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«Stiamo discutendo di una cosa che riteniamo molto importante e seria, anche se apparentemente frivola: i fumetti di Charlie Brown». Così le parole di Umberto Eco, appassionato dei Peanuts, introducono il saggio edito da La nave di Teseo[1], a vent’anni dalla scomparsa del loro autore, Charles Monroe Schulz (1922-2000). Vi si affronta un argomento tremendamente serio: il senso della vita. Tema attualissimo, svolto in una serie di interessanti contributi, per riflettere su Charlie Brown, Linus, Lucy, Schroeder e amici, con l’immancabile bracchetto Snoopy.
Il volume Charlie Brown, Snoopy e il senso della vita ha cinque parti: la prima, «A grandi linee», offre un quadro d’insieme dei Peanuts; la seconda, «I personaggi», presenta i protagonisti della vicenda, con i problemi, le ansie, le amicizie, i successi e gli insuccessi che li accompagnano. Seguono due poesie e la quarta parte, «Fuori dalla pagina», con un bel «Ringraziamento da Charlie Brown». La quinta parte, «Storie vere», dà una testimonianza viva di che cosa possano rappresentare i Peanuts nella vita di oggi, intrecciandosi e amalgamandosi con l’esistenza quotidiana.
I «Peanuts»
Propriamente, peanuts significa «noccioline». In realtà, in inglese indica anche «sciocchezze», «quisquilie», e nel linguaggio familiare vale come nomignolo affettuoso: «carinerie»; insomma, un nome denso di significati[2]. Originariamente le strisce erano un’aggiunta per gli spazi vuoti del giornale, un riempitivo. A Schulz il nome non è mai piaciuto, ma ormai gli era stato assegnato: ora è indelebile.
Immediato il successo delle strisce, e nel tempo si è sempre ampliato: è tuttora vivissimo a 20 anni dalla scomparsa dell’autore. Raccogliendole in un libro, dal 1950 al 2000, se ne contano 18.250 e occupano circa 5.000 pagine; sono state tradotte in 20 lingue, in più di 70 nazioni: costituiscono il tracciato di una vita dedicata per 50 anni a qualcosa di sorprendente[3].
In un’intervista, Schulz afferma che le strisce non sono un granché: «Quando parlo dei miei fumetti, è importante assicurarmi che tutti sappiano che per me quello che faccio non è come Grande Arte»[4]. E invece proprio il tema che stiamo trattando rivela che lui è soltanto un grande artista e comunicatore, ma anche un personaggio con una missione che lo ha impegnato quotidianamente lungo l’intera vita: «La striscia – dice – tratta di cose intelligenti, cose di cui la gente ha paura». Una editorialista commenta così: «Con i Peanuts, Schulz voleva esporre la cruda verità su “cose intelligenti”. Ma la verità più importante è che non ci sono risposte alle grandi domande. Alla fin fine non esistono vincitori né perdenti; e questa non è una tragedia, è la vita. Il potere confortante della striscia è che il lettore non è più solo ad affrontare questi temi spaventosi, a contemplare il grande ignoto in scala ridotta»[5].
L’efficacia delle vignette consiste proprio in questo: all’improvviso, ti trovi davanti le cose crudeli della vita, quelle irrimediabili che ti gettano nel panico. Perché soffriamo tutti di solitudine e non capiamo che, continuando a rimanere soli, non si dà soluzione. Siamo fatti per relazionarci con gli altri, per partecipare anche il nostro «nulla», per condividerlo, anche quando ci sembra inutile. Là è la soluzione che cerchiamo. Forse la grande impresa dei Peanuts, e un’importante ragione della loro longevità, è proprio l’apertura di uno spazio di ricerca che non si è mai chiuso.
Fumetti per bambini?
Chi ha familiarità con i Peanuts sa bene che non si tratta di fumetti per bambini. O meglio, anche i piccoli ci si divertono, ma gli adulti sono quelli presi di mira. Può essere paradossale, ma perfino Snoopy, che è forse la macchietta più a misura di bambino e rappresenta un bambino tra i bambini, è fantasioso, libero, straordinario. È il protagonista indiscusso di infinite avventure, ma è anche riflessivo, inquieto, nevrotico: «Sa di essere un cane; ieri era un cane; oggi è un cane; domani forse sarà un cane; per lui, nella dialettica ottimistica della società opulenta che consente salite da status a status, non vi è speranza di promozione. Talora tenta l’estrema risorsa dell’umiltà (“Noi cani siamo così umili…”, sospira tutto sconsolato), si attacca teneramente a chi gli promette stima e considerazione. Ma di solito non si accetta e cerca di essere ciò che non è: personalità dissociata se mai ve ne furono, gli piacerebbe essere un alligatore, un canguro, un avvoltoio, un pinguino, un serpente… Tenta tutte le strade della mistificazione, poi si arrende alla realtà, per pigrizia, per fame, per sonno, per timidezza, per ignavia. Sarà sopito, mai felice»[6].
La felicità è il senso della vita che tutti ricerchiamo, e che sembra utopistico. La si attende sempre, la si spera, almeno come risarcimento delle sventure presenti. Ma quando arriverà?
La felicità di Charlie Brown
Uno dei volumetti si intitola Sei felice Charlie Brown?[7]. Il panorama umano e animale è quello di sempre, senza particolare caratterizzazione: perché non è una novità, tra i Peanuts, che gli animali se la passino meglio, con più dignità e più rispetto, che non gli aggressivi e patetici bambini di questa colonia umana.
Lucy chiede a Charlie Brown: «Perché noi siamo sulla terra?». «Per far felici gli altri», risponde. «Certo non c’è nessuno che fa felice ME…». E poi, rivolta a lui arrabbiatissima: «C’è qualcuno che non sta facendo il suo dovere!!!». Segue un capitombolo dell’amico. Poi lei si confida con Linus: «Charlie Brown dice che noi siamo qui sulla terra per far felici gli altri». Al che il fratellino: «È per questo che siamo qui? Forse bisognerà che cominci a darmi più da fare. Mi seccherebbe essere spedito indietro».
L’argomento si fa più stringente tra Lucy e Charlie Brown: «Tu dici che siamo qui sulla terra per far felici gli altri». «Esatto!». Segue una scenetta in cui tutti e due pensano, concentratissimi. Infine Lucy: «E gli altri che cosa ci stanno a fare?».
Ritorna angoscioso il problema. Questa volta Linus lo pone a Charlie Brown: «Che desideri di più dalla vita per essere felice?». «Non pretendo questo…». Poi con la faccia sconvolta: «Mi basta non essere IN-FELICE»[8].
Lucy rimprovera Linus che non è felice perché non ama il genere umano. Risposta piccata: «Io amo il genere umano. È la GENTE che non posso sopportare!!»[9].
Anche Snoopy è affranto e si sfoga in una nuvoletta: «La vita di un cane è triste. I gatti ci odiano, i cavalli ci calpestano, le fiere ci disprezzano». Poi guarda ammirato Charlie Brown e lo abbraccia commosso: «Per fortuna c’è la GENTE!»[10].
In un’altra vignetta, a proposito della felicità, Lucy chiede a Snoopy di reggerle il palloncino. Il bracchetto lo fa con generosità. Poi sta per addormentarsi e sbadiglia. Il palloncino vola in alto. Snoopy viene cacciato via e tra sé e sé esclama: «Fai un errore e lo paghi per tutta la vita!»[11]. Ecco una delle caratteristiche dei Peanuts: «non offrono soluzioni ai problemi del mondo, piuttosto li rendono più visibili»[12].
Il protagonista
Il protagonista delle strisce è Charlie Brown: «Ingenuo, testone, sempre inabile e quindi votato all’insuccesso. Bisognoso, sino alla crisi, di comunicazione e popolarità, e ripagato dalle bambine matriarcali e saccenti che lo attorniano col disprezzo, le allusioni alla sua testa rotonda, le accuse di stupidità, le piccole malvagità che colpiscono a fondo. Charlie Brown impavido ricerca tenerezza e affermazioni da ogni parte: nel baseball, nella costruzione di aquiloni, nei rapporti con Snoopy il suo cane, nei contatti di gioco con le ragazze. Fallisce sempre. La sua solitudine si fa abissale, [è] veramente inferiore. La tragedia è che Charlie Brown non è inferiore. Peggio: è assolutamente normale. È come tutti»[13].
Va tutto bene: ma tra una striscia e l’altra appare sempre più come sia autobiografica l’idealizzazione, e la vittimizzazione di Charlie Brown. Schulz rappresenta se stesso e il suo segreto drammatico e inconfessabile: voler essere felice e soffrire nel non riuscirci mai.
Ci sono dei temi minori, ma non trascurabili. Per esempio, la corrispondenza epistolare tra ragazzini che non si conoscono di persona, i cosiddetti penfriends: «Caro amico di matita, veramente saresti un “amico di penna”. Ma devo chiamarti amico di matita perché non so scrivere bene a penna. Sperando che la cosa non ti dispiaccia»[14].
Si tratta di un uso ammirevole, quasi un dovere civico che chiede di essere assolto; anche se Charlie Brown, esasperato dai troppi sgorbi e macchie, rinuncia alla penna. «Ho pensato che ti potesse interessare qualcosa della mia famiglia. Papà è un barbiere, la mamma una casalinga». Ecco apparire Snoopy: ha capito che cosa sta scrivendo e annusa insistentemente il foglio, per far notare che c’è un’omissione. Conclusione di Charlie Brown: «Ho anche un cane che si chiama Snoopy. È un pochino matto»[15]. Segue gioia e danza del bracchetto.
Eppure, anche qui, affiora la singolarità di un personaggio, sotto molti aspetti comune, e tuttavia con un impegno cui non viene mai meno, nonostante l’apparenza di una perpetua sconfitta. Charlie Brown è un povero e, come povero, non si difende mai, perché non sa difendersi dai «furbi» della società. La cosa si fa più evidente in questa scrittura a distanza con interlocutori di cui non si sa nulla e a cui non si ha da dire null’altro che il proprio sforzo di comunicare con un amico[16].
Lucy e la felicità
Lucy, egoista e sadica, la più «piantagrane» della combriccola, brontolona e sfacciata, perfino spavalda, l’eterna innamorata di Schroeder e sempre respinta, è una bambina che soffre, sconvolta da un profondo dolore: «Non ho mai avuto nulla [dalla vita], e non avrò mai nulla…!». Al che il fratellino Linus, con fare delicato, le fa presente: «Be’, tanto per cominciare hai un fratellino che ti vuole bene»[17]. Il finale: Lucy gli scoppia a piangere tra le braccia.
Mentre Schroeder suona il piano, Lucy fa un ennesimo tentativo per richiamarne l’attenzione: «Guadagnano molti soldi i pianisti?». Subito un urlo: «SOLDI? Che cosa contano i soldi? Questa è ARTE, deficiente! Io eseguo una grande musica, e l’esecuzione è un’ARTE! Capisci? ARTE!». E mentre lui sbatte i pugni sul pianoforte, lei gli si avvicina, entusiasta: «Tu mi affascini!»[18].
Qui appare qualcosa di fondamentale sul significato della vita: l’importanza di qualcuno che ti accolga, ti voglia bene, ti apra il cuore. Quando non si è accolti da nessuno, è la solitudine più nera. Verso la fine della sua vita, Schulz ha confessato: «Da piccolo ero davvero solissimo!»[19].
Questo particolare ha un risalto notevole nella sua biografia: egli voleva essere amato come il padre, che era barbiere, rispettato e amato dai suoi clienti. Se questa era una delle sue maggiori ambizioni, Schulz ha vissuto insuccessi a catena fino a quasi 30 anni.
In una vignetta Charlie Brown chiede a Lucy: «Apprezzami! Apprezzami!». Poi le grida: «APPREZZAMI, TI DICO!». Al rifiuto silenzioso di lei, torna indietro triste e scoraggiato, ma con una riflessione fondamentale sulla vita: «Immagino non ci sia modo di costringere qualcuno ad apprezzarti». Il biografo di Schulz commenta: «Dietro tutto questo si eleva immensa la domanda centrale della vita del suo autore: Sarò mai – sono mai stato – amato?»[20].
La prima generazione dei «Peanuts»
Un volumetto del 1980 raccoglie le storie della prima generazione: siamo negli anni 1956-58[21]. Snoopy ha un aspetto diverso, più agile e slanciato, non ha ancora messo pancia, e deve moderare le sue pretese. È fondamentalmente un cane; i Peanuts sono assai più piccoli, ancora non vanno a scuola, e Linus appare in proporzione più giovane di tutti, gioca col cavallo a dondolo.
Anche le relazioni tra i personaggi sembrano – diciamo così – sperimentali. Lucy è già perversa, e innamorata perdutamente del pianista. Charlie Brown non ha ancora la fragilità psicologica che lo contrassegnerà più avanti. Sa essere dignitoso perfino come capitano della squadra di baseball, anche se perde sempre[22]. Ottimi i rapporti di Lucy con Snoopy. Nell’insieme, le prime storie sono più spiritose, e curate meglio, non ridotte a spezzoni minimi, come avverrà nel ventennio seguente.
In una società simbolica come quella dei Peanuts, dove il ruolo degli adulti è assunto dai bambini, non può mancare la presenza e il primato dello psichiatra, come maestro e giudice cui spetta l’ultima parola: questa è, per nascita, o per maledizione sua e degli altri, la parte di Lucy. Il potere è, fondamentalmente, di chi lo reclama e se lo prende. Nella filosofia di Lucy c’è appunto la ferma decisione di prenderselo tutto. Tra i bambini, oltre alla sopraffazione del più debole (Lucy è fisicamente più forte del fratello e psicologicamente più forte di Charlie Brown), si può immaginare solo il potere decisionale legato allo psychiatric help; ma anche quello dei soldi: gli emblematici «cinque cents» che si pagano al termine della seduta. Pare quasi che il denaro sia il senso della sua vita… O almeno così sembra nel gioco psicologico dei protagonisti.
In un altro volumetto si riprendono molte strisce su questo tema dal 1958 al 1972[23]: segno che è una costante della serie. Non mancano i diversivi, per lo più dovuti alla fantasia di Snoopy, ma poi si ritorna al punto. Quel baracchino, lo stesso che i ragazzini usavano per vendere le limonate, ora è destinato a placare ansie e ottenere risposte. Risposte sempre autoritarie, anche se non sempre autorevoli, ma che sono per Lucy occasione di rivalse personali.
Il cliente principale è Charlie Brown, proiezione dello stesso Schulz, il quale tiene a sottolineare che si è onesti solo a prezzo di umiliazioni e perplessità, cose che la società colpevolizza e per cui rinvia volentieri allo psicologo. Il baracchino, con l’inconfondibile cartello The Doctor is in, illumina una delle componenti della vita di oggi: il bisogno dello psicologo, che ti aiuti a superare l’ansia che sconvolge la vita. Charlie Brown soffre di attacchi di ansia e lo confessa: «Le mie ansie hanno l’ansia»[24]. Quello che sembra uno slogan per riassumere una vita drammatica è diventato anche l’argomento di un libro di Schulz[25]. Il male moderno, l’ansia, è una sorta di circolo vizioso, un gatto che si morde la coda, dove spesso predomina l’arte di crogiolarvisi dentro.
Per Charlie Brown tuttavia non ci sono altre soluzioni: «Non so cosa fare. A volte mi sento così solo, non lo sopporto… Altre volte ho solo voglia di starmene per conto mio». Lucy: «Cerca di stare nel mezzo», aggiungendo subito: «Cinque cents, prego». Il commento di uno scrittore è caustico: «Stare nel mezzo e pagare i propri debiti – se esiste un consiglio più saggio nel mondo moderno – nessuno l’ha mai disegnato»[26].
Joe Falchetto
Il volume Arriva Joe Falchetto[27], nonostante la disinvoltura del titolo, appartiene al filone classico delle vicende dei Peanuts. Qui emerge Snoopy[28], un essere di pura fantasia, che inventa la propria vita ora per ora, cogliendo le provocazioni più varie, e conservando intatta la propria capacità creativa; dato che non fa nulla, non ha scontri con la realtà, è disimpegnato da tutto eccetto che dalla propria oziosità, e quindi può giocare ininterrottamente con la sua libertà. Pur non essendo affatto il protagonista, offre a tutti di partecipare al proprio gioco. Il bracchetto ha gli occhiali da sole e il maglione con scritto su «Joe Falchetto»; vorrebbe essere invitato alla festa del giorno del Ringraziamento, ma tutti si dimenticano di lui. Scena finale con un grande «Bleah!»[29].
Al gioco del braccio di ferro, Lucy vince tutti. Snoopy tuttavia tenta di sfidarla in una disperata lotta di scintille e denti stretti e sudore che sprizza da tutte le parti. La sfida pare infinita, quando Snoopy riesce a dare un bacio a Lucy, che sembra stia per svenire. È la fine, con un urlo: «Non è stato leale! Mi ha baciata!»[30].
Nella settimana della gentilezza verso gli animali, Lucy si limita a fare con la mano «Pat, pat» sulla testa di Snoopy, che commenta caustico: «E sarebbe TUTTO QUI?»[31].
Accanto a Snoopy, Woodstock, l’adorabile uccellino giallo che diventa suo amico: un incontro diverso con la realtà. Woodstock è ancora più libero, più «animale» e più candidamente simpatico, sì che il rapporto di Snoopy nei suoi confronti si colora di approssimative responsabilità di adulto. Sarà la sua futura spalla: fa anche il giardiniere e dietro di sé ha spesso un seguito di pennuti in fila indiana[32].
Il punto realistico e patetico della vita del bracchetto è che questo campione di ogni disciplina (il tennis e il pattinaggio sul ghiaccio, il rugby e il volo acrobatico nella Prima guerra mondiale) nel confronto reale ci rimette sempre: fino a perdere, torvo da morire, 30 partite di seguito al biliardo con Woodstock. Di qui il momento risolutivo, intenzionalmente provocato e sempre disastroso, col gatto dei vicini.
Un volumetto è dedicato appunto al Gatto dei vicini, che ritorna con sobrietà, ma con regolarità[33]. Il confronto col nemico è per Snoopy, il facile eroe di cielo, terra e mare, il momento della verità. Con le dovute cautele, Snoopy affronta l’avversario: si direbbe che non si sottragga all’incontro, perché non sa rinunciare al piacere di una battuta di spirito, offensiva, appropriata, costi quel che costi. E gli costa sempre cara, perché alla prima unghiata balza immancabilmente via. Sa accettare in partenza la perdita, pago di aver avuto un’occasione per dimostrare, davanti alla bestia, la propria superiorità di spirito: per una battuta sagace, un signore della fantasia è pronto a dar via tutto il suo regno.
Le impressioni non formulabili: «Bleah!»
«Bleah!», trascritto come viene, è il segno della ripulsa. Si dà perfino una raccolta che riunisce temi diversi: «Bleah!»[34]. Il titolo, con la sua vana ottusità di ripulsa, viene a dire appunto questo. Non significa nulla, in questo universo autonomo e solidale di bambini senza età, se non forse il progressivo disgusto per la propria chiusura. Pare che l’unico sbocco di fronte al destino incombente l’abbia Snoopy che, non essendo umano, sta al di qua o al di là, in ogni caso esonerato da qualsiasi convenzione. Di fronte al fatto che tutti gli danno da mangiare scarti e avanzi, il bracchetto protesta con un forte «BLEAH!»[35]. È nota la sua reazione a Lucy che gli dice qualcosa di sgradito: «Bleah!». Lei si stravolge per lo spavento, e lui commenta: «Certa gente merita di essere bleahata!». Dunque «Bleah!» è proprio nulla. In realtà esprime disgusto e ribrezzo, la noia di vivere, colta nella vita altrui come immagine della propria.
Ci sono momenti di finezza patetica: nelle parole dei personaggi più duri (sempre femminili, per una certa misoginia di Schulz), nei gesti dei protagonisti silenziosi (Snoopy, che talora abbaia), nelle parole sobrie (Linus) e negli onesti affetti (Charlie Brown). Però, nonostante la sua inorganicità, il libretto ha un lieto fine, con l’episodio della partita di baseball giocata – e di fatto non giocata – per beneficenza: sempre all’insegna del «bleah!»[36]. Che cade qui più che mai a proposito, benché non si trovi messo in bocca nessuno. È l’impatto con la dura e imprevedibile realtà.
Linus e la coperta
Linus, il fratellino di Lucy, è un personaggio più reale: conosce bene la propria debolezza e la esteriorizza con la coperta; vi è follemente attaccato e non può vivere senza, suscitando la collera della sorella[37]. Il suo maggior avversario è Snoopy, pronto a lotte furiose per rubargliela, ma sempre sconfitto[38]. Il punto è che gli attentati alla coperta vengono da molti. Risolutiva è la sequenza di Linus che riottiene dalla nonna la coperta sequestrata. Ma non rinuncia a farle notare che bere 32 tazze di caffè al giorno esprime un bisogno di sicurezza non dissimile dal suo uso della coperta[39].
Charlie Brown gliene compra una nuova e, davanti a Lucy, si giustifica: «Credevo di fare la cosa giusta». Lei scatta: «In tutta la storia dell’umanità, nessuno ha fatto più danni di coloro che “credevano di fare una cosa giusta”»[40].
Attribuire tutta l’ostilità contro la coperta emblematica (strettamente unita al pollice da succhiare) al cattivo umore di Lucy è una semplificazione[41]. Quel simbolo dà fastidio anche ad altri, incapaci di farsi i fatti loro. Tuttavia, nel triangolo fondamentale che regge il mondo dei Peanuts – Charlie Brown, Lucy e Linus – c’è una sostanziale inconciliabilità tra Lucy e la coperta di Linus. Lucy esprime l’anima ribelle, la volontà di sopraffazione, il suo potere, così come, all’estremo opposto, Charlie Brown dice la volontà di rispetto degli altri, la disponibilità e l’attenzione a chi gli sta vicino.
La rivelazione della vita privata di Schulz e il divorzio
Una raccolta nuova del 1979 è un volume tutto a colori, con intenzione di lusso o di festa: la festa della neve? Così recita un titolo suadente: Fiocca, la neve fiocca[42]. La maggior parte di queste strisce appartiene a un momento recente dell’attività di Schulz, e mostra i cambiamenti della sua vita. Dalla Prefazione si apprende che ha divorziato dalla moglie Joyce, madre dei suoi cinque figli, e che non partecipa, come una volta, alle riunioni della sua comunità religiosa, la Chiesa di Dio. In questi quasi trent’anni l’uomo è mutato. Forse si è incrinato interiormente: esercita un mestiere di «manipolatore», anche se con tutta la discrezione possibile; e alla fine non può non sentirsi falsificato da se stesso, perché pratica un mestiere dannoso alla salute…
Schulz si era innamorato di una certa Tracy venuta per intervistarlo all’Arena, un palaghiaccio costruito dalla moglie per pattinare. Era un’ammiratrice dei Peanuts. Tra i due, un colpo di fulmine, un’intesa meravigliosa, tanto che dopo poco le chiese di sposarlo. La reazione di lei fu drammatica: «Non voglio essere conosciuta come l’altra donna della tua vita. […] La donna che ha infranto l’innocenza dei personaggi di Peanuts. […] Per me quel fumetto era sacro»[43]. Allora Schulz le promise il mondo intero: «Guadagno 4.000 dollari al giorno». Una battuta infelice: «Fu la freddezza di questa mossa a traumatizzarla»[44]. Schulz non si rendeva conto che il successo ha i suoi rischi e il denaro può dare alla testa. Ma, soprattutto, che l’amore non si compra…
In una vignetta di quegli anni, Linus ha costruito un pupazzo di neve: «Sei mio! Ti ho creato con le mie mani! E ricordati, come ti ho creato posso anche distruggerti!!». Poi la conclusione: «Scusami… ho detto una cosa stupida…»[45].
Ci fu poi una seconda importante conoscenza, quella di Jeannie, che portò Schulz, dopo il divorzio con la moglie Joyce, alle seconde nozze nel 1973.
In un’altra vignetta Schulz presenta Charlie Brown ai piedi di un albero, e parla fra sé e sé: «Chissà se è possibile essere innamorati di due ragazze diverse allo stesso tempo…». Dall’altra parte del tronco Snoopy riflette: «Mi ricordo che una volta avevo due biscotti… Uno con le gocce di cioccolato e uno al burro di noccioline… E li ho adorati entrambi»[46].
Ma se si trascura tutto questo – che non è affatto secondario –, ha ragione il curatore delle strisce a dire che Schulz lavora da quasi trent’anni e non dà segni di stanchezza[47]. Appare un uomo tranquillo, grande lavoratore, dedito a far divertire bambini e adulti. Il volume mostra una singolare capacità di rimanere in movimento e di saper esplorare zone nuove, in aggiunta alle antiche, ma vi sono pure imprese di dissodamento completamente ignote ad altri fumetti. Perché la novità non sta nell’attualità narrata (che può essere perfino una guerra mondiale), ma germoglia dall’interno, da un’attitudine al silenzio e all’ascolto, a cui oggi non si dà importanza, anche se tutti sono pronti a coglierne i frutti.
La nuova generazione
Le raccolte successive riguardano strisce più recenti e rivelano la capacità di rinnovamento di Schulz. Una novità riguarda i personaggi. Alcune bambine dei quartieri popolari nella parte opposta della città sono ormai al centro del gioco e impongono alcuni cambiamenti radicali: Piperita Patty, Sally, Marcie, Pig-Pen, perfino Lincoln, il bambino di colore bravo a scuola, e altri ancora, personaggi con un’esistenza più quotidiana, più reale. La prima è capitano di una squadra di baseball, che vince sempre quando incontra quella di Charlie Brown. Sally invece rappresenta la resistenza alla vita sociale (è sorellina di Charlie, venuta dopo, ma già coetanea).
Scarse le storie continuate: Snoopy fa il beagle scout e si perde nei boschi; Patty e Lucy vogliono mettersi gli orecchini; Charlie Brown non riesce a evitare il campo estivo (gli altri ci riescono tutti). Patty non è bella e non è intelligente, però risulta interessante e simpatica[48].
C’è ancora un’altra novità: sembra svanito l’antifemminismo di Schulz, che faceva delle bambine i simboli della cattiveria umana. È vero che Sally e Patty riassumono in sé tutta la possibile refrattarietà alla scuola e, attraverso la scuola, alla cultura: ma il taglio è diverso, privo di malizie. Per Patty è questione di eterogeneità pura e semplice, per Sally incapacità a scoprire l’angolatura appropriata per l’impatto col mondo.
Fra i tanti, un volumetto: È sempre lunedì. È il giorno drammatico in cui si ritorna a scuola, ovviamente stanchi dopo la domenica. Patty a scuola non può non dormire: è il suo modo abituale di essere presente, con le conseguenze che ne derivano. Svegliandosi di soprassalto alla domanda della maestra, non sa rispondere. Perciò chiede: «È una cosa che ha fatto ammattire gli studenti fin dalle origini della scuola! Com’è che lei non mi chiama mai quando sono preparata, ma mi chiama sempre quando non lo sono?»[49].
Sally informa Charlie Brown delle scoperte fatte a scuola: «Lo sapevi che le parentesi si usano sempre in coppia? Se per caso vedi una parentesi da sola, puoi star certo che è una poco di buono!». O ancora: «Questa è una chiave di sol (&); questa è una “e” (&) commerciale. Sembrano simili, vero? Beh, in realtà si detestano!»[50].
In questa raccolta si dà anche una novità, di ordine grafico: l’uso abbondante dei primi piani, che giova a umanizzare i personaggi, a comprometterli in brutte figure momentanee, invece che fissarli in figure assolute. Anche il contorno che divide un disegno dall’altro si è fatto più libero.
* * *
Per concludere. Il volume Peanuts. Charlie Brown, Snoopy e il senso della vita ci invita a riflettere sull’esistenza, sul nostro barcamenarci nel mondo, sui problemi e le difficoltà della vita, sulle nevrosi della società, quella società che – volenti o nolenti – siamo noi: «Il sentimento e l’atmosfera predominante nei Peanuts – con le loro trame intrecciate di gioia e di melanconia, delusione e meraviglia – suggeriscono un orientamento filosofico, una guida per i perplessi su come si possa vivere in un mondo mai facile, e spesso nemmeno troppo gentile»[51]. Dove, però, è fondamentale aiutarsi a vicenda[52].
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CHARLIE BROWN, SNOOPY AND THE MEANING OF LIFE
The essay The Peanuts Papers reveals the importance of Charles M. Schulz’s comic strips. Not only because of their extraordinary success (the strips have been translated into 20 languages, published in 70 countries, by 2,600 newspapers), but also because of the themes they deal with, including the contribution of various authors on the meaning of life. Schulz wanted to expose the crude truth about intelligent things, which people fear. He did not offer solutions, but made problems visible. Charlie Brown, Lucy, Linus, Schroeder and friends, with the ever-present Snoopy, their lives intertwined with joy and melancholy, disappointment and wonder, offer a guide to living in a world that is never easy, helping each other.
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[1]. Cfr A. Blauner (ed.), Peanuts. Charlie Brown, Snoopy e il senso della vita, Milano, La nave di Teseo, 2021.
[2]. Cfr D. Michaelis, Schulz e i Peanuts. La vita e l’arte del creatore di Snoopy, Charlie Brown & Co., Latina, Tunué, 2013; M. Pellitteri (ed.), «Nota all’edizione italiana», VIII. Michaelis è il biografo più autorevole di Schulz.
[3]. Cfr G. Saunders, «Una mente a strisce», in A. Blauner (ed.), Peanuts…, cit., 41. Quando Schulz muore, nel 2000, lo pubblicano 2.600 quotidiani. Cfr C. M. Schulz, È domenica, Charlie Brown!, Milano, Baldini & Castoldi, 2016, aletta di copertina.
[4]. G. Saunders, «Una mente a strisce», in A. Blauner (ed.), Peanuts…, cit., 41.
[5]. N. Rudick, «Uno spazio per pensare», in A. Blauner (ed.), Peanuts…, cit., 67; 69.
[6]. U. Eco, «Il mondo di Charlie Brown», in Id., Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 19782, 271 s.
[7]. C. M. Schulz, Sei felice Charlie Brown?, Milano, Rizzoli, 1977.
[8] . Ivi, 43-45; 104.
[9] . R. L. Short, Il Vangelo secondo Charlie Brown, Torino, Gribaudi, 1968, 167 s. Schulz riprende al contrario un motto di J. Swift, che «amava la gente, ma odiava il genere umano» (ivi).
[10]. Ivi, 32.
[11]. Ivi, 69.
[12]. Cfr D. Michaelis, Schulz e i Peanuts…, cit., 386.
[13]. U. Eco, «Krazy Kat e i Peanuts», in A. Blauner (ed.), Peanuts…, cit., 107.
[14]. C. M. Schulz, Caro amico di matita, Milano, Rizzoli, 1977, 6.
[15]. Ivi.
[16]. Cfr la serie C. M. Schulz, Ho tanto bisogno di amici, Milano, Bompiani, 1964, dove c’è la famosa definizione: «Un amico è uno che capisce perché ti piace la granita di menta… senza la menta» (ivi, 40).
[17]. C. M. Schulz, È domenica, Charlie Brown!, cit., 22. Lucy è la controfigura di Joyce, la prima moglie di Schulz… Era una ragazza madre, che egli sposa e ne adotta con affetto la bambina. Da lei avrà quattro figli.
[18]. Id., Caro amico di matita, cit., 20 s. Cfr G. Pani, «Caro van Beethoven», in Civ. Catt. 2020 III 314-320.
[19]. D. Michaelis, Schulz e i Peanuts…, cit., 605.
[20]. Ivi, 243.
[21]. Cfr C. M. Schulz, What Next, Charlie Brown?, London, Hodder Fawcett, 1980.
[22]. Cfr, fra i tanti, Id., Snoopy e lo sport, Milano, Baldini & Castoldi, 2002.
[23]. Id., La vita è come un gioco, Charlie Brown!, Milano, Rizzoli, 1976.
[24]. P. D. Kramer, «Sciocchezze!», in A. Blauner (ed.), Peanuts…, cit., 88.
[25]. C. M. Schulz, My Anxieties have Anxieties, Holt, Rinehart and Winston, 1977, 1991.
[26]. A. Gopnik, «Misericordie», in A. Blauner (ed.), Peanuts…, cit., 28.
[27]. C. M. Schulz, Arriva Joe Falchetto, Milano, Rizzoli, 1977.
[28]. Il nome gli è dato dalla madre di Schulz, norvegese, sul letto di morte: «Se avremo un cane lo chiameremo Snupi»; il termine norvegese significa «tenerezza» (cfr D. Michaelis, Schulz e i Peanuts…, cit., 167).
[29]. Cfr C. M. Schulz, Arriva Joe Falchetto, cit., 22.
[30]. Ivi, 85.
[31]. Ivi, 108 s.
[32]. Cfr ivi, 93-95; 119; 121.
[33]. C. M. Schulz, A noi due, stupido gatto, Milano, Rizzoli, 1977.
[34]. Id., «Bleah!», Milano, Rizzoli, 1977; l’originale è del 1960.
[35]. Cfr ivi, 63.
[36]. Cfr ivi, 120-126.
[37]. Cfr Id., La coperta di Linus, Milano, Rizzoli, 1977.
[38]. Cfr Id., Peanuts. Le indimenticabili pagine domenicali, Milano, Mondadori, 2013, 66; 122; 142; 192 ecc.
[39]. Cfr Id., La coperta di Linus, cit., 76.
[40]. P. D. Kramer, «Sciocchezze!», in A. Blauner, Peanuts…, cit., 91.
[41]. Cfr C. M. Schulz, È domenica…, cit., 46.
[42]. Cfr Id., Fiocca, la neve fiocca, Milano, Rizzoli, 1979.
[43]. D. Michaelis, Schulz e i «Peanuts»…, cit., 512.
[44]. Ivi, 545.
[45]. C. M. Schulz, Fiocca, la neve fiocca, cit., 19.
[46]. D. Michaelis, Schulz e i «Peanuts»…, cit., 542.
[47]. «Anzi, Peanuts è migliorato, acquistando spessore, rinnovandosi con prodigiosa dovizia di invenzioni» (F. Cavallone, «Prefazione», in C. M. Schulz, Fiocca, la neve fiocca, cit., 7).
[48]. Cfr C. M. Schulz, You’ve got to be kidding, Snoopy! (Selected Cartoons from «Speak softly, and carry a Beagle»), I, London, Hodder and Stoughton, 19834.
[49]. Id., È sempre lunedì, Milano, Rizzoli, 1981, 51.
[50]. Ivi, 43 s.
[51]. A. Blauner, «Prefazione», in I Peanuts…, cit., 14.
[52]. Cfr R. L. Short, Il Vangelo secondo Charlie Brown, cit., 67.