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Le due Italie di Francesco Occhetta

Le due Italie

Quaderno 4037 - pag. 440 - 441

30 Agosto 2018


Il volume ricostruisce il pensiero che ha nutrito il «qualunquismo», quel fenomeno politico e sociale del secondo dopoguerra italiano, cresciuto intorno al settimanale L’Uomo qualunque – fondato nel dicembre del 1944 e diretto dal commediografo Guglielmo Giannini – e alla forza politica che per un breve periodo di tempo ne fu espressione. A quel movimento si deve la nascita di questo termine, che indica il disprezzo per la politica, la diffidenza verso i politici, il disinteresse per un’ideologia o un’altra, l’apatia verso la costruzione del bene comune.

L’A., docente di Storia contemporanea e saggista, struttura il volume in tre capitoli, per analizzare la contrapposizione tra due culture politiche che hanno prima caratterizzato l’alba della Repubblica e poi nutrito le sue evoluzioni e involuzioni. Questo testo va letto in filigrana con una doppia lente, per comprendere ciò che nel presente c’è di quel passato e per cercare di pensarlo «altrimenti». Tra le tante tesi che emergono, qui ci limitiamo a sottolinearne cinque.

In primo luogo, le ragioni del «qualunquismo» nell’immediato dopoguerra sono riconducibili – questo è il giudizio di Norberto Bobbio, riportato dall’A. – all’immaturità politica del popolo italiano. Due erano le ragioni: «il politicantismo, da un lato, vale a dire l’abbassamento dell’attività politica a strumento dei propri buoni o cattivi affari personali, e l’apoliticismo, dall’altro, cioè l’indifferenza o addirittura l’irrisione per ogni pubblica attività» (p. 86).

In secondo luogo, emergono i tratti che fanno di questo atteggiamento il capostipite di quell’oggetto liquido e poroso che è il «populismo nostrano»: l’ambiguità politica, sospesa «tra ventate libertarie e pretese di stabilità condotte fino alle soglie, e forse oltre, dell’autoritarismo» (p. 60), la «richiesta di lavoro e di comodità personale» (p. 61), la leadership carismatica, il riferimento al popolo-vittima, a cui si contrappone «l’anti-eroe, il nemico, il non-popolo, espressione che raggruppa l’insieme delle élites dello stato» (p. 63).

Di qui, in terzo luogo, la sua aggressività verbale, vera e propria novità per quell’epoca e senza dubbio ragione non ultima delle 800.000 e più copie pubblicate dal settimanale.

In quarto luogo, la volubilità interna del partito di Giannini, così eterogeneo da saper rapidamente conquistare un vasto consenso (il 5,3% alle elezioni del 2 giugno 1946), che però viene perso altrettanto rapidamente – soprattutto a motivo della DC – il 18 aprile 1948. «Giannini si ritrova prigioniero d’una paralisi che gli impedisce ogni movimento: da una parte, l’avvicinamento ai liberali è sgradito all’ala neofascista accolta nel partito, dall’altra l’involuzione a destra è inaccettabile per lo stesso commediografo. […] È l’immobilità il prezzo da pagare per mantenere la messe di successi» (p. 100).

Infine, la difficoltà della democrazia nel comprendere il qualunquismo come spia di un malessere democratico. Eppure «il Fronte di Giannini sfida la neonata democrazia sul suo stesso terreno, le svela le proprie mancanze e le richiede rimedi; suggerisce che dove c’è antipolitica ci sono deficit del regime democratico, che in fondo l’antipolitica altro non è che una domanda di appartenenza e di integrazione, dalla cui presenza la democrazia stessa può ricavare “ragioni per la propria trasformazione”» (p. 62).

Come insegna la cultura contadina, tra il grano buono cresce sempre l’erba cattiva che cerca di soffocarlo. Occorre riconoscerla per estirparla, e il volume offre tutte le chiavi di natura culturale e politica per farlo.

ALBERTO GUASCO
Le due Italie. Azionismo e qualunquismo (1943-1948)
Milano, FrancoAngeli, 2018, 116, € 15,00.


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