dai discepoli missionari e mette in evidenza che Gesù «ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per mandarli a predicare» (Mc 3,14). Per favorire la comunione e promuovere la missione Gesù conduce i discepoli nel deserto, perché si riposino un po’ (cfr Mc 6,31-32). Essi sono chiamati a vivere in comunione con il Padre e con suo Figlio morto e risorto nello Spirito Santo. Per questo la comunione dei fedeli e delle Chiese particolari all’interno del popolo di Dio si alimenta nella comunione con la Trinità.
Aparecida ha sottolineato che la vocazione al discepolato missionario è chiamata alla comunione nella Chiesa, poiché non c’è discepolato senza comunione[21]. Però c’è una realtà che non si può dimenticare: la tentazione di voler essere cristiani senza Chiesa, con una ricerca di spiritualità individualiste, o in qualche modo settarie, cioè escludenti e ripiegate dentro un gruppo, un movimento, un’associazione. La fede in Cristo è giunta a noi attraverso la Chiesa, che ci ha resi membri di una famiglia, la famiglia universale di Dio nella Chiesa cattolica e quella più ristretta della comunità diocesana e parrocchiale.
Attraverso il magistero di papa Francesco lo spirito di Aparecida è confluito nell’Istruzione della Congregazione per il clero, che vi ha trovato una visione teologico-pastorale particolarmente adatta a gettare una luce nuova sulla normativa canonica vigente in vista della sua riproposizione, nonché a cercare di contribuire in qualche modo a sostenere i pastori e le comunità che sul campo si adoperano per annunciare Cristo a chi non lo conosce e a chi lo ha dimenticato, rivitalizzando la propria azione missionaria ed evangelica[22].
Prospettive della conversione pastorale
Nella prospettiva dell’Istruzione, le norme canoniche mirano a rendere attuabile la conversione pastorale in vari modi di raggruppamento: forma federativa, incorporazione, fusione[23]. In ogni caso non va dimenticato che la parrocchia è la grande famiglia di Dio, composta da famiglie più piccole. Essa si raduna intorno alla Parola e all’Eucaristia, e vive una fraternità animata dallo Spirito, non chiusa in sé, ma inserita nella società e aperta, intimamente solidale con le sue aspirazioni e difficoltà. Da qui derivano alcune dimensioni fondamentali.
- Corresponsabilità nell’evangelizzazione. Per essere una comunità, tutti i membri della parrocchia sono responsabili – ciascuno secondo il proprio carisma, la propria vocazione e gli impegni ecclesiali che gli competono – dell’evangelizzazione in ogni ambiente. Lo Spirito Santo, com’è accaduto a Pentecoste (cfr At 2,1-13), è inviato a tutti i membri della comunità perché partecipino alla missione comune.
- Rinnovamento delle strutture. Se la missione della comunità parrocchiale è l’evangelizzazione, occorre ripensare le sue strutture, perché si crei una rete di comunità e gruppi capace di articolarsi in modo che i suoi membri si sentano, e siano realmente, discepoli missionari di Cristo nella comunione reciproca. La Parola e l’Eucaristia costituiscono così la fonte dinamica del discepolato missionario.
- Parrocchie missionarie. Il punto di arrivo della vita della comunità parrocchiale è l’annuncio del Regno. Pertanto si richiede che ogni parrocchia abbia un carattere missionario. Il rinnovamento delle parrocchie in tal senso si impone sia nell’evangelizzazione delle grandi città sia in quella delle aree rurali. Ciò esige immaginazione e creatività per raggiungere le folle che anelano al Vangelo.
- Formazione dei laici. Una parrocchia non può essere missionaria senza laici formati, dal momento che non bastano la buona volontà e la disponibilità per l’annuncio del Regno. Quindi deve essere loro garantita la formazione adeguata – spirituale, teologica, pastorale – per un annuncio efficace. Solo mediante la formazione dei laici si può rispondere alla sfida del presente, che tocca il complesso mondo del lavoro, della cultura, delle scienze e delle arti, della politica, dei mezzi di comunicazione e dell’economia, e riguarda la famiglia, l’educazione, la vita professionale, soprattutto nei contesti in cui la Chiesa può essere presente solo attraverso i laici.
- Il modello della prima comunità cristiana. La parrocchia deve guardare alla vita dei primi cristiani (cfr At 2,42-47; 4,32-35), prototipo di ogni comunità che si raduna per condividere il pane della Parola e celebrare l’Eucaristia, per perseverare nella catechesi, nella vita sacramentale e nell’amore fraterno. L’Eucaristia, in cui si rafforza la comunità dei discepoli, è per la parrocchia una scuola di vita cristiana. In essa, unitamente all’adorazione eucaristica e alla pratica del sacramento della riconciliazione, si formano i membri della parrocchia per dare frutti permanenti di carità, di riconciliazione e di giustizia per la vita del mondo.
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Il valore dell’Istruzione si può riassumere nel dinamismo che la parrocchia deve acquisire per una conversione pastorale e missionaria di tutti i suoi membri, a partire dai pastori fino all’ultimo dei fedeli: occorre uscire dalla routine e dal «si è sempre fatto così», per aver il coraggio di confrontarsi con i cambiamenti epocali in atto nella società, nella cultura e nell’esistenza delle persone, in modo da poter diventare una comunità capace di comunicare la forza e la gioia del Vangelo[24].
A chi obiettasse che il documento ha una prospettiva utopistica va ricordato quanto ha detto papa Francesco, invitandoci a coltivare «sane utopie»: «Un’utopia cresce bene se è accompagnata da memoria e discernimento. L’utopia guarda al futuro, la memoria guarda al passato, e il presente discerne»[25]. L’Istruzione, in sintesi, vuol essere un’attuazione della visione pastorale propria dell’Evangelii gaudium: «una forma che la speranza assume in una concreta situazione storica», o «qualcosa che ancora non esiste, qualcosa di nuovo, ma verso cui bisogna dirigersi a partire dal quello che c’è»[26].
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THE FUTURE OF THE PARISH: PASTORAL CONVERSION TO THE GOSPEL
The Congregation for the Clergy has published an Instruction entitled The pastoral conversion of the parish community in the service of the evangelising mission of the Church. The aim of the Instruction is to draw attention to the epochal changes that society has undergone in recent decades, especially as regards to the mobility of people, dispersion, speed, fragmentation: a transformation that involves everyone and with which the parish must confront itself. Pope Francis hopes that the Christian community will have the missionary and evangelising spirit of the “outgoing Church” (cf. Evangelii gaudium), and the Instruction is intended to be a canonical-pastoral tool with which to apply the ecclesiology of the Second Vatican Council to the life of the parish more effectively.
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[1]. EG 26-28. Questa citazione viene ripresa in Congregazione per il clero, Istruzione La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa, 29 giugno 2020, nn. 5 e 29, in https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2020/07/20/0391/00886.html#ita/ L’Istruzione verrà citata con la sigla CP.
[2]. CP 8-9.
[3]. Cfr nota 1.
[4]. Francesco, Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2020 (31 maggio 2020). Cfr Id., Senza di Lui non possiamo far nulla, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana – San Paolo, 2019, 16 s.
[5]. CP 1. Il discorso ai parroci è del 16 settembre 2013.
[6]. CP 3.
[7]. Ivi.
[8] . CP 7.
[9] . Il Papa ha affermato, in un’intervista a p. Antonio Spadaro, nel 2016: «Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali» (A. Spadaro, «Le orme di un pastore», in J. M. Bergoglio – Papa Francesco, Nei tuoi occhi è la mia parola. Omelie e discorsi di Buenos Aires. 1999-2013, Milano, Rizzoli, 2016, XVI).
[10]. CP 27; cfr anche 28-33.
[11]. Cfr Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici (22 settembre 2006).
[12]. Ivi.
[13]. EG 27.
[14]. Cfr Francesco, Lettera al Popolo di Dio che è in cammino in Germania (29 giugno 2019): «Ricordo che nell’incontro che ho avuto con i vostri pastori nel 2015 ho detto che una delle prime e grandi tentazioni a livello ecclesiale era credere che le soluzioni ai problemi presenti e futuri sarebbero venute solo da riforme puramente strutturali, organiche e burocratiche, ma che, alla fine della giornata, non avrebbero toccato affatto i nuclei vitali che esigono attenzione».
[15]. CP 25.
[16]. Francesco, Udienza generale, 19 giugno 2019.
[17]. Cfr CP 30-32.
[18]. Cfr CP 40.
[19]. Così il comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, il 20 luglio 2020.
[20]. Giovanni Paolo II, s., Discorso di apertura dei lavori della IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, 12 ottobre 1992, nn. 6 e 10.
[21]. Cfr Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale dei lavori della V Conferenza generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, 13 maggio 2007.
[22]. Cfr Francesco, Discorso agli aderenti al servizio per le cellule parrocchiali di evangelizzazione, 18 novembre 2019.
[23]. Cfr CP 46-48.
[24]. Cfr CP 122.
[25]. Francesco, Discorso ai membri della Pontificia Commissione per l’America Latina, 28 febbraio 2014.
[26]. J. M. Bergoglio – Papa Francesco, Nei tuoi occhi è la mia parola…, cit., 193.