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Uno degli effetti positivi del Concilio Vaticano II è stato quello di ricentrare la teologia sulla Scrittura, intesa non solo come repertorio di citazioni, ma come il vero ambiente nel quale può e deve germinare una teologia in linea con la Rivelazione. È questo il pregio del libro di Brunetto Salvarani, teologo laico, giornalista, docente di Teologia del dialogo interreligioso presso gli Istituti Superiori di Scienze Religiose di Bologna e di Modena.
Nel suo volume, infatti, la Scrittura è assunta secondo la forma che ha nei testi dell’Antico e del Nuovo Testamento: le narrazioni delle vicende di uomini e donne con cui si è interfacciato Dio, come osa dire un antico midrash ebraico, per il quale «Dio ha creato gli uomini perché Egli – benedetto sia – adora i racconti» (p. XXIII).
I personaggi descritti – Giona, Noè, Giacobbe, Giobbe, Qoelet e Gesù – vengono analizzati secondo la cifra della fragilità. Questa non è considerata tanto come sinonimo di «gracilità, debolezza, transitorietà e caducità», quanto – sulla scia delle indicazioni dello psicologo Eugenio Borgna – a un diverso e più profondo livello dell’esistenza, in cui questo fondamentale carattere dell’animo umano «si trasforma in qualità positiva: parla della capacità di condivisione e della disponibilità a lasciarsi modificare da parte di qualcuno, qualcuno che non è insensibile ma vulnerabile, e disposto a lasciarsi ferire» (p. XXIII).
Così definita, la fragilità diventa un ponte per far incontrare i personaggi della Bibbia con gli uomini di oggi e con Dio stesso. Nel raccontare la vicenda di Noè, ad esempio, viene trattato il tema delle raffigurazioni antropomorfe di Dio, che non è riducibile a «una tecnica che consente agli autori della Scrittura di superare il problema dell’invisibilità divina. C’è molto di più». Qui, attraverso la meditazione di Paolo De Benedetti, si giunge a toccare il mistero stesso dell’identità divina, che si lascia coinvolgere anche dall’abisso della sofferenza: «Ci sono voluti secoli e secoli perché noi cominciassimo a comprendere questa sofferenza e questo pentimento di Dio. Ci sono voluti millenni perché l’idea di un Dio metafisico fosse respinta, e comunque non facesse più ombra al Dio biblico. C’è voluta la Shoà, c’è voluto Auschwitz. I maestri talmudici così spiegano i sentimenti divini in questa occasione: “Il Santo, benedetto egli sia, fece lutto per sette giorni per il suo mondo, prima che venisse il diluvio”» (p. 37).
La stessa attitudine a vivere nella pienezza della vita affettiva si ritrova in Gesù, il quale «è esposto a tentazioni diaboliche (cfr Mt 4,1-11), ma anche agli imprevisti della vita quotidiana e a incontri inattesi», al punto che «si potrebbe dire che l’unico sentimento assente nell’esistenza di Gesù sia l’indifferenza, intesa come carenza di interesse nei confronti dell’altro. Del povero e del malandato, in primo luogo» (p. 137).
Ripercorrere questa strada consente di rendere nuovamente significativa e attraente la rivelazione biblica per l’uomo di oggi, efficacemente descritto dall’autore all’inizio del testo: «Incerto. Confuso. Ansioso e ansiogeno. Liquido. Ridotto a bolle, globi, schiume. Incline a populismi più o meno manierati, e sottoposto ad un disordine mondiale continuamente da decifrare» (p. IX).
Per combattere queste malattie culturali occorre allora ritornare al «grande codice» dell’Occidente, vincendo il pregiudizio che relega la Bibbia a patrimonio dei soli credenti o, peggio, a «roba da preti». Mentre, al contrario, per l’autore, «la tesi che mi muove qui, in prima battuta, è che l’ignoranza della Bibbia […] sta alla base della nostra attuale incapacità di capire a fondo chi siamo, dove stiamo e cosa ci stiamo a fare al mondo» (p. XIV).
Per questo l’autore ritiene indispensabile un costante dialogo con le culture degli uomini, a cominciare dalla letteratura, ma senza dimenticare le altre arti. Così, per parlare di Giona, oltre che al testo sacro, egli fa riferimento al capolavoro di Herman Melville Moby Dick o La balena. Similmente, per descrivere la storia di Giacobbe e dell’ira che scatena nel fratello, vengono evocate le figure di Ulisse, le tragedie greche di Eschilo e Euripide, fino «alla leggendaria figura dell’ebreo errante, il mitico Ahsverus di tanta letteratura otto-novecentesca» (p. 54). Analogamente, vengono continuamente richiamati i riferimenti presenti nella tradizione islamica ai personaggi della Bibbia, perché il dialogo con i nostri tempi non può essere che a 360 gradi. Infine l’autore sostiene, con il teologo indiano Felix Wilfred, che oggi la sfida «sarà sempre più quella di pensare a diventare cristiani, più che semplicemente esserlo: “diventare cristiani interreligiosamente è un’esperienza arricchente e stimolante”» (p. 145).
BRUNETTO SALVARANI
Teologia per tempi incerti
Bari, Laterza, 2018, XXIV-200, € 17,00.