|
Il libro di Giuseppe Vacca, maggiore storico italiano del marxismo, è l’ultimo risultato di vent’anni di ricerche e di studi di testi e documenti che ripercorrono sei decenni di storia. Un periodo analizzato nell’ottica del confronto fra Democrazia cristiana e Partito comunista, della dialettica fra i leader delle due forze politiche.
L’autore dedica ampio spazio alla posizione del Pci nei confronti del Vaticano, al voto favorevole alla costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi, all’atteggiamento di Togliatti e alla sua capacità di riconoscere l’importanza del dialogo con il mondo cattolico dopo la scomunica ai comunisti emessa nel 1949 in seguito alle persecuzioni religiose da parte dei Paesi del blocco sovietico. La contrapposizione avrebbe significato una frattura nelle classi lavoratrici, largamente rappresentate dal Pci, e quindi anche nel tessuto sociale del Paese. La Chiesa, secondo Togliatti, poteva svolgere un ruolo importante nella politica di pace in un contesto internazionale di forte tensione a causa della guerra fredda e della minaccia atomica.
Il mondo diviso in due blocchi e i rapporti tesi fra Stati Uniti e Unione Sovietica influivano inevitabilmente sui rapporti fra i due partiti e sulla costruzione di una convergenza per una coalizione di governo. Per l’autore, il rapporto con l’Urss condizionò inevitabilmente le sorti del Pci, relegandolo a forza di opposizione. Per recidere quei vincoli non furono sufficienti le dissociazioni del Pci dalla politica estera sovietica in seguito all’intervento repressivo della «Primavera di Praga» da parte delle truppe del Patto di Varsavia, mentre il progetto dell’eurocomunismo di Berlinguer non prese mai realmente corpo, ma durò fino a quando fu alimentato dall’avanzata elettorale del Partito comunista.
Il Cremlino non vide mai di buon occhio il dialogo fra Berlinguer e Moro e il compromesso storico. Per ragioni diverse, anche altri Paesi del blocco atlantico – in particolare Stati Uniti e Gran Bretagna – osteggiavano l’apertura al Pci. Ma il principale ostacolo all’intesa Moro-Berlinguer era costituito dalle forze reazionarie interne ed esterne all’Italia e da manovre più o meno occulte di tentati golpe – anche di matrice britannica, secondo fonti storiche recenti, citate nel testo –, neutralizzati dagli Usa.
L’escalation della strategia della tensione, iniziata il 12 dicembre 1969 con la strage di piazza Fontana, mirava non soltanto a condizionare i rapporti di forza fra i partiti, ma anche a colpire il sistema democratico, mettendo in discussione il ruolo e l’esistenza della Democrazia cristiana. La crisi economica di quegli anni imponeva un’alleanza con il mondo del lavoro attraverso il movimento sindacale. Il compromesso storico non poteva rimanere una politica priva di una concreta proposta di governo, e a rompere gli indugi fu Berlinguer, che propose l’ingresso del Pci nella maggioranza. Un’iniziativa presa mentre all’interno della Dc si rafforzava la leadership di Moro.
Le dinamiche socio-economiche favorivano la formazione di un governo di grande coalizione. Inoltre, nel trentennale della Resistenza l’antifascismo rappresentava il nuovo orizzonte di una collaborazione Dc-Pci. Quando l’operazione, per la quale Moro non nascose le sue preoccupazioni, sembrava conclusa e la mattina del 16 marzo 1978 era fissata la presentazione del governo alle Camere, lo statista pugliese fu rapito dalle Brigate Rosse in via Fani e ucciso 55 giorni dopo.
Un certo pathos accompagna la ricostruzione nella parte finale del libro. La tragedia umana dell’assassinio di Moro coincise con la fine di una fase storica difficile e sofferta per la giovane democrazia italiana.
GIUSEPPE VACCA
L’Italia contesa. Comunisti e democristiani nel lungo dopoguerra (1943-1978)
Venezia, Marsilio, 2018, 346, € 19,00.