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Parlare della luce nell’arte cristiana in un contesto così ampio – dall’età paleocristiana al barocco – potrebbe provocare una certa preoccupazione, per il rischio di leggere, come oramai accade con frequenza, delle ovvietà. Con p. Dall’Asta però ciò non accade, anzi possiamo affermare che questo libro manifesta una grande maturità critica sia storico-artistica sia teologica. È il frutto di un lungo studio che da tempo l’A. sta conducendo sulla luce nell’arte cristiana e che lo ha portato anche ad essere tra gli organizzatori di un Convegno su questo tema, nel febbraio 2018, presso la Pontificia Università Gregoriana.
Sette capitoli compongono la struttura del libro. La scelta delle foto è essenziale: ciascuna permette al lettore di comprendere esattamente il dipanarsi del ragionamento estetico e teologico. Il punto di partenza, da intendersi come punto di osservazione privilegiato dal quale procedere, è costituito dalla spiegazione ermeneutica della luce nella tradizione biblica.
La dichiarazione d’identità della luce con Dio chiarisce che l’esperienza originaria dell’uomo, se da una parte è imprescindibile dalla luce, dall’altra lo pone in rapporto diretto con Dio in quanto creatore della luce stessa: «Sia la luce!» (Gn 1,3). A partire dalla parola di Dio, quindi, la luce diventa la storia dell’uomo. Dalla «discesa nell’oscurità del peccato, la luce divina sarà tuttavia sempre pronta a risplendere» (p. 13), arrivando a rivelarsi nella sua pienezza, realizzata nell’identità Cristo-Luce. «In lui la Parola di Dio si rivela come Persona. La Parola di Dio è la vera luce» (p. 15).
Seguire l’insegnamento di Cristo perciò diventa per ognuno «un lento venire alla luce» (p. 18), un viaggio da rinnovare nella fatica quotidiana fino al raggiungimento della meta, la Gerusalemme celeste, la città della luce. «Qui la luce permette di vedere la realtà nella sua verità, e Cristo si rivela nell’Agnello» (p. 22).
Il secondo capitolo è altrettanto importante per comprendere la chiave di lettura dell’utilizzazione della luce nei secoli successivi. L’A. completa la spiegazione teologica della luce attraverso le prime manifestazioni artistiche cristiane in ambito bizantino – architetture e mosaici –, dove il discorso include necessariamente la concezione neoplatonica della luce.
Dopo queste premesse, spiegate con densità di pensiero e chiarezza di linguaggio, il lettore può addentrarsi senza perplessità nel Medioevo: l’ordine logico della Summa Theologiae di san Tommaso introduce la luce nell’arte, trasfigurata poi dall’abate Suger nelle vetrate gotiche, dove lo spazio diventa luce.
L’utopia, nominata nel titolo del capitolo dedicato alla luce del Rinascimento, si riferisce, invece, alla scelta di introdurre obbligatoriamente la prospettiva per risolvere la visione armonica e oggettiva dello spazio. Di conseguenza, la tecnica studiata per mostrare l’incidenza della luce sulle cose diventa motivo di dibattito artistico.
L’introduzione del chiaroscuro e soprattutto poi, da parte di Leonardo, quella dello sfumato, per agevolare la percezione reale delle cose, favoriscono molteplici possibilità di soluzioni pittoriche, per esprimere non soltanto la luce naturale, ma anche quella divina.
Decisivo, quindi, nel capitolo successivo, risulta il lungo commento alla Pietà, ultima opera di Tiziano. Il dramma della morte di Cristo è bene espresso dal colore steso in modo non uniforme, dalle scaglie di luce e dalle forme fluttuanti di questo commovente dipinto non finito. La scena si svolge, però, in un giardino misterioso, avvolto da fasci di luce che mostrano il gesto della Vergine pronta a donare il corpo di Cristo all’umanità credente – raffigurata dall’uomo anziano (lo stesso Tiziano) –, che così si rigenera e può operare la propria rinascita in questo giardino della salvezza.
Dalla luce rinascimentale, simbolo della bellezza ideale, si arriva alla luce simbolo del dramma umano, espresso dall’intuizione di Caravaggio di mostrare di un evento il massimo di luminosità e il massimo di oscurità.
Questo percorso teologico e artistico si conclude con i cieli barocchi d’architettura e pittura, reali e illusionistici, delle chiese romane di Sant’Andrea al Quirinale, di San Carlino, del Gesù e di Sant’Ignazio. Si è davanti ad un’esplosione di luce che, grazie alle intuizioni astronomiche di Galileo, può illuminare spazi con nuove forme geometriche, come l’ellissi. La spiritualità ignaziana, invece, permette di mostrare senza più veli il corpo di Luce, ossia la visione del corpo di Cristo, espresso simbolicamente dal monogramma IHS.
ANDREA DALL’ASTA
La luce splendore del vero. Percorsi tra arte, architettura e teologia dall’età paleocristiana al barocco
Milano, Àncora, 2018, 240, € 32,00