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Nel 1982 il gruppo rock britannico The Clash lanciò una canzone, divenuta un classico, che parla di problemi relazionali. Il suo titolo è una domanda: Should I Stay or Should I Go? («Dovrei restare o dovrei andarmene?»), che si può applicare anche alla relazione tra i fedeli e la Chiesa. Infatti, anche in questo caso si tratta di una relazione in crisi: ciò che prima era considerato impensabile o una rara eccezione, oggi per molti costituisce solo un piccolo passo, o dopo anni di allontanamento, o per una decisione spontanea, spesso affrettata, favorita da un’informazione mediatica negativa sulla Chiesa: le persone abbandonano la Chiesa, e in alcuni Paesi lo fanno in massa.
La questione cruciale: andarsene o restare?
Le motivazioni di questo gesto sono diverse. Non sempre infatti è necessario che siano i conflitti con i sacerdoti, gli scandali legati a esperienze individuali o la crisi degli abusi sessuali a far apparire non credibile la Chiesa. Molte persone se ne vanno tanto facilmente, perché dicono: «Non ho più bisogno della Chiesa per pregare, per entrare in contatto con Dio». È importante capire e riconoscere che quelli che se ne vanno non sono affatto automaticamente «apostati», agnostici o atei. La fede oggi è ritenuta da molti una «faccenda privata», e di conseguenza privatizzata: non è più visibile pubblicamente, e quindi non è neppure efficace.
Nella sola Germania, nel 2022 hanno abbandonato la Chiesa cattolica 522.821 persone: un record senza precedenti[1]. Nello stesso anno vi sono stati 3.753 rientri e 1.447 nuovi ingressi: persone quindi che sono tornate nella Chiesa o che hanno deciso di farsi battezzare da adulte. Ma il numero delle uscite nel 2022 rappresenta un drammatico record negativo. Il legame con la Chiesa è in declino. È preoccupante che essa venga considerata «obsoleta» e sia descritta come tale.
In contrasto con questo c’è senza dubbio il desiderio di trascendenza, e anche il fatto che la Chiesa continua a essere sentita come casa propria, sebbene riscuota una fiducia molto minore rispetto a prima. E tuttavia il senso della trascendenza avvertito da molte persone non le porta più automaticamente a legarsi alla Chiesa. Già nel 1954 il teologo Karl Rahner affermava con lungimiranza: «Il sentimento religioso dell’uomo è inestirpabile, e a lungo andare non può essere tacitato dagli pseudo-obiettivi e dai surrogati di un utopismo a sfondo comunitario, sociale o culturale. Il cristianesimo – anche considerato sotto il suo aspetto puramente terreno e legato al mondo – ha oggi aperte prospettive migliori di quelle di ieri»[2]. La sua diagnosi di allora oggi è diventata realtà. Affermava allora Rahner: «Il cristianesimo ha finito di essere un cristianesimo tradizionale ed ereditario; ormai è passato ad essere un cristianesimo di libera elezione»[3]. Il cardinale Christoph Schönborn ha fatto un riferimento indiretto a questa affermazione quando, nel 2011, come presidente della Conferenza episcopale austriaca, ha detto che era arrivato il momento di passare «da un cristianesimo ereditato per tradizione a un cristianesimo liberamente scelto»[4].
In un’intervista rilasciata prima del Natale del 2021, il tenore tedesco Jonas Kaufmann ha affermato di credere «più in Dio che nell’istituzione Chiesa»[5]. Questa dichiarazione non ha nulla di sensazionale. Certamente è anche bene distinguere chiaramente tra Dio e l’istituzione Chiesa. Ma questa distinzione può diventare anche una rottura, che per molti – non solo in Germania – già da tempo è una realtà. Mentre negli anni Settanta uno slogan molto noto diceva: «Gesù sì, Dio no», oggi si dice in molti posti: «Dio sì, la Chiesa no». Ma questo «Dio» spesso è soltanto una cifra, la descrizione di un sentimento religioso diffuso, per il quale forse gli angeli sono più importanti di quel Dio che, pur essendo indisponibile e misterioso, tuttavia ha assunto un volto in Gesù di Nazaret, rendendosi definitivamente vicino a noi.
La Chiesa, invece, per molti è «obsoleta», apparendo ormai solo come un’organizzazione più o meno attraente. Non è una novità che spesso ci sia un distacco tra la fede personale e il magistero ufficiale della Chiesa. Rahner ha scritto su questo argomento un articolo molto istruttivo, dal titolo «Fede ufficiale della Chiesa e credenza effettiva del popolo»[6]. E una tendenza più recente – molto forte in Europa – è che la fede personale non si identifica più con l’appartenenza alla Chiesa.
«Altrimenti me ne vado»
«La Chiesa – constata il sociologo e filosofo tedesco Hans Joas – non è un’associazione da cui si esce perché si è stanchi e non si è più sufficientemente motivati a parteciparvi, o perché i suoi dirigenti non ci sono simpatici. Non è nemmeno un partito politico o un’organizzazione sociale che si abbandona perché non si è più in sintonia con i suoi obiettivi e le sue aspirazioni e non si vede alcuna possibilità di cambiarli. La Chiesa è più che un’associazione o un partito, e non c’è bisogno di fare subito appello alla sua fondazione divina per suscitare un’idea di questo di più»[7]. Ma che vuol dire questa «idea di un di più»? In che modo la si può promuovere, soprattutto in considerazione del clima, in parte esplosivo, suscitato dalla pandemia di Covid-19, e che ha messo spietatamente in luce profondi rifiuti, percezioni (e valutazioni) diametralmente opposte di uno stesso processo ecclesiale e asincronie di ogni genere? Lo si è potuto vedere chiaramente nelle diverse assemblee continentali del processo sinodale, e se ne è avuta una chiara percezione nell’Assemblea dei delegati europei a Praga, nel febbraio 2023[8].
Non è un caso che papa Francesco abbia riflettuto su questo fatto nella sua enciclica Fratelli tutti (FT), dell’ottobre 2020, e nel suo libro, tradotto in diverse lingue, Ritorniamo a sognare, del dicembre 2020. Nell’encliclica, il Papa parla più volte di «false sicurezze» (FT 3) messe a nudo dalla crisi pandemica: «Il dolore, l’incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti che la pandemia ha suscitato, fanno risuonare l’appello a ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza» (FT 33).
Dove e come questo senso si potrà realizzare, se viene a mancare la Chiesa, anche con la sua ricca esperienza di riflessione autocritica? A tale proposito, ci torna in mente un episodio esemplare: la preghiera di papa Francesco in una piazza San Pietro completamente vuota, il 27 marzo 2020. Al termine di una sobria celebrazione, all’imbrunire e sotto la pioggia, con l’ostensorio Francesco ha impartito la benedizione Urbi et Orbi: una benedizione che il Papa impartisce solo nei giorni di Pasqua e di Natale. Una benedizione che aveva valore sia per i credenti sia per quelli che non potevano o non volevano (più) credere. «Ci troviamo sulla stessa barca – aveva detto poco prima il Papa, nella sua meditazione –, tutti fragili e disorientati»[9]. Il messaggio di questa benedizione non era: «Il Covid scomparirà», ma: «Non dimenticate di augurarvi cose buone, perché il virus e la morte non abbiano l’ultima parola!». Dopo quella celebrazione il teologo Gregor Maria Hoff ha fatto questa considerazione: «Nessuno si salverà dal virus solo con la preghiera; ma senza la solidarietà tra gli esseri umani il nostro sistema immunitario sociale crolla. […] Sotto la pioggia di Roma, davanti alla vanità del mondo, Francesco fa appello a una forza alternativa che sembra provenire quasi da un altro tempo»[10].
La Chiesa è un luogo di salvezza e di consolazione; ci apre una «prospettiva», quando richiama alla memoria le promesse di Gesù che vanno oltre la vita terrena: chi vorrebbe rinunciare a tutto questo? Quando cercava un titolo da dare alle sue riflessioni sulla crisi della Chiesa, Joas alla fine ha voluto intitolare il suo libro Perché la Chiesa?, e non A che serve la Chiesa? Egli ha affermato: «Oggi dunque la domanda scottante non è: “L’uomo ha bisogno della religione?”, ma: “L’uomo religioso, i cristiani hanno bisogno di una Chiesa?”. Per la diffusione del messaggio cristiano non sarebbe meglio un cristianesimo libero, cioè senza istituzioni? I chierici e la Chiesa non stanno forse oscurando questo messaggio, invece di promuoverlo?»[11]. Queste domande del sociologo tedesco non sono nuove, ma sono diventate cruciali in un modo del tutto nuovo.
«Perché non posso uscire dalla mia vita»
È interessante la dichiarazione fatta da Heribert Prantl, uno dei più noti editorialisti tedeschi, che per molto tempo ha collaborato con il giornale Süddeutsche Zeitung: «Una volta, in un talkshow della domenica sera mi è stato chiesto perché non ero ancora uscito dalla Chiesa, sebbene la mia critica nei suoi confronti fosse così pungente e sostanziale. La mia risposta è stata: “Perché non posso uscire dalla mia vita”»[12]. E Prantl aggiunge questa spiegazione: «Per me la Chiesa non è solo un’istituzione organizzata in modo gerarchico: è tutto quello che senza di lei non esisterebbe. Non esisterebbero gli spazi di grande silenzio e di profonda riflessione che amo e nei quali mi sento a casa mia, anche nelle città straniere. Non esisterebbe lo spazio in cui hanno il loro posto parole come misericordia, beatitudine e grazia. La Chiesa non è certamente il paradiso, e solo pochissimi dei suoi funzionari sono santi. Ma la Chiesa può essere un luogo in cui il paradiso è tenuto aperto»[13]. Poi afferma: «E c’è la fede, la fede nella domenica di Pasqua. Certo, la Pasqua della Chiesa, la risurrezione della fiducia non arriva da sola. È tempo di una nuova riforma»[14].
La chiamata a una «nuova riforma» ha un effetto di mobilitazione ed è anche «tipicamente tedesca». Una delle illusioni del cammino sinodale tedesco, lanciato nel 2019, sotto la spinta emotiva di uno studio della Conferenza episcopale tedesca (DBK) e del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK) sugli abusi sessuali, è quella di pensare che alcune riforme strutturali da sole possano dare una svolta alla crisi della Chiesa.
«Burnout» del desiderio?
Nikodemus Schnabel, eletto di recente abate dell’abbazia benedettina della Dormizione, sul monte Sion a Gerusalemme, identifica la crisi della Chiesa con una più profonda «crisi di Dio e della fede». Battezzato nella Chiesa evangelica e cresciuto come figlio di genitori divorziati, Schnabel considera questa crisi il frutto di un «burnout del desiderio»: «A mio parere, è ormai tempo che le due grandi Chiese in Germania ammettano onestamente che gran parte dei loro membri è cresciuta con loro per motivi familiari e ha imparato ad apprezzare l’esperienza comunitaria e l’orientamento della vita. Ma per queste due cose non c’è bisogno di essere membri di una Chiesa, perché le si possono trovare anche altrove»[15]. Occorrerebbe prendere sul serio queste sue domande: «Non potrebbe darsi che le Chiese in Germania soffrano di un burnout del desiderio? Esse sono attualmente in grado di offrire qualcosa di più di una semplice esperienza comunitaria, di un orientamento della vita e di un impegno sociale? C’è il coraggio sincero di affrontare la propria crisi di Dio e di fede e di mettersi nuovamente alla ricerca di Dio?»[16].
Non si può contrapporre la crisi della Chiesa a quella di Dio e della fede. Esse vanno insieme. Ma è significativo che, laddove nell’Evangelii gaudium (EG) papa Francesco parla di una «conversione pastorale», nella traduzione ufficiale tedesca si parli di un «riassetto pastorale» (pastorale Neuausrichtung): «La riforma delle strutture, richiesta per il riassetto pastorale, si può intendere solo nel senso di fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria sia più espansiva e aperta in tutti i suoi ambiti, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita”» (EG 27, dalla versione tedesca). Il termine «riassetto» sembra più innocuo di «conversione». Ma la riforma inizia sempre da noi! Bernd Hagenkord (? 2021), che per tanti anni è stato a capo della sezione di lingua tedesca della Radio Vaticana, ha giustamente osservato, in una conferenza pubblicata recentemente: «I tedeschi lo [= il termine “conversione”] traducono con “riassetto”. In questo modo viene di nuovo alla ribalta la Chiesa strutturata burocraticamente, timorosa di venire a contatto con lo spirituale. Infatti, il termine “riassetto” ha un carattere tutt’altro che spirituale. Come ho detto, questo si adatta perfettamente alla nostra Chiesa amministrativa, se si pensa in termini di struttura e si ha paura di entrare in contatto con lo spirituale. Ma ci vuole conversione. Il resto, le strutture ecc. seguiranno. Ma ciò che conta innanzitutto è il contenuto spirituale della riforma»[17].
Aver fiducia nella Chiesa: esercitarla e impararla
A nord delle Alpi, molte cose ormai vengono presentate all’opinione pubblica solo sotto forma di rivendicazioni estreme, spesso accompagnate dalla minaccia diretta o indiretta: «Altrimenti me ne vado!». Questa minaccia indiretta significa: «Esco dalla Chiesa!». Anche a un gesuita non vengono risparmiate dichiarazioni aggressive o ciniche da parte di amici o parenti, a volte con l’aggiunta pietosa: «Non puoi fare a meno di essere prete e religioso, fai parte del sistema!». Un sistema che viene subito dichiarato disgregato, irrimediabilmente obsoleto, senza volontà o capacità di riformarsi. Anche se la Chiesa è più della semplice somma dei suoi fallimenti e dei loro responsabili, molti ne attribuiscono gli errori e i crimini esclusivamente al clero, sebbene in altri contesti venga proclamato lo slogan: «Noi (tutti) siamo la Chiesa».
Una volta Rahner – nel cruciale anno 1968 –, in una predica a una comunità di studenti, cercò di promuovere la «fiducia nella Chiesa». Oggi, questo fa solo scuotere il capo ad alcune persone. Si badi bene: Rahner non parlava di fiducia verso la Chiesa, ma di «fiducia nella Chiesa, quindi verso persone concrete che vivono nella Chiesa»[18].
Il suo studente e amico Alfred Delp – giustiziato il 2 febbraio 1945 dai nazisti nella prigione di Plötzensee, nei pressi di Berlino – nell’ottobre 1941 trattò il tema «La fiducia nella Chiesa». Il testo è stato riproposto nel gennaio 2022, quindi dopo oltre 80 anni, nella rivista Stimmen der Zeit, della cui redazione Delp era stato membro fino alla messa al bando della rivista nell’aprile 1941. Quanto attuali appaiono quelle affermazioni di Delp: «Nella vita ecclesiale di oggi c’è una sorta di nichilismo e pessimismo dogmatico. Ci troviamo di fronte a una totalizzazione del Venerdì santo, dimenticando che, malgrado tutta la realtà del Venerdì santo, le ultime parole del Signore sono per la creazione della Pasqua, dell’Ascensione e della Pentecoste»[19]! E non si può non essere pienamente d’accordo con le sue frasi conclusive: «E così la questione della fiducia verso la Chiesa continua a essere una questione sull’uomo nella Chiesa, qualunque sia il suo livello e il suo compito. Perciò la crisi di fiducia verso la Chiesa rimane sempre la denuncia della crisi dell’uomo di Chiesa. Quindi il compito che nasce dal dovere di ripristinare la fiducia verso la Chiesa è il compito primario e profondo di ripristinare e formare un uomo di Chiesa autentico e affidabile»[20]. Qui si parlava, o meglio si parla, del «dovere di ripristinare la fiducia verso la Chiesa». È obsoleto? Nostalgico? Decenni di abusi e di violenze sessuali non hanno forse danneggiato in modo permanente, se non addirittura distrutto per sempre, la «risorsa fiducia»? Sono queste le domande che possiamo porci.
Nel suo testo Il destino delle Chiese, scritto in prigione tra il 1944 e 1945, Delp faceva riferimento alla situazione delle due grandi Chiese in Germania dopo 12 anni di terrore nazionalsocialista: «Il destino delle Chiese nel futuro non dipenderà dall’intelligenza, dal senno, dalle “capacità politiche” dei loro prelati ecc. E neppure dalle “posizioni” che sono riusciti a conquistarsi. Tutto questo è superato»[21]. La credibilità può essere ripristinata solo attraverso un «ritorno alla diaconia»[22]. Con questa espressione il gesuita intendeva «un servizio determinato dalle necessità dell’umanità, non dai nostri gusti»[23]. E tale servizio spinge ad andare fuori, verso la periferia: «“Uscite!”, ha detto il Maestro, e non: “Rimanete seduti ad aspettare che venga qualcuno”»[24]. Questo potrà accadere soltanto quando ci sarà di nuovo una comprensione di ciò che significa «pienezza», «quando dalla Chiesa verranno di nuovo uomini in pienezza. «Pienezza» è una parola importante per Paolo (cfr Col 2,9). Ma è ancora più importante per le nostre domande. Occorrono degli uomini in pienezza, non delle caricature di uomini che temono per la propria salvezza o che sono succubi dei preti. Degli uomini che siano coscienti di essere amministratori di Cristo, ma che abbiano anche pregato in tutta sincerità: «Fac cor meum secundum cor tuum»[25]. Per Delp, il destino delle Chiese dipendeva da «uomini in pienezza e creativi». In questo contesto, egli riteneva che le Chiese sembrassero «andare per la propria strada»: «Malgrado ogni correttezza e ortodossia siamo a un punto morto. L’idea cristiana non è nessuna delle idee che guidano e plasmano questo secolo»[26].
Che cosa può significare il fatto che l’arcivescovo tedesco Reinhard Marx, nella sua lettera inviata al Pontefice il 21 maggio 2021, abbia collegato la sua richiesta di dimissioni – respinte da papa Francesco – con la diagnosi fatta da Delp del «punto morto»? Il cardinale infatti scriveva: «Mi pare – e questa è la mia impressione – di essere giunti a un “punto morto” che, però, potrebbe diventare anche un punto di svolta secondo la mia speranza pasquale»[27]. Senza dubbio il cardinale Marx ha professato anche la sua fede pasquale, allo stesso modo dello storico Andrea Ricccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, il quale sottolinea: «Proprio in questo consiste il cristianesimo: una prospettiva, non una retrospettiva»[28]. Anche Annette Schavan – che è stata per molti anni ministro tedesco per la Formazione e la ricerca, e che dal 2014 al 2018 ha rappresentato la Repubblica federale tedesca presso la Santa Sede – mette in guardia dalla «retorica del fallimento»[29] della Chiesa cattolica, e afferma: «Siamo ancora all’inizio del cristianesimo, duemila anni dopo le sue origini in Galilea, in una periferia»[30].
«La Chiesa si risveglia nelle anime»: nostalgia di Guardini?
Il fatto che il cristianesimo e la Chiesa vengano sempre più percepiti (e praticati) come separati tra loro – Believing without belonging[31], «Credere senza appartenere» – ci deve far riflettere. Per questo vogliamo menzionare qui Romano Guardini, teologo e filosofo delle religioni, da cui si può forse imparare a riscoprire – e apprezzare – il «mistero della Chiesa», perché la «Chiesa» non è affatto un prodotto dell’immaginazione umana, dello sforzo dell’uomo, e neppure della religiosità umana. Morto nel 1968, Guardini potrebbe tornare ancora una volta a essere costruttore di ponti tra due Paesi e culture che hanno mentalità e approcci al «sentire con la Chiesa» molto diversi: Italia e Germania. Guardini nacque a Verona nel 1885. Sebbene l’anno dopo la sua famiglia si fosse trasferita a Magonza, la sua origine italiana lo formò e determinò per tutta la vita.
Natale
«Quale senso può avere – scrivevamo in un articolo per il Natale del 1979 – parlare di gioia e di pace in un momento così difficile?». Ce lo siamo chiesto ancora e di nuovo.
«Si è avviato un processo religioso di portata incalcolabile: la Chiesa si risveglia nelle anime»: così più di 100 anni fa, nel settembre 1921, Guardini iniziava la prima delle sue cinque conferenze tenute a un convegno dell’Associazione laureati cattolici a Bonn su «Il senso della Chiesa». Questi contributi furono pubblicati l’anno successivo. In seguito, ricordando quegli eventi, egli commentava: «L’intero convegno è stato molto vivace, aveva in sé qualcosa del “movimento”. Nelle relazioni avevo dato espressione a ciò di cui ero sempre più profondamente persuaso: che la Chiesa non rendeva non liberi, anzi al contrario dava la piena libertà all’intera esistenza; che essa aveva il carattere non della limitazione, ma anzi della pienezza. Le mie relazioni colpirono proprio al centro di ciò che allora commoveva il mondo cattolico e fecero forte impressione sugli ascoltatori»[32].
«La Chiesa si risveglia nelle anime»: da allora questa parola programmatica, spesso citata (ed estrapolata dal contesto), è stata come uno squillo di tromba. È diventata lo slogan segreto per un risveglio religioso che ha accompagnato i diversi movimenti di rinnovamento della prima metà del XX secolo: il movimento biblico, quello liturgico e il movimento giovanile. Era scoppiata una nuova fame religiosa. La gente desiderava autenticità, risposte convincenti, e non solo sentirsi ripetere «verità eterne», che erano state sempre valide. Poco noto è un episodio avvenuto nell’agosto 1920, durante il secondo convegno del movimento Quickborn, al castello di Rothenfels. A esso partecipava un giovane di 16 anni, che due anni dopo avrebbe conseguito il diploma liceale, per poi entrare nell’Ordine dei gesuiti nell’aprile 1922: quel giovane era Karl Rahner. Fu lì che egli ebbe occasione di conoscere personalmente Guardini, colui che per molti giovani di allora era diventato «l’uomo del risveglio religioso»[33].
Parlare della Chiesa così come faceva allora Guardini oggi probabilmente potrebbe apparire antiquato. Così come potrebbero essere considerati antiquati gli Inni alla Chiesa[34], scritti poco tempo dopo, nel 1924, dalla convertita Gertrud von Le Fort. Il teologo ceco Tomáš Halík si chiede apertamente: «Oggi chi avrebbe il coraggio di pubblicare un libro con un titolo del genere?»[35]. C’è troppo pathos per i «gusti» di oggi. Chi non si sentirebbe un po’ a disagio nell’intonare il canto di fede e processionale tedesco Ein Haus voll Glorie schauet[36]? Chi può ancora credere a una cosa del genere, dopo tutto quello che è accaduto negli ultimi anni?
Ma senza questa dimensione del mistero, che viene sepolta o dimenticata o tradita, che viene sminuita o messa da parte, la Chiesa può apparire solo come una semplice organizzazione, come un’opera umana. Ma non lo è. E a chi dice ancora qualcosa l’antica espressione della devozione cristiana «madre Chiesa»? Ma è proprio così che papa Giovanni XXIII iniziò il suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II: «Gaudet Mater Ecclesia».
Torniamo a Guardini. In questo nostro «inverno della Chiesa» (K. Rahner), essa deve risvegliarsi nelle anime! Altrimenti è destinata a morire. Significativamente papa Benedetto XVI si è riferito proprio alla nota frase di Guardini quando, il 28 febbraio 2013, si è congedato dai cardinali nella Sala Clementina, poche ore prima che divenissero effettive le sue dimissioni volontarie, annunciate l’11 febbraio. Prima ha fatto riferimento all’ultimo libro scritto da Guardini, e poi è arrivato a parlare del noto programma del 1921-22: «Vorrei lasciarvi un pensiero semplice, che mi sta molto a cuore: un pensiero sulla Chiesa, sul suo mistero, che costituisce per tutti noi – possiamo dire – la ragione e la passione della vita. Mi lascio aiutare da un’espressione di Romano Guardini, scritta proprio nell’anno in cui i Padri del Concilio Vaticano II approvavano la Costituzione Lumen Gentium, nel suo ultimo libro, con una dedica personale anche per me; perciò le parole di questo libro mi sono particolarmente care. Dice Guardini: La Chiesa “non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino…, ma una realtà vivente… Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi… Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo”. È stata la nostra esperienza, ieri, mi sembra, in Piazza: vedere che la Chiesa è un corpo vivo, animato dallo Spirito Santo e vive realmente dalla forza di Dio. Essa è nel mondo, ma non è del mondo: è di Dio, di Cristo, dello Spirito. Lo abbiamo visto ieri. Per questo è vera ed eloquente anche l’altra famosa espressione di Guardini: “La Chiesa si risveglia nelle anime”. La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che – come la Vergine Maria – accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi»[37].
Così Benedetto XVI, congedandosi, ha ricordato un teologo che è stato importante non solo per lui. Guardini è ovviamente anche uno degli autori che hanno avuto un influsso profondo su papa Francesco, e non solo perché nell’enciclica Laudato si’ (LS)il Papa parla espressamente (e in modo dettagliato) dello scritto del 1950 di Guardini La fine dell’epoca moderna (cfr LS 108; 115)[38].
Chiesa sotto esame e sull’orlo dell’abisso?
Una rilettura dello scritto di Guardini potrebbe aiutare a superare l’attuale crisi della Chiesa? O a farci riflettere su un aspetto nuovo o trascurato? I Paesi di lingua tedesca sono noti per il loro amore per la critica aperta, e per la critica alle strutture. Certamente anche oggi l’italo-tedesco Guardini farebbe anche lui delle critiche, ma come? Dipende sempre dal tono della voce, come dice il proverbio: «Il tono fa la musica». È diverso se la critica nasce da una preoccupazione o dalla semplice voglia di criticare.
Quando, nel 2021, Karl Lauterbach, esperto socialdemocratico in questioni sanitarie e attuale ministro tedesco della Salute, ha annunciato di aver lasciato la Chiesa cattolica, ha dichiarato pubblicamente di averlo fatto per «motivi di coscienza». Ha aggiunto di non poter escludere un «rientro». Egli è ancora vicino alla Chiesa. Le Chiese possono avere un’importante funzione sociale: laddove è solo questione di potere e di denaro, esse potrebbero essere «poli opposti significativi».
Ecco cosa sono le Chiese. La Chiesa continua a essere la «mia» Chiesa, anche quando la sua immagine è offuscata perché il suo «personale» (al vertice) non fa «bella figura». Chi può restare indifferente di fronte al fatto che le persone abbandonano in massa la Chiesa? Senz’altro coloro che propugnano l’ideologia del «piccolo gregge» (pusillus grex): meglio 100 cattolici «veri» che 1.000 «cristiani della domenica»! E non ci vuole nulla a far diventare cattivi anche i cristiani «natalini» e «pasqualini». Ma quanto è difficile spesso, proprio per i devoti, permettere e sopportare approcci differenti, una maggiore o minore vicinanza e lontananza dalle «attività ecclesiali»! Quanto è presuntuoso dunque giudicare o sentenziare sulla fede degli altri!
Non ci può certo consolare il fatto che da anni i legami duraturi con grandi istituzioni come Chiese, sindacati, partiti siano in declino. La Chiesa non è una Ong. Anche la distinzione tra Chiesa – o Chiese – e regno di Dio non necessariamente è di aiuto. Oppure il fatto che vi sono «fasi», tempi di crisi. Frustrazione, rabbia e delusione colpiscono anche il nucleo dei cattolici ferventi. Possono indurre ad abbandonare la Chiesa; in Germania questo è un adempimento burocratico che dura cinque minuti e costa 30 euro per le spese di ufficio.
Come «missionari» ci si trova spesso in una posizione perdente tra i parenti e gli amici, ed è già molto se si viene chiamati per un battesimo, un matrimonio o un funerale. Inoltre, si fanno sempre domande come: «Ma perché rimani nella Chiesa?»; «Perché continui a impegnarti?». Forse sorprende questa risposta: «Resto nella Chiesa perché le devo molto! Devo a essa la mia fede. Infatti, la mia fede non è caduta dal cielo. Hanno contribuito a essa le suore, un parroco, i preti che mi sono diventati amici. Sono stati e sono tuttora degni di fiducia».
In un’intervista sul suo libro Die Zeit der leeren Kirchen («L’epoca delle chiese vuote»), Tomáš Halík ha parlato più volte della «risurrezione continua»: «Solo un certo tipo di cristianesimo sta per finire. Anche nella fede qualcosa deve morire per poter poi risorgere in una forma nuova, trasformata. Non fa parte questo del messaggio pasquale? […] Le persone non diventano atee quando voltano le spalle alla Chiesa. Piuttosto, prendono le distanze da una determinata forma di fede e dalla Chiesa come istituzione. Ma di per sé, la fede è presente ed è viva»[39]. La sua diagnosi sembra trovare conferma giorno dopo giorno.
La fede ha l’obbligo di spiegarsi e di rendere ragione. Dev’essere adatta alla vita quotidiana, e a prova di crisi. Immune dai discorsi apocalittici catastrofici, ma non indifferente alle molteplici ferite che sono state causate. Non conosciamo ancora la nuova forma della Chiesa, ma arriverà; deve arrivare. «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67), chiede Gesù ai Dodici, mentre molti se ne stanno andando. Gesù chiamava persone che erano anche peccatrici. E chiama a seguirlo anche oggi. Questo è il discepolato. Così nasce la Chiesa, oggi come allora. Ed essa è sempre al tempo stesso «santa e peccatrice», come dicevano i Padri della Chiesa. Porta con sé delle ferite. Ha dei lati negativi, che sconvolgono, che offendono, che lasciano perplessi.
Ci può aiutare a riflettere un passo dell’Evangelii gaudium (EG): «A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo» (EG 270). Le piaghe del Signore: ecco perché ricordare Guardini può essere di aiuto, perché «la Chiesa si risveglia nelle anime».
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[1]. La Chiesa evangelica segnalava nello stesso periodo 380.000 abbandoni da parte dei fedeli.
[2]. K. Rahner, «Significato teologico della posizione del cristiano nel mondo moderno», in Id., Missione e grazia. Saggi di teologia pastorale, Roma, Paoline, 1964, 66.
[3]. Ivi, 44.
[4]. A. R. Batlogg, «Vom Traditions – zum Entscheidungschristentum», in Stimmen der Zeit 136 (2011) 145.
[5]. J. Kaufmann, «Glaube mehr an Gott als an die Kirche», in Domradio (www.domradio.de/artikel/glaube-mehr-gott-an-als-die-kirche-opernsaenger-kaufmann-spricht-ueber-seine-religiositaet), 4 dicembre 2021.
[6]. Cfr K. Rahner, «Fede ufficiale della Chiesa e credenza effettiva del popolo», in Id., Società umana e Chiesa di domani, Cinisello Balsamo (Mi), Paoline, 1986, 283-300.
[7]. H. Joas, «Mutter Kirche», in Herder Korrespondenz 75 (2021/12) 15.
[8]. A. Palermo, «Sinodo, chiude l’Assemblea dei delegati europei: amare la Chiesa oltre i muri e le ferite», in Vatican News, 9 febbraio 2023.
[9] . «Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia presieduto dal Santo Padre», Sagrato della Basilica di San Pietro, 27 marzo 2020, in www.vatican.va
[10]. G. M. Hoff, «Das Echo der Stille. Wie der leere Petersplatz mit Papst und Pestkreuz zur Kulisse der Welt wurde. Eine Bildbetrachtung», in Christ & Welt, n. 15, 2020, 2.
[11]. H. Joas, Warum Kirche? Selbstoptimierung oder Glaubensgemeinschaft, Freiburg, Herder, 2022, 11.
[12]. H. Prantl, Mensch Prantl. Ein autobiographisches Kalendarium, München, Langenmüller, 2023, 94.
[13]. Ivi, 95.
[14]. Ivi.
[15]. N. Schnabel, «Weder Reformen noch Profilschärfung helfen der Kirche aus der Krise», in www.katholisch.de/artikel/40254-weder-reformen-noch-profilschaerfung-helfen-der-kirche-aus-der-krise
[16]. Ivi.
[17]. B. Hagenkord, «Ein Papst der Überraschungen», in J. Erbacher – B. Hagenkord – S. von Kempis, Papst Franziskus, der Rufer in der Wüste, Leipzig, St. Benno, 2023, 21 s.
[18]. K. Rahner, «La fiducia nella Chiesa», in Id., Frammenti di spiritualità per il nostro tempo. Prospettive della fede, Brescia, Queriniana, 1973, 239.
[19]. A. Delp, «Vom Vertrauen zur Kirche», in Stimmen der Zeit 147 (2022) 53.
[20]. Ivi, 54.
[21]. Id., «Das Schicksal der Kirchen», in Id., Gesammelte Schriften, vol. IV: Aus dem Gefängnis, Frankfurt am Main, Knecht, 1985, 318.
[22]. Ivi, 319.
[23]. Ivi.
[24]. Ivi, 320.
[25]. Ivi, 321.
[26]. Ivi.
[27]. Il testo della lettera (in italiano) si può leggere in www.erzbistum-muenchen.de/cms-media/media-55270620.PDF
[28]. A. Riccardi, Tutto può cambiare. Conversazioni con Massimo Naro, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2018, 282.
[29]. «Schavan kritisiert “Insolvenzrhetorik” der katholischen Kirche», in www.katholisch.de/artikel/32757-schavan-kritisiert-insolvenzrhetorik-der-katholischen-kirche
[30]. A. Schavan, Geistesgegenwärtig sein. Anspruch des Christentums, Ostfildern, Patmos, 2021, 40.
[31]. Nel libro Religion in Britain since 1945: Believing Without Belonging, pubblicato nel 1994, la sociologa inglese Grace Davie sostiene che la religione predominante in Occidente non è più il cristianesimo, ma il «credere senza appartenere».
[32]. R. Guardini, Appunti per un’autobiografia, Brescia, Morcelliana, 1986, 43.
[33]. Dal 1963 al 1967, Rahner è stato il successore di Guardini sulla cattedra di «Visione cristiana del mondo» all’Università di Monaco di Baviera.
[34]. L’opera originale è Hymnen an die Kirche. Tradotti in italiano come Inni alla Chiesa, Brescia, Marcelliana, 1947.
[35]. T. Halík, Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare, Milano, Vita e Pensiero, 2022, 227.
[36]. Si tratta di un vecchio inno cattolico tedesco composto dal gesuita Joseph Mohr nel 1875. All’inizio l’inno dice: «Una casa gloriosa stende il suo sguardo su tutto il Paese…». Il ritornello conclude: «Oh, fa’ che nella tua casa siamo tutti al riparo».
[37]. Benedetto XVI, «Saluto di congedo agli Em.mi Signori Cardinali presenti in Roma», 28 febbraio 2013, in www.vatican.va
[38]. Cfr M. Borghesi, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale: dialettica e mistica, Milano, Jaca Book, 2017, 117-154.
[39]. T. Halík, «Wir haben kein Monopol auf Christus», in Christ in der Gegenwart 73 (2021/23) 6.