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In questo libro Ernesto Galli della Loggia, storico, accademico e pubblicista, compie un viaggio nell’istruzione e nella sua storia (dall’Unità a oggi). Comunica la sua passione, i suoi ricordi, le sue amarezze, le sue attese. Esprime ammirazione per i maestri/e che hanno dato un lodevole contributo all’educazione degli italiani in tempi e in condizioni difficili. Ricorda la scuola elementare «Principessa Mafalda di Savoia» da lui frequentata a Roma, la scuola media «Ippolito Nievo» e il liceo «Goffredo Mameli». E ricorda con viva simpatia il professore di lettere antiche Filippo Pontani, che leggeva Tucidide e Orazio con ardore vivo e coinvolgente.
L’elemento autobiografico dà sapore al racconto, che è fatto di esperienza e di riflessioni. Ma non è solo questo. Il libro offre spunti su Rousseau, Gentile, don Milani, De Amicis, Orwell, su riformatori e rivoluzionari. È scevro da ogni conformismo.
Rousseau pubblica nel 1762 il romanzo pedagogico Emilio o dell’educazione. Si tratta di un’opera che caratterizza l’intero percorso dell’illuminismo e che va studiata «volgendo lo sguardo all’indietro, alla storia» per capire il nostro presente (p. 65). Scompare – sottolinea l’autore – la «contrapposizione tra anima e corpo, e sono quindi gettate le premesse per l’espulsione del cristianesimo dalla formazione della soggettività dei tempi nuovi» (p. 69).
Sulla scia di Luigi Meneghello e sulla scorta di documenti di cui oggi si dispone, l’autore libera il terreno da tanti equivoci. La riforma gentiliana, sostiene, non aveva nulla di fascista: Gentile mirava a formare «non l’uomo nuovo dell’Italia di Mussolini», ma «una soggettività umanistico-borghese, un individuo centro del mondo», non un cittadino «cieco gregario di un’idea o di un partito» (p. 98).
Don Milani è spinto all’azione e alla lotta da spirito di giustizia e di uguaglianza, da amore per il sapere, dalla volontà di promuovere il riscatto dei poveri, mettendo l’uomo al centro dell’impegno politico e pedagogico. L’autore considera utili le sue iniziative nell’ambito della scuola di base, ma estenderle all’intera scuola potrebbe significare «voler andare decisamente oltre le sue intenzioni» (p. 200).
Il discorso di Galli della Loggia è spesso attraversato da spirito polemico, talvolta può anche apparire ripetitivo, ma è sostenuto da efficaci riferimenti a esperti – non soltanto italiani – ed è denso di contenuti. Troppi i temi affrontati per poterli riassumere. In particolare, egli è infastidito da un dilagante pedagogismo e dal triste linguaggio dei burocrati. Non coglie nei documenti ministeriali una visione organica e coerente della scuola e della società, del sapere e della cultura.
Ma va detto che il suo discorso è e vuole essere costruttivo. Egli cita Francesco De Sanctis, per il quale la scuola aveva il compito di fare gli italiani e «fare di diversi popoli un popolo solo» (p. 86). E nella stessa pagina parla di laicità e respinge il laicismo esasperato, di impronta francese, che sopprime l’insegnamento scolastico della religione ed esclude la teologia dalle università.
Il libro ha un sottotitolo eloquente: Come l’Italia ha distrutto la sua scuola. L’autore evidenzia i mali che affliggono la scuola – in particolare, il personale mal pagato, scoraggiato, deluso –, ma ha la speranza che una scuola all’altezza dei tempi sia ancora possibile. In effetti, egli sostiene che «ogni istruzione vera, se vuole, può essere ed è un’educazione civica» (p. 89); e che bisogna credere «che nulla sia stato deciso una volta per tutte, che la “buona battaglia” resti ancora da combattere. Il tempo rimasto è poco, ma il destino della nostra scuola è ancora nelle nostre mani» (p. 235).
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola
Venezia, Marsilio, 2019, 240, € 18,00.