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Parla, ricordo di Ennio Ranaboldo

Parla, ricordo

Quaderno 4106 - pag. 204 - 205

15 Luglio 2021


Non c’è inane attacco censorio al romanzo più noto di Vladimir Nabokov, Lolita (1955), che possa diminuire la statura della sua impresa letteraria ed esistenziale, attraverso due Paesi e in due lingue («Ho imparato a leggere in inglese prima che in russo») abissalmente distanti, abitate entrambe con la naturalezza del nativo.

Non c’è pagina di Parla, ricordo – l’autobiografia dello scrittore nato a San Pietroburgo nel 1899, vissuto a lungo in America e morto a Montreux, in Svizzera, nel 1977 – che non ispiri un sentimento di meraviglia estetica, di piacere profondo e di empatia istantanea; che non offra l’incanto di navigare un mondo fantastico e tragico a un tempo. In un racconto che è, innanzitutto, un atto d’amore profondo per le proprie radici, la «Russia leggendaria dell’infanzia», una ricognizione di un paesaggio storico e personale, lucida e senza sentimentalismi, ma anche puntuale nell’evocazione degli oltraggi e della violenza dei nuovi padroni dell’ordine sociale bolscevico. I Nabokov, parte dei quasi due milioni di fuoriusciti russi, persero beni e cittadinanza, e il padre – avvocato, giornalista e uomo liberale – fu assassinato da banditi fascistoidi nel 1922, a Berlino.

Le radici dello scrittore affondano in una facoltosa e numerosa famiglia, aristocratica e imprenditoriale, i cui antenati furono per quasi tre secoli profondamente legati alla storia militare, culturale e politica della Russia pre-rivoluzionaria. Tra loro, generali, ministri, scrittori, musicisti, esploratori, cercatori d’oro, ingegneri, filantropi e magistrati. La memoria che parla, in Nabokov, non è mai ordinariamente nostalgica, o trasfigurata in mito: «La mia vecchia querelle (risalente al 1917) con la dittatura sovietica non ha niente a che vedere con la questione della proprietà. Il mio disprezzo per l’émigré che “odia i Rossi” perché gli hanno “rubato” soldi e terre è assoluto. La nostalgia che ho serbato nel cuore in tutti questi anni è un senso ipertrofizzato dell’infanzia perduta e non il dolore per le perdute banconote».

In direzione opposta del passato, Nabokov ricostruisce la calda vita dei luoghi e delle case di famiglia e la straordinaria bellezza naturale delle vaste campagne, le estati vissute con la sensibilità del ragazzo attentissimo alle epifanie del paesaggio e alla trama dei sentimenti e delle relazioni. L’immaginario di Nabokov agisce al centro di un sistema dove «si direbbe che esista, nella scala dimensionale del mondo, una sorta di delicato punto d’incontro tra immaginazione e conoscenza, un punto ottenuto rimpicciolendo le cose grandi e ingrandendo quelle piccole, il che è intrinsecamente artistico».

Il lettore assorbe questa materia viva e si chiede meravigliato da dove scaturiscano la speciale robustezza e la precisione assoluta del linguaggio, i diversi registri che compongono una narrazione veramente polifonica. Vi aleggia la consapevolezza, sempre presente in Nabokov, di una coscienza dilatata nell’infinito che fa i conti con la finitudine dell’esistenza. E la riflessione conclusiva assegna il primato alla realtà dell’essere rispetto alla funzione consolante dei sogni e della memoria: «Non è certo allora – non in quei sogni – ma piuttosto quando si è ben desti, nei momenti di gioia intensa e di vera conquista, quando ci si trova sul più alto terrazzo della coscienza, che la caducità ha modo di scrutare oltre i propri limiti, dall’albero di maestra, dal castello del passato, dall’alto della torre. E pur non riuscendo a vedere molto attraverso la foschia, si ha in qualche modo la sensazione beata di guardare nella direzione giusta».

VLADIMIR NABOKOV
Parla, ricordo. Un’autobiografia rivisitata
Milano, Adelphi, 2020, 364, € 13,00.


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Autore

Vladimir Nabokov

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