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Chiesa e spiritualità

Auschwitz, il trauma contingente

L’opera di Johann Baptist Metz (1928–2019)

Andreas R. Batlogg

16 Gennaio 2021

Quaderno 4094

Johann Baptist Metz

Metz non è solo una città francese sulla Mosella, ma anche il nome di un teologo tedesco che ha acquistato una fama mondiale: Johann Baptist Metz[1]. Il suo nome è associato a espressioni chiave potenti come «la nuova teologia politica», «la teologia dopo Auschwitz», «compassione», «mistica degli occhi aperti», memoria passionis.

Dopo la sua morte, avvenuta il 2 dicembre 2019, il New York Times ha pubblicato un necrologio, in cui il teologo tedesco è stato riconosciuto come «pioniere del dialogo ebraico-cristiano dopo Auschwitz»[2]. Durante la sua vita, i giudizi e le valutazioni su di lui sono stati diametralmente opposti: «Alcuni lo considerano la shooting star, la “stella cadente” di una teologia critica e cosmopolita, altri vedono in lui un agitatore marxista, un nemico della Chiesa»[3].

Il teologo viennese Johann Reikerstorfer, nel periodo tra il 2015 e il 2018, ha curato e pubblicato la raccolta degli scritti di Metz, un’edizione in nove volumi, preservando così l’opera nel tempo[4]. Questo consente di ripercorrerne il lungo cammino accademico[5]. Un esperimento entusiasmante è prendere il volume 8 («Conversazioni, interviste, risposte») e lasciare che il teologo tedesco commenti e interpreti se stesso, cosa che egli ha fatto spesso nelle interviste in modo molto sintetico, quasi stenografico, e che può favorire un primo approccio ai suoi libri e ai suoi articoli.

Teologia e sequela

A Metz non mancavano mai le buone formulazioni: egli interveniva, era convincente. Inevitabili sono stati i conflitti a diversi livelli, perché egli non ha mai fatto teologia dalla famigerata torre d’avorio, rimanendo semplicemente all’interno dell’ambito teologico o ecclesiale. Il suo credo era che la teologia deve essere rilevante nello spazio pubblico. Metz comprendeva e faceva teologia, come diceva, «con lo sguardo sul mondo», per non cadere in una trappola, rappresentata dal «pericolo di una codifica ecclesiologica del discorso su Dio»[6]. Per questo, secondo lui, la teologia dovrebbe essere politica, sempre disposta e in grado di fornire spiegazioni, nello spirito del paradigma della teologia fondamentale: «[Siate] pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15). Mistica e politica, azione e contemplazione sono inscindibili. Ma si tratta – e questo è il punto decisivo – di una «mistica degli occhi aperti»[7].

Per Metz, la teologia ha anche sempre a che fare con la sequela, perché deve servire a coinvolgere le persone: non parlare di sequela, ma

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Auschwitz, il trauma contingente

Andreas R. Batlogg

Redattore e direttore emerito della rivista Stimmen der Zeit.


16 Gennaio 2021

Quaderno 4094

  • pag. 133 - 146
  • Anno 2021
  • Volume I

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Si parla di:

Teologia Teologia politica

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