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Questo nuovo libro di Anne-Marie Pelletier in versione italiana è benvenuto. L’Autrice infatti, docente di letteratura e di scienze religiose, esperta in ermeneutica biblica, è una delle voci più autorevoli nella Chiesa cattolica sulla cosiddetta «questione delle donne», la cui attualità e importanza non hanno bisogno di essere sottolineate. Sulle pagine di questa rivista si è già parlato di altri suoi scritti su tale argomento (cfr Civ. Catt. 2019 II 304-306; 2020 I 286-294; 2020 I 608). Naturalmente questo volume è in continuità con i precedenti, di cui abbiamo già dato una valutazione nettamente positiva. La competenza e la obiettività dell’A. riescono a far digerire ai suoi lettori una serie di considerazioni critiche circa la visione delle donne e l’atteggiamento verso di loro ben radicati nella tradizione della Chiesa – e anche nel suo magistero –, che spesso vengono rifiutate a priori o viste con grande diffidenza nel mondo cattolico.
In questo scritto Pelletier è sostenuta «dalla convinzione che un lavoro “archeologico” di memoria critica, debba essere svolto in parallelo – e forse anche in anticipo – rispetto agli attuali dibattiti sulla ridistribuzione dei posti e dei poteri nel corpo ecclesiale» (p. 13), al fine di «identificare le opzioni che sono venute alla luce nella storia senza essere dedotte dal messaggio evangelico – se non addirittura controcorrente – e che continuano a condizionare l’inconscio dei cristiani, frenando drammaticamente lo slancio vitale del Vangelo» (ivi). Perciò l’A. pone «alcune domande allarmanti su certi aspetti dell’eredità in cui viviamo, peraltro con gratitudine» (p. 15). Ci limitiamo a enumerare alcuni temi antropologici toccati – la superiorità maschile, la paura delle donne, l’impurità femminile, la segregazione dei sessi… – e i loro riflessi su grandi antichi temi teologici, come l’attribuzione della qualità di «immagine di Dio» alle donne come agli uomini e il modo di comprendere la verginità consacrata, una vera novità del cristianesimo. Successivamente vengono discussi gli effetti problematici (per la tradizione cristiana e più in generale biblica) della metafora coniugale riferita all’amore di Dio per il suo popolo e di Cristo per la Chiesa. Infine si affronta la questione di uno «specifico femminile», nozione assai cara al magistero ecclesiastico recente, ma altrettanto discussa nei dibattiti contemporanei.
Per quanto riguarda l’ermeneutica biblica, abbiamo trovato particolarmente interessanti ed efficaci le pagine dedicate alle ambiguità della «metafora coniugale», in particolare alle immagini violente della letteratura profetica sull’infedeltà, come pure quelle molto belle riferite al Cantico dei Cantici (sul quale l’A. aveva scritto la sua tesi dottorale) e alla «nuzialità» in esso cantata, che va al di là della «coniugalità». Qui Pelletier ci offre un contributo positivo profondo, che così si riassume: «È in questa nuzialità che si fonda definitivamente la coniugalità, ed essendo legata a questa fonte è lì che può attingere le risorse per superare i suoi esaurimenti, contro i quali non possono nulla le convenzioni e gli imperativi dell’ordine sociale che l’inquadra» (p. 82). La «nuzialità» si manifesta anche in molti episodi evangelici di rapporto di Gesù con le donne. Su questo sfondo l’A. propone anche la sua rilettura del testo classico della lettera agli Efesini sul «grande mistero» dell’amore di Cristo per la Chiesa, tradizionalmente usato nella celebrazione del matrimonio.
Quanto alle problematiche ecclesiali, Pelletier si dimostra reattiva nei confronti di una teologia e di un magistero in fondo «maschili», esprimendo le sue obiezioni, ad esempio, al «principio mariano» dell’ecclesiologia di von Balthasar o alla preoccupazione di ribadire ripetutamente l’inaccessibilità del sacerdozio ordinato alle donne (che, del resto, non è oggetto di una rivendicazione dell’A.). In realtà, dobbiamo esserle grati per come sa bilanciare, da una parte, la presentazione delle reazioni «femministe» ai discorsi maschili che parlano delle donne e, dall’altra, la condivisione delle grandi preoccupazioni – non solo della Chiesa – per le tesi estreme delle teorie del gender e la «sovversione antropologica che travaglia in questo modo le nostre società» (p. 96). E anche per come cerca di delineare «un’ecclesiologia che non si affretta su uno specifico femminile, ma che non ignora nemmeno la specificità di ciascun sesso, che è invece necessario difendere» (p. 105).
A partire dalle ben note parole di san Paolo: «Ormai, in Cristo, non c’è più […] maschio né femmina» (Gal 3,28) e sulla base dell’assoluta preminenza dell’identità battesimale comune, la Chiesa deve essere pensata anzitutto in modo inclusivo, ma senza perdere la «grande risorsa dell’alterità». In questa luce, si possono e si devono sviluppare un discorso e un’azione per il pieno riconoscimento della posizione delle donne nell’intero corpo ecclesiale, in fraternità e uguaglianza, dove le donne esistano accanto agli uomini e con loro, ma non dipendendo da loro.
In conclusione, sono molte le cose che possiamo imparare leggendo questo libro, e quelle su cui potremo utilmente continuare a pensare.