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Scrivere di Madeleine Delbrêl, ha detto il cardinale Martini, è scrivere di «una delle più grandi mistiche del XX secolo»[1]. E se è vero che lo stesso cardinale ha affermato che «la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?»[2], quando rileggiamo la vita di Madeleine possiamo affermare che in questa sua figlia, nella sua testimonianza di vita e nel suo pensiero, la Chiesa invece si è protesa in avanti di ottant’anni.
Quando Martini parlava di ritardo, si riferiva principalmente alla Chiesa in Europa e alla dimensione istituzionale. Diceva: «La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? […] Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. […] Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque»[3].
Madeleine è una di quelle grandi donne che riuniscono in sé la fedeltà di Maria Maddalena, l’audacia di Paolo, la generosità del buon samaritano, la fede e l’entusiasmo per Gesù e in Gesù di tanti personaggi del Vangelo. Molte delle sue proposte di vita cristiana in mezzo al mondo, per non dire tutte – soprattutto nei luoghi della periferia geografica ed esistenziale, come era la Ivry marxista di ottant’anni fa –, sono quelle che Francesco oggi attualizza nei suoi gesti e nei suoi scritti ufficiali.
Ritratto
Madeleine Delbrêl nacque il 24 ottobre 1904 a Mussidan (nella regione francese della Dordogna). E morì repentinamente, secondo coloro che le erano più vicini, il 13 ottobre 1964, nella sua casa di Rue Raspail 11, a Ivry-sur-Seine, la «città marxista» in cui trent’anni prima aveva scelto di andare a vivere e a servire con le sue compagne di comunità.
Jacques Loew, suo amico e divulgatore delle sue opere, ci propone il suo migliore ritratto, scritto da Krystyna W., compagna di Madeleine, di cui riportiamo un frammento: «Vista da lontano, presenta un profilo sottile, agile e fragile, ma il cui stesso andamento, così come ogni gesto, porta un segno di energia e di decisione. La si crederebbe un vecchio combattente il cui riflesso di essere pronto ad agire secondo gli ordini ricevuti ha lasciato tracce indelebili. Ci si avvicina a lei, ed ecco subito gli occhi: grandi, luminosi, color marrone chiaro, che vi guardano con attenzione vigile. […] Anche se non ne avevate voglia fino a quel momento, si schiude un colloquio, una conversazione, nel senso profondo ed etimologico di quelle parole. […] Se non siete capace di parlare, o se non ne avete bisogno, tutto può limitarsi ad una stretta di mano, a uno sguardo profondo. Ma se, lasciandovi attirare dalla sua espressione, affrontate infine l’immenso rischio di lasciare intravedere un poco della vostra gioia o della vostra pena, ecco tutto il viso che si anima, come se il vento facesse fremere la superficie trasparente dell’acqua: le espressioni della compassione, della comprensione autentica, della sofferenza realmente sentita, permettono di vedere, come attraverso ad una porta socchiusa, l’immensa strada che ha dovuto essere fatta per giungere ad un tale incontro»[4].
Figlia unica di Jules Delbrêl e Lucile Junière, Madeleine ereditò dal padre, ferroviere, il dinamismo, le capacità organizzative e il dono della comunicativa; dalla madre riprese invece la sensibilità, la fermezza e il fascino accattivante. I frequenti traslochi dovuti al lavoro del padre e la salute fragile fecero sì che Madeleine ricevesse un’educazione non convenzionale. A 12 anni fece la Prima comunione, desiderata e fervida, ma a partire da allora su di lei ebbero un forte influsso i rapporti con gli amici del padre, colti e non credenti; finì per dichiararsi atea quando aveva 17 anni. Un incontro importante nella sua vita fu quello con Jean Maydieu, un giovane con il quale ci fu un amore corrisposto, ma che la lasciò nel 1925 per entrare nell’Ordine domenicano.
Nel 1926 Dio fa breccia nella sua vita. Madeleine, folgorata, si converte. Dopo aver concluso, nelle sue riflessioni, che l’esistenza di Dio non è rigorosamente impossibile, decide di trattarlo come una persona viva e, di conseguenza, comincia a pregare[5]. Lei stessa attesta che il Vangelo, con cui l’abate Jacques Lorenzo l’aveva aiutata a confrontarsi, «le scoppiò» nel cuore e la trasformò da atea riguardo a un Dio astratto a credente nel Dio vivo, una persona che, come dice santa Teresa, si può amare.
Nel 1933, ottenuto il diploma in infermeria e dopo essere stata ammessa alla Scuola pratica di servizio sociale, Madeleine va a stabilirsi per sempre nel comune di Ivry. La accompagnano Suzanne Lacloche ed Hélène Manuel: esse fanno insieme la scelta di vivere il Vangelo tra la classe operaia e di mettersi al servizio della parrocchia di San Giovanni Battista[6]. Nel 1943 fa visita alla sua comunità padre Jacques Loew. Tra loro si instaura una stretta amicizia e collaborazione. Nel dicembre dello stesso anno Madeleine pubblica Missionari senza battello. Fino al 1946, quando decide di dedicarsi a tempo pieno alla sua comunità, svolge un’attività instancabile di servizio sociale, dapprima in forma privata e poi attraverso incarichi pubblici sotto diversi amministratori locali, marxisti o antimarxisti che fossero, sempre rispettata e ricercata da tutti[7]. Resiste alla «tentazione marxista»: lavora gomito a gomito con tutti, ma alla luce del suo amore per Gesù Cristo e per la Chiesa. La sua fedeltà al Papa, nell’agosto 1952, la conduce pellegrina a Roma per pregare in San Pietro per il rinnovamento missionario che è sorto in Francia, affinché mantenga l’unità con la Chiesa. Nel 1953 compie un nuovo pellegrinaggio mentre si manifesta la crisi del movimento dei preti operai, al fine di intercedere per loro presso Pio XII. Nel 1961 apre una fraternità in Costa d’Avorio, dove si recherà in seguito, nonostante i suoi problemi di salute. Nel 1962, in vista del Concilio, le viene chiesto un contributo sulle forme dell’ateismo contemporaneo. Madeleine manda un dossier su «Ateismo ed evangelizzazione» pochi giorni prima che si inauguri la sessione conciliare. Muore nel 1964. Nel 1996 viene dichiarata Serva di Dio.
Madeleine e papa Francesco
Francesco confessa che in gioventù non aveva conosciuto bene la vita e gli scritti di Madeleine, ma è rimasto impressionato da quella «gran donna» per «come si inseriva nelle borgate più povere»[8].
Possiamo ricordare due episodi di Francesco in cui viene menzionata la venerabile. Nel febbraio 2015 papa Francesco e gli altri membri della Curia romana si sono ritrovati ad Ariccia, nella Casa Divin Maestro dei religiosi paolini, per gli Esercizi Spirituali. Il ritiro quaresimale era dedicato alla vicenda del profeta Elia; ma «insieme ad Elia, c’è stata anche una “compagna” di viaggio per gli esercizi della curia. Sul programma preparato per l’occasione dalla Prefettura della Casa pontificia, accanto all’immagine di un’icona raffigurante il profeta e il suo carro di fuoco, c’è un breve scritto della mistica francese Madeleine Delbrêl. “La vera solitudine”, si legge tra l’altro, “non è l’assenza degli uomini, è la presenza di Dio” e, ancora, “non c’è solitudine senza silenzio. Il silenzio: talvolta è tacere, sempre è ascoltare”»[9].
Il Papa inoltre ha citato espressamente Madeleine nell’udienza ai sacerdoti della diocesi di Créteil, invitandoli a rivolgersi alla sua intercessione: «Chiedete con insistenza allo Spirito Santo di guidarvi e illuminarvi: Egli vi aiuti, nell’esercizio del vostro ministero, a rendere la Chiesa di Gesù Cristo amabile e amorevole, secondo la bella espressione della venerabile Madeleine Delbrêl[10]. Con questa forza che viene dall’alto, sarete spinti ad uscire per farvi ogni giorno più vicini a tutti, in particolare a quanti sono feriti, emarginati, esclusi»[11].
Madeleine Delbrêl è una delle sante della porta accanto di cui il Papa parla sempre: una donna che ha scelto di spendere la vita nei sobborghi poveri, marxisti e atei di Ivry. È la donna che, per sentire la voce di Dio, non va nel deserto sabbioso, ma in mezzo alle folle, per la strada, nella metropolitana, nei quartieri più poveri; ci va con la disposizione a essere sorella di tutti e a servire tutti ascoltando ciascuno, a imparare a sentire la voce di Dio che parla sempre attraverso i più piccoli e più abbandonati.
Scrivere di Madeleine Delbrêl significa un continuo disfare la strada percorsa verso la letteratura per ricongiungersi alla strada che porta verso il Vangelo. Nella faticosa opera di correzione che ha contrassegnato i suoi scritti si nota come il proposito di Madeleine non sia di carattere letterario, ma piuttosto quello di eliminare tutto ciò che possa togliere la parola a Dio. Meditando sul silenzio, lei farà notare che il silenzio è attivo: ascolto attivo di Dio. Né i rumori normali né le parole normali della vita lo impediscono. A precluderlo è l’atteggiamento di chi con le proprie parole toglie la parola a Dio. Un Dio che sa parlare attraverso i più piccoli. Il 15 marzo 1956 Madeleine dichiara che non ha scritto per il piacere di farlo: si è sforzata in tutti i modi di «evitare di cadere, un giorno o l’altro, nella “letteratura”, il che mi parrebbe il peggiore dei mali»[12]. Perciò, quando scrive, dice di non voler fare un lavoro di sintesi, ma, piuttosto, lasciare che si costituisca – seguendo la vita – un dossier su diversi aspetti della questione.
Se Madeleine vivesse oggi, potremmo dire che ciascuna esortazione apostolica ed enciclica del Papa si sarebbe attagliata a meraviglia al suo carisma e alle sue aspirazioni. A questo proposito, don Luciano Luppi afferma: «Nel leggere oggi la Evangelii gaudium di Papa Francesco o Fratelli tutti alla luce di molti passi delle opere della Delbrêl, si registra una sorprendente consonanza tra i due. Eppure sono passati decenni da allora. Perché? Le motivazioni potrebbero essere molteplici. Papa Francesco e Madeleine Delbrêl hanno in comune diverse cose: la vicinanza agli insegnamenti spirituali di san Francesco e sant’Ignazio; una lettura del Vangelo non astratta o spiritualistica, ma preoccupata di aderire profondamente alla concretezza del Vangelo come a quella della vita; la volontà di lasciarsi interpellare dal dolore dei poveri, scegliendo di condividerne la marginalità e piccolezza; la viva coscienza del Vangelo come di una notizia sorprendente e decisiva, di cui il cristiano non può non sentirsi in debito verso tutti»[13].
Una Chiesa che «si edifica»
Un fatto singolare nella vita di Madeleine aiuta a comprendere la sua concezione della Chiesa. Nel 1952 lei fece un viaggio lampo a Roma, per andare a pregare sulla tomba di Pietro. Aveva manifestato alle compagne il bisogno di pregare per la Mission de France. Era convinta che ai preti operai stesse venendo meno il fondamento della preghiera e aveva sentito la necessità di compiere un pellegrinaggio a Roma, di andare a pregare sulla tomba di san Pietro. Lo faceva per chiedere che non andasse perduta la grazia dell’apostolato che era stata data alla Francia, e che invece essa si mantenesse nell’unità e venisse riconosciuta e rafforzata dalla Chiesa. Tuttavia, qualcuno le fece presente che poteva essere costoso recarsi a Roma soltanto per pregare poche ore in San Pietro.
In quella stessa settimana un’amica sudamericana di Madeleine, che aveva fatto visita alla comunità, non essendo riuscita ad acquistare dei fiori che avrebbe voluto donare alla comunità, comprò un biglietto della lotteria. Lo lasciò sul tavolo e nessuno vi fece caso, finché non si scoprì che si trattava di un biglietto vincente. E che valeva proprio la somma necessaria per il viaggio di Madeleine! Sicché lei viaggiò per due giorni e due notti, passò 12 ore quasi ininterrotte in preghiera rivolta a san Pietro – à cœur perdu… et à perdre cœur, «con il cuore in mano… e inizialmente perdendo il mio cuore» – e infine fece ritorno in patria. E nel corso di queste ore avventurose non sospettava che un certo Jean Guéguen la stesse aspettando alla Stazione Termini, quel 6 maggio 1952, con un invito a una udienza di Pio XII.
Nella prefazione alla sua biografia di Madeleine, Guéguen racconta che nel marzo 1952 un’amica di Madeleine, conosciuta di passaggio a Roma, gli aveva scritto chiedendogli di accogliere Madeleine che sarebbe arrivata nella Città eterna. Guéguen andò a prenderla alla Stazione, ma poiché non fu in grado di riconoscerla, non si incontrarono[14]. Tornato a casa, Jean mise l’invito all’udienza papale in una busta e la inviò a Madeleine all’indirizzo di Ivry. Quando la destinataria lo ricevette, scrisse una lettera al Papa per chiedergli scusa, e così ebbe inizio l’amicizia con Jean Guéguen[15]. L’anno dopo egli l’aiutò a ottenere un colloquio con il Pontefice. Possiamo leggere questa vicenda come un esempio della distanza temporale che c’è tra ciò che lo Spirito opera nel cuore di un umile membro del popolo fedele di Dio e quello che compie nell’apparato ufficiale della Chiesa gerarchica. L’aspetto interessante non è la distanza, ma il buono spirito con cui la vive la diretta interessata. Nel libro Noi delle strade Madeleine narra che era andata a Roma per pregare e non per chiedere «lumi», ma alcune cose le si erano imposte con la forza di una missione[16]. La prima era che Gesù aveva tanto parlato della potenza dello Spirito Santo e della sua attività riguardo alla Chiesa da dire che l’avrebbe edificata su Pietro, il quale sarebbe diventato come una pietra. «Pietro: una pietra a cui è stato chiesto di amare». «È pensiero del Cristo che la Chiesa non sia soltanto qualcosa di vivente, ma qualcosa di edificato»[17].
Questa rivelazione, che le si impone con chiarezza, riguardo alla volontà di Cristo che la Chiesa non debba essere soltanto viva ma anche «edificata», risuona in tutte le dimensioni e le azioni della vita di Madeleine. Ne mettiamo in evidenza quattro. Anzitutto, per costruire la Chiesa è necessario «fare posto a Dio». Non necessariamente un posto grande: basta lasciargli aprire una breccia, da cui egli possa entrare nella nostra vita. Secondo: per costruire la Chiesa ci si deve collocare. Non da qualsiasi parte e nemmeno in tutto lo spazio, ma proprio là dove lo Spirito ha aperto la breccia. A volte abbiamo confuso lo spirito di andare a tutti i popoli con la conquista del mondo intero, mentre di fatto ci sono posti in cui bisogna rimanere e altri dove dobbiamo scuotere la polvere dai nostri sandali, almeno finché non arriverà il momento favorevole. In terzo luogo, per costruire la Chiesa bisogna andare in profondità, e questo va fatto con la preghiera e con la conversione. Infine, per costruire la Chiesa occorre includere tutti.
La breccia: consentire a Dio di farsi spazio
Per costruire la Chiesa, occorre permettere al Signore di farsi spazio. Anni dopo Madeleine ricorda: «“A vent’anni fui letteralmente ‘abbagliata da Dio’; ciò che avevo trovato in Lui non l’avevo trovato in nient’altro. È l’abate Lorenzo che, per me, ha fatto esplodere il Vangelo… Esso è diventato non soltanto il libro del Signore vivente, ma il libro del Signore da vivere”»[18].
Madeleine scopre un Signore che sta dalla parte della vita. Un Dio che non respinge la danza, la poesia, la musica, la letteratura, il teatro, la filosofia ecc. Adesso che vede la vita in questo modo, ogni minuto acquista un’importanza unica. Grazie all’abate Lorenzo, Dio abbagliò Madeleine, e il Vangelo si fece strada nella sua vita non come una luce calata dall’alto nell’oscurità di un bosco, ma come una luce che «scoppia», come un’onda luminosa che si propaga da dentro a fuori. Così Madeleine concepirà la missione del cristiano come quella di dare vita e salute a chi non le ha mai avute o non le ha più. Lei afferma: «Ma se anche i cristiani devono ricevere la Grazia in se stessi, pregare e soffrire affinché la evangelizzazione del mondo sia efficace, affinché i peccatori siano salvati, questo non può dispensarli dall’essere, ciascuno sulla sua frontiera con il non credente con il quale confina = breccia per il Vangelo»[19].
Il fatto di ricevere la grazia in sé è in tensione con l’essere breccia affinché la grazia arrivi agli altri. Non si tratta soltanto di «venire» illuminati dal Vangelo, ma, al tempo stesso, di essere «breccia» per far passare questa luce agli altri. E non soltanto si deve farla passare, ma bisogna anche discernere dove essa già opera: «Discernere in ogni persona ciò che è luce, anche frammentaria, anche distorta. Essere coscienti del fatto che è difficile strappare la zizzania senza strappare il buon grano. Cercare di mettere in ogni persona sempre più buon grano senza occuparsi della zizzania. Rispettare ciascuno: non sporcare il suo ideale a causa delle sue disillusioni o dei suoi rancori. Non combattere il male ma seminare un po’ di vita dove esso si trova, giacché il male è assenza di bene»[20].
Situarsi
Per costruire la Chiesa, occorre situarsi. Madeleine è stata una donna situata, che ha trovato il suo posto nel mondo e vi ha messo le radici, ha dato frutto. Il luogo è in relazione non soltanto con la costruzione, ma anche con le cose superflue che vanno messe da parte affinché la vita cresca in ciò che è essenziale. Si va a vivere nei quartieri poveri, perché la Parola va annunciata in quello spazio di prossimità e di vicinanza.
Si resta comunque stupiti da come questa sua decisione sia guidata da un’idea semplice e tradizionale: quella del male come assenza di bene. La sua decisione si concretizza nell’andare a vivere là dove, più che esserci il male, c’è assenza di bene. Senza preoccuparsi della zizzania, si va a seminare un poco di bene e di vita dove ce n’è bisogno. Non si tratta di andare a strappare via la zizzania, ma di seminar(si) come un po’ di grano buono. L’esatto contrario dell’allontanarsi dal mondo e andare nel deserto per vivere lì la propria santità. Per Madeleine, il luogo dove Dio ama stare è in mezzo agli uomini. Lei si trasforma quindi nella donna che continuamente mette la sua vita come lievito nella massa. Madeleine si colloca in mezzo al suo popolo per far posto a Dio con l’azione e con la parola.
L’azione con cui Madeleine fa posto all’operare di Dio si richiama allo stile delle beatitudini. In «Beati i miti» lei afferma: «Per compiere la tua opera sulla terra tu non hai bisogno delle nostre azioni sensazionali, ma d’un certo volume di sottomissione, d’un certo grado di arrendevolezza, d’un certo peso di cieco abbandono, situato non importa dove tra la folla degli uomini. E se in un sol cuore si trovassero congiunti tutto questo peso di abbandono, questa sottomissione e questa arrendevolezza, l’aspetto del mondo cambierebbe, certamente. Perché questo solo cuore ti aprirebbe la strada, diventerebbe la breccia per la tua invasione, il punto debole dove cederebbe la rivolta universale»[21]. L’invasione di cui parla Madeleine ricorda ciò che dice papa Francesco sul «traboccamento della Misericordia»: «Si tratta di discernere il punto concreto – di apertura, di fragilità, di abbassamento – che permette i traboccamenti di Dio. Quando diciamo “punto concreto”, ci riferiamo al fatto che il traboccamento può avvenire sia per un intervento al momento giusto, sia per un cambiamento di tono, o forse per un gesto di abbassamento e/o di avvicinamento all’altro, che sbilancia ciò che bloccava la relazione vitale»[22].
Andare in profondità
Per costruire la Chiesa è necessario andare in profondità. A partire dal 1933, quando si stabilisce a Ivry, Madeleine passa dall’idea di una «missione in estensione», che implica partenze verso luoghi lontani, sradicamento e nuove fondazioni, a quella che lei chiama una «missione in profondità»[23]. Lo spiega, meglio che in qualsiasi altro scritto, in un breve ritratto di santa Teresina del Bambino Gesù: «Forse Teresa di Lisieux, patrona di tutte le missioni, fu designata a vivere all’inizio di questo secolo un destino in cui il tempo era ridotto al minimo, gli atti ricondotti al minuscolo, l’eroismo indiscernibile agli occhi che lo vedono, la missione limitata a qualche metro quadrato: e ciò perché ci insegnasse che certe efficacie sfuggono alle misure dell’orologio, che la visibilità degli atti non sempre li recupera, che alle missioni in estensione stavano per aggiungersi quelle in densità al fondo delle anime umane, in profondità, là dove lo spirito dell’uomo interroga il mondo e oscilla tra il mistero di un Dio che lo vuole piccolo e spoglio e il mistero del mondo che lo vuole possente e grande. Prova a sé sola che consolidare un impegno missionario presso al marxismo non è un puntello, un rinforzo artificiale, ma una ripresa di forze vitali nel luogo stesso dove si vuole minare la fede»[24].
In un discorso rivolto alle sue compagne di comunità nel 1956[25], Madeleine presenta alcune riflessioni molto belle e pratiche su come sfruttare i momenti in cui Gesù ci si fa vicino per far posto a Dio nel nostro cuore. Il discorso è sulla preghiera, perché è nella preghiera che Gesù si avvicina a noi, ed è lì che maturano l’apertura del Regno e la nostra capacità di entrarci. Madeleine affronta un problema molto attuale: non abbiamo né tempi né spazi adeguati per pregare. Non li abbiamo quali ce li immaginiamo quando pensiamo come dovrebbero essere un luogo o un tempo di preghiera, ovvero secondo un’immagine un po’ idealizzata della vita contemplativa. Madeleine ci mostra che la preghiera è un incontro con il Dio vivo: quando preghiamo, «incontriamo il Cristo vivo»[26]. E per le persone vive ci sono sempre tempo e spazio, anche se non corrispondono a quelli ideali (e se non ci sono, si possono creare).
Qui Madeleine fa una considerazione molto interessante su una vicinanza che, se non avviene «orizzontalmente», può sempre aver luogo «con primati di profondità»[27]. Ricorda che nei tempi antichi, per procurarsi calore, bisognava bruciare legna o estrarre carbone, e questo richiedeva che si lavorassero grandi estensioni di territorio. Oggi si «trivella» un pozzo petrolifero e si ottiene un combustibile ancora migliore. In sostanza, è il desiderio di calore e di energia che muove a cercare i mezzi per farlo al meglio. Nella preghiera avviene lo stesso: è il desiderio di Gesù – del suo calore e della sua energia vitale – che crea spazi di preghiera e fa sì che si scorgano momenti maturi ovunque ci si trovi.
Ecco cosa dice Madeleine sugli spazi e sui tempi per pregare: «Il ritiro nel deserto può consistere in cinque fermate di metrò alla fine di un giorno in cui avevamo “trivellato” un pozzo [approfondendo il nostro desiderio di Gesù] verso questi minimi istanti. Per contro, il deserto stesso può essere senza “ritiro”, se abbiamo aspettato di esserci per desiderare l’incontro col Signore. Le nostre andate e i nostri ritorni – e non soltanto quelli reali che si fanno da un luogo a un altro luogo, i momenti in cui siamo costretti ad attendere – sia per pagare a una cassa o perché si renda libero il telefono o perché si faccia del posto in un autobus, sono momenti di preghiera preparati per noi nella misura in cui noi siamo preparati per essi. Averli sprecati perché non vi eravamo pronti, può essere stimato per ciò che è: un peccato veniale. Ma se un giorno, col Signore, non si tratterà più di peccato ma d’amore, forse prenderemo coscienza di essere state delle ridicole amanti»[28]. «Ridicole amanti»! Madeleine coglie l’essenziale e lo esprime al meglio. Chi ama impara presto dai propri errori senza bisogno che qualcun altro glieli rinfacci.
La vicinanza o lontananza dal Regno, nella visione del mondo della Delbrêl, è questione di amore. Chi è innamorato custodisce e accresce tutto il giorno il desiderio di incontrare la persona amata, e non perde l’opportunità di un incontro, anche se sarà breve. D’altra parte, se si tratta di un incontro casuale, in cui c’è pochissimo tempo, lo sfrutta nel modo migliore, e ne ricava una gioia più grande che se esso fosse pianificato e avesse tutto il tempo del mondo. Continua Madeleine: «Ci vorrebbe una moltitudine di paragoni per far comprendere che nel Vangelo non è il tempo ciò che conta di più. Fra persone che si amano, il tempo per dirselo è stato talvolta brevissimo. Ciascuno è forse dovuto ripartire per il suo lavoro o per un altro dovere: questo lavoro e questo dovere non saranno stati altro che l’eco di poche parole dette in pochi minuti. Se abbiamo perduto qualcuno che amavamo e ne ritroviamo una lettera, delle note che ci dicono un po’ della sua vita, ci sembra di avere trovato un tesoro. E il nostro spirito ne diventa veramente pieno come se fosse un tesoro. E se per caso queste note riguardassero ciò che quella persona pensava di noi, pensava per noi, desiderava che noi facessimo, esse diventerebbero il nostro pensiero dominante. […] Il Vangelo è un po’ tutto questo per noi o, almeno, dev’esserlo. Se lo vogliamo studiare dal punto di vista storico o critico, il Vangelo ci richiederà del tempo. Se vogliamo approfondire ciò che nella dottrina della Chiesa si riferisce a certi passi del Vangelo, anche questo ci richiederà un certo tempo. Ma se nel Vangelo cerchiamo – il che non c’impedisce di cercare il resto – qualcosa del Signore vivo che ancora ignoriamo: la sua parola, il suo pensiero, il suo modo di fare, ciò che vuole da noi; insomma, più lui stesso, questo lui stesso che noi cerchiamo dovunque egli ci dice di essere e che non troviamo mai quanto vorremmo, non è di tempo che avremo bisogno. O più esattamente: è di tutto il nostro tempo che in un certo senso avremo bisogno. Infatti, vivere non esige tempo: si vive tutto il tempo, e il Vangelo – qualunque cosa significhi per noi – deve essere prima di tutto vita. Per compiere la loro opera di vita in noi, le parole del Vangelo che abbiamo letto, che abbiamo pregato, che abbiamo forse studiato, bisogna portarle in noi il tempo che gli è proprio, perché la luce che gli è propria ci illumini e vivifichi»[29].
Includere
Per Madeleine, un modello attuale di inclusione è Charles de Foucauld. «Per questi uomini [come de Foucauld] l’amore di Gesù Cristo conduce all’amore di tutti i fratelli […]. Non attende risultati. Non si turba del proprio completo fallimento. Conserva la sua pace anche quando, dopo aver vissuta tutta una vita nel deserto, il suo solo bilancio è l’incerta conversione di un Africano e d’una vecchietta. Egli ama per amare. Perché Dio è amore. Perché Dio è in lui. Perché amando “sino alla fine” tutti i fratelli egli imita, per quanto è possibile, il suo Signore»[30]. «Signore, fa’ che tutti gli uomini giungano al cielo» è la prima preghiera che Charles si propone di insegnare ai catecumeni che non avrà mai[31]. Per Madeleine, de Foucauld ha risuscitato per noi «la figura fraterna a tutti di Gesù in Palestina, mentre accoglieva nel suo cuore, a seconda delle strade, gli operai e i dotti, gli ebrei e gli stranieri, i malati e i fanciulli, così semplice da essere leggibile a tutti. Egli ci insegna che, accanto ad apostolati necessari in cui l’apostolo deve rivestirsi dell’ambiente da evangelizzare e quasi sposarlo, esiste un altro apostolato che esige una semplificazione di tutto l’essere, un rifiuto di tutto ciò che si è acquisito anteriormente, di tutto il nostro io sociale: una povertà vertiginosa. Questa specie di povertà evangelica e apostolica rende totalmente agili per raggiungere su qualsiasi terreno qualsiasi nostro fratello, senza che alcun bagaglio innato o acquisito ci impedisca di correre verso di lui. Accanto all’apostolato specializzato, egli pone l’istanza di farsi tutto a tutti»[32].
Nella sua «liturgia senza ufficio», Madeleine prega, in una notte tra il 1949 e il 1950, nella quale va con le compagne in un caffè e osserva tante persone che «son qui soltanto per non essere altrove»: «Dilataci il cuore, perché vi stiano tutti; incidili in questo cuore, perché vi rimangano scritti per sempre»[33]. Per edificare la Chiesa bisogna includere tutti. La presenza di tutti è il desiderio fondamentale, quotidiano, e a dare la misura e le strutture dell’edificazione sarà l’impegno per rendere reale tale inclusione di tutti, uno a uno. L’«uno a uno» è un universale concreto: è dove trabocca la misericordia di Dio.
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MADELEINE DELBRÊL (1904-1964.) To build a more amiable and loving Church
According to Card. Martini, Madeleine Delbrêl was one of the greatest mystics of the 20th century. Pope Francis told the priests of Créteil: «[May the Spirit] help you […] to make the Church of Jesus Christ amiable and loving, according to the beautiful expression of the Venerable Madeleine Delbrê.l» In order to build such a Church, Madeleine emphasises four things: 1) It is necessary to «make room for God,” so that he can enter our lives. 2) We must «situate ourselves» where the Spirit has opened the breach. 3) We must enter deeply prayer and conversion. 4) Everyone must be included in the Church.
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[1]. Cfr D. Rocchetti, «Madeleine Delbrêl, una donna di fuoco», in www.amicidilazzaro.it/index.php/madaleine-delbrel-una-donna-di-fuoco
[2]. Cfr G. Sporschill – F. Radice Fossati, «Chiesa indietro di 200 anni», in Corriere della Sera, 1 settembre 2012.
[3]. Ivi.
[4]. M. Delbrêl, Noi delle strade, Milano, Gribaudi, 1969, 8 s, con l’introduzione di Jacques Loew, del 1957.
[5]. Cfr ivi, 17; M. Delbrêl, Ville marxiste, terre de mision, Paris, Cerf, 1957, 225 (in it. Città marxista, terra di missione, Torino, Gribaudi, 1958).
[6]. Il nome che Madeleine e le sue prime compagne, nel 1933, diedero alla loro comunità di donne laiche fu la Charité de Jésus, la «Carità di Gesù». Il gruppo non era legato ad alcuna organizzazione, non prevedeva né voti né promesse ufficiali. La vita comune era molto intensa; aveva lo scopo di essere uniti il più possibile a Cristo nel bel mezzo del mondo, di imitarne la vita, di obbedire al Vangelo e trasmetterlo. Questo richiedeva una vita di preghiera forte e che ci si lasciasse condurre dalla carità verso un agire sempre più concreto, che nel prossimo vedeva un fratello, lo trattava senza tatticismi, ma con tutto l’amore di Gesù. Cfr M. Delbrêl, «Risposta a una richiesta di informazioni a proposito della sua vita», in https://bit.ly/3hVCXUX
[7]. Nel 1937 ottiene, con il massimo dei voti, il diploma di assistente sociale. La sua tesi su «Ampiezza e indipendenza del servizio sociale» viene subito pubblicata. Nel 1938 scrive la preghiera «Noi delle strade» per la rivista Études Carmelitaines. Il 21 settembre 1939 viene nominata assistente sociale del comune di Ivry. Nel 1947 l’amministrazione comunale comunista viene destituita, e Madeleine passa a coordinare tutto il servizio sociale. Al ritorno dei comunisti, nel 1944, continuerà il suo lavoro collaborando con loro.
[8]. Conversazione privata con l’autore.
[9] . Cfr C. Santomiero, «Francesco agli esercizi: in compagnia di Elia e Madeleine Delbrêl».
[10]. M. Delbrêl, «L’Église, il faut s’acharner à la rendre aimable. L’Église, il faut s’acharner à la rendre aimante», in Id., Nous autres, gens des rues, Paris, Seuil, 1995, 137. «Occorre tutto l’impegno possibile perché la Chiesa sia resa amabile [e] amante. Il suo amore è in gran parte alla nostra mercé. “È nelle anime che la Chiesa è bella”, dice sant’Ambrogio» (M. Delbrêl, Noi delle strade, cit., 146).
[11]. Francesco, Discorso ai sacerdoti della diocesi di Créteil, 1 ottobre 2018.
[12]. M. Delbrêl, Che gioia credere!, Milano, Gribaudi, 1969, 12.
[13]. L. Luppi, «Delbrêl, la mistica che amava le periferie come Bergoglio», in Credere, 15 marzo 2015, 48-51.
[14]. Cfr J. Guéguen, Madeleine Delbrêl. Una mistica nel mondo, Milano, Massimo, 1997, 6-8.
[15]. «Jean divenne l’uomo di fiducia e il facilitatore dei contatti mentre era a Roma e poi negli anni successivi. Frequentò spesso rue Raspail 11 a Ivry, ed entrò in intimo contatto con le “Équipes Madeleine Delbrêl” dopo la morte della fondatrice, avvenuta il 13 ottobre 1964» (G. François, «Décès du père Jean Guéguen, premier postulateur de la cause en béatification de Madeleine Delbrêl», in Église catholique en Val-de-Marne [https://bit.ly/36qm5R7).
[16]. Scrive Madeleine a Jean: «Quattro persone – che non conoscevo prima di questi ultimi anni – mi hanno aiutata senza un particolare motivo. Lei è di questi, e io posso dirLe che da Loro quattro, su piani diversi, ho ricevuto incomparabilmente più di quanto si possa immaginare» (M. Delbrêl, Che gioia credere!, cit., 19). Di che cosa si era «incaricata» Madeleine, quando gli scrisse: «Il mio incarico avviene per causa, dopo che di Dio, di Lei»? (traduzione nostra dall’originale francese). Forse, se non ci fosse stato Jean Guéguen, Madeleine sarebbe andata a Roma «solo» per pregare; per lei l’essenziale era quello. Ma Jean l’aveva «caricata» di una missione, mettendola in contatto con Pio XII e con il vescovo Veuillot. A partire da allora Madeleine si recò annualmente a Roma per i successivi 10 anni. Guéguen l’aveva aiutata a realizzare quell’«indispensabile andare e venire tra la gerarchia e i fedeli» senza cui la missione non avrebbe potuto prosperare. Soprattutto e al di là di questo, Jean fu anche l’amico inatteso negli anni molto difficili, dal 1955 al 1958, in cui la «Carità» era in crisi e a Madeleine era venuto meno ogni sostegno. Allora quattro persone la aiutarono «senza motivo»: quattro persone provvidenziali, mentre viveva con grande difficoltà questo tempo di grande dolore e isolamento (cfr J. Guéguen, Madeleine Delbrêl, cit., 19).
[17]. M. Delbrêl, Noi delle strade, cit., 134-136.
[18]. Cfr D. Rocchetti, «Madeleine Delbrêl, una donna di fuoco», cit.
[19]. M. Delbrêl, «Lettera del 18 aprile 1951 a padre J. Loew», in Id., Insieme a Cristo per le strade del mondo, vol. 2: Corrispondenza 1942-1952, Milano, Gribaudi, 2008, 167.
[20]. Ivi, 176 s.
[21]. Id., Che gioia credere!, cit., 46.
[22]. D. Fares, «Il cuore di “Querida Amazonia”. “Traboccare mentre si è in cammino”», in Civ. Catt. 2020 I 535.
[23]. M. Delbrêl, Che gioia credere!, cit., 12.
[24]. Id., Noi delle strade, cit., 11-12.
[25]. Cfr Id., Che gioia credere!, cit., 223-237.
[26]. Ivi, 228.
[27]. Cfr ivi, 232 s.
[28]. Ivi, 234.
[29]. Ivi, 235 s.
[30]. Id., «Perché amiamo il padre de Foucauld», in Che gioia credere!, cit., 32 s.
[31]. Ivi, 35.
[32]. Ivi, 37 s.
[33]. Ivi, 220.