|
Il libro di Eugenio Mazzarella, professore di Filosofia all’Università Federico II di Napoli, potrebbe essere considerato come una riflessione su questo «strano fatto della parola che prende addosso la vita e che nominando il mondo dice “Io”» (p. 7). Questo «strano fatto» è la poesia. Il mondo stesso rappresenta un’istituzione della parola, e la poesia non è che la custodia di tale istituzione, il «farsi del mondo nella parola» (p. 8).
Nella prima parte del libro – intitolata «Lirica e filosofia» –, la lirica si presenta come il luogo della soggettività, il luogo, cioè, in cui la coscienza scopre l’esistenza e il sé. In realtà essa costituisce la posizione soggettiva della coscienza ancor prima che questo passaggio avvenga con il cristianesimo.
Per questo il discorso si incentra anzitutto sulla modernità, rileggendo in essa, insieme, il percorso filosofico e quello poetico. A partire da Bruno e Galileo, una nuova interpretazione dell’universo è possibile con il crollo del compromesso greco-cristiano su cui si reggeva il mondo: Dio in cielo, il re sulla terra. Così la modernità si compie interamente nella scoperta della soggettività, propria del cristianesimo, e la centralità del cogito cartesiano trasferisce il punto di Archimede, al di là del cielo e della terra, nella mente. Qui Dio, mondo e uomo sono «ricompresi».
D’altra parte, sarà nella poesia di Charles Baudelaire, Stéphane Mallarmé e Arthur Rimbaud che ritroveremo il mondo senza natura, la città e le sue viscere, il tutto affidato alla pura parola. L’autore osserva che la soluzione del lirico moderno è la trasposizione della dislocazione cartesiana del punto di Archimede nella città. La disarmonia tra l’Io lirico e il mondo della metropoli diventa «il puro stare nella voce», una sorta di autoconsistenza ontologica della parola poetica. La poesia dell’ultima modernità cercherà di riedificare un universo spirituale che sappia rimettere insieme l’Io e il mondo. Questo essere senza centro, in cui riemerge e ritorna l’Io, questa volta come pura vita in cui stare, costituisce la storia di un adattamento spirituale. Il punto di Archimede da cui sollevare il mondo è allora spostato nell’Io lirico.
Il secondo capitolo della prima parte è uno sguardo sulla condizione umana attraverso il Qoèlet. Secondo Mazzarella, nella stessa tradizione sapienziale possiamo riscoprire la visione della dissoluzione del mondo come un anacronismo da spiegare. Nel prologo del Qoèlet l’unica trascendenza che emerge è quella del miracolo del sé in quanto ruah: nella vita che si ripete e riprende ogni volta di nuovo, in questa «sconcretizzazione» ontologica della realtà, l’autore intravede, attraverso la «nascita», quel novum che interrompe «l’eterno ritorno dello Stesso». La vita, che nella parola dice «Io», perviene a sé nella coscienza, è in grado cioè di riprendere se stessa proprio in tale parola.
Nella seconda parte del libro Mazzarella si sofferma sull’Io leopardiano nella crisi della sua «immaginativa», nel momento in cui nasce il racconto autobiografico del vero e proprio Io lirico di Leopardi. Gli antichi miti dissolti dall’Io moderno spiritualizzato dischiudono alla poesia leopardiana la dedizione alla ragione e al vero fino alla desolazione. L’A. osserva che anche solo con la chiusa di «A se stesso» del 1833 potremmo accostare al Qoèlet quell’infinita vanità del tutto. Di fronte al nulla, l’unica salvezza è la poesia come genere lirico, e l’Io lirico rappresenta un’epifania del Tutto.
Nella nozione heideggeriana della poesia il testo ripresenta, alla fine, la soglia in cui l’essere dell’Io fa il suo ingresso nel mondo, ponendosi in cammino. Così la poesia è la messa in opera della verità, il farsi evento di quest’ultima, una poiesi linguistica del mondo.
Attraverso il farsi e disfarsi delle cose Mazzarella ci presenta infine l’Io lirico come un Io che passa, eppure tiene, pesa abbastanza da restare. Quello che emerge e ritorna allora, in questa riflessione, è proprio il miracolo del lirico in cui l’Io salva se stesso da sé e da ciò che ha visto di sé, ma al tempo stesso questa lirica ha una storia nella coscienza. L’Io, cercandosi, trova l’Altro: Dio-uomini-mondo. Questo dialogo regge la dialettica della poetica occidentale tra poesia originaria e poesia della coscienza, esperienza o, meglio, conoscenza nell’esperienza e non conoscenza dell’esperienza. Per l’autore, che è poeta e filosofo, la poesia è proprio questa «esperienza», forse al di qua della filosofia, un’altra possibilità di custodire quel «Qualcosa» in cui ci imbattiamo nella meraviglia: «l’attimo-mondo, e io che guardo e mi guardo» (p. 132).
EUGENIO MAZZARELLA
Perché i poeti. La parola necessaria
Vicenza, Neri Pozza, 2020, 160, € 14,00.